DOMINICI, Domenico (Domenico de' Domenichi)
Nacque il 15 luglio 1416 a Venezia in una famiglia di origine bresciana, da Piero e da Cristina Seguro di Zante. A probabile che, dopo la precoce morte del padre, egli fosse allevato a Bologna dal cardinale umanista e riformatore Antonio Correr. Il medico e letterato veneziano Pietro Tomasi lo educò all'arsrhetorica; studiò poi le artes liberales presso l'università di Padova, dove consegui la licenza il 6 ag. 1435 e fu promosso doctor artium il 22 genn. 1436. Non sappiamo dove il D. avesse studiato teologia; è certo che egli fu influenzato dal tomismo e divenne doctor theologiae prima del 1441, e che a Padova o altrove si era formato una buona cultura canonistica che gli fu utile nella successiva carriera. Nel 1441 il D. disputò a Firenze sulla grazia; nello stesso tempo aveva scritto un lavoro sulla predestinazione. Lanno seguente tenne una disputa sull'amore nella quale fece proprio il pensiero di Tommaso d'Aquino. Tra il 1442 e il 1444 divenne decano della collegiata di Cividale.
Per il D., che aveva più volte cercato senza successo di ottenere benefici a Venezia e che nel 1446 aveva svolto una legazione per la Repubblica presso la Curia romana, cominciò negli anni successivi la fase più impegnativa della sua attività a Roma. Intorno al 1447 divenne protonotaro apostolico; il 20 febbr. 1448 fu nominato vescovo di Torcello da papa Niccolò V e il 27 luglio 1457 referendario della Segnatura. Impegnato sempre più fre.quentemente in Curia, già sotto il pontificato di Callisto III, ricevette dal suo maggior protettore, E. S. Piccolomini, il futuro papa Pio II, numerosi incarichi: fu membro di diverse commissioni teologiche, consigliere teologico del papa e fu inviato in missioni diplomatiche. Tra il settembre e l'ottobre del 1458 venne nominato dal neoeletto Pio 11, insieme con Niccolò da Cusa ed altri, nella commissione che doveva discutere la riforma della Curia, e in questa occasione scrisse il Tractatus de reformationibus Romanae curiae.
Insieme con Giovanni de Torquemada (Johannes Turrecremata), Niccolò da Cusa, Rodrigo Sánchez de Arévalo e altri fu, nel 1460, membro di un collegio per la revisione di un processo di inquisizione. Sotto Sisto IV ebbe, nel 1473, la carica di presidente della commissione nel processo intentato contro Petrus de Rivo, professore presso l'università di Lovanio, sulla questione dei futura contingentia.
Come autorità in campo teologico, che interveniva in questioni ampiamente dibattute, il D. fu molto apprezzato dai pontefici. Nel 1459 nella disputa sulla precedenza del protonotaro rispetto ai vescovi nella capella papalis difese la dignità vescovile e scrisse in quella occasione un'opera voluminosa intitolata De dignitate episcopali. Dalla questione relativa all'obbligo del papa di rispettare la sua capitolazione elettorale derivò, nel 1461, il Consilium in materia creationis cardinalium. Già durante il papato di Callisto III il D. si era occupato, in alcuni trattati, della potestà pontificia ed ecclesiastica. Il suo maggior lavoro su questo tema fu il De potestate papae, scritto nel 1456, che costitui il fondamento di tutti i suoi successivi scritti di ecclesiologia. Da una disputa svoltasi in Vaticano nel Natale del 1462 sul sangue di Cristo e l'unione ipostatica derivò il trattato De sanguine Christi. La sua opinione su questi temi fu richiesta anche negli anni successivi, come mostrano le sue opere.
A partire dal 1460 papa Pio II gli affidò incarichi diplomatici. Una legazione in Germania, che in questo anno il D. avrebbe dovuto svolgere per risolvere la vertenza tra Nicolò da Cusa e il duca del Tirolo, Sigismondo, non ebbe luogo perché resa inutile dallo sviluppo degli avvenimenti. Il D. si recò in Germania nel 1463-64 come legato ed oratore presso l'imperatore Federico III, in connessione con il progetto pontificio di crociata contro i Turchi. Egli aveva l'incarico di sostenere la posizione dell'Absburgo nell'Impero, partecipando alle trattative di pace con il re d'Ungheria Mattia Corvino. In questa occasione il D. ebbe anche contatti con il re di Boemia Giorgio di Podébrady. Come legato pontificio egli funse da mediatore nel contrasto tra l'imperatore da una parte e suo fratello e gli stati dell'Austria inferiore dall'altra.
All'attività diplomatica svolta presso l'imperatore per conto del papa corrispose l'incarico che egli dovette espletare negli anni '70 a nome di Federico III e dell'Impero presso la Curia. Il 3 giugno 1474 vi sostenne le ragioni imperiali nella vertenza relativa al principe elettore palatino Federico I. Fu nel 1475 procuratore imperiale nella questione del vescovato di Colonia e tenne una Oratio sive allegationes in causa archiepiscopi Ecclesiae Coloniensis davanti a papa Sisto IV. Nello stesso anno si espresse a favore dell'imperatore nella disputa sul vescovato di Costanza con la Oratio sive allegationes in causaEcclesiae Constantiensis. Per Federico III e per sua moglie il D. aveva già illustrato nel 1463 un Confessionale promulgato dal papa.
Nel 1472 scrisse per il giovane Massimiliano, futuro imperatore, uno Specchio dei principi in forma di lettera. L'imperatore Federico III e il cardinale Francesco Piccolomini si adoperarono senza successo presso il papa Sisto IV per la nomina del D. a cardinale. Quando questi, nel 1477, Si recò alla corte dell'imperatore, Federico gli concesse un diploma con il quale prendeva sotto la propria protezione la familia del D. e gli confermò, quale vescovo di Brescia (dal 1464), i titoli di duca di Valcamonica, di marchese della Riva occidentale del Garda e di conte di Bagnoli.
Già come decano di Cividale e vescovo di Torcello, il D. era stato impegnato in attività pastorali e aveva iniziato a predicare. Il 16 sett. 1464 papa Paolo II lo aveva nominato vicario generale di Roma (vicarius Urbis) e il 14 nov. vescovo di Brescia, come successore di Bartolomeo Malipiero. Giunto a Brescia il 27 ag. 1466, egli aveva dato inizio a una intensa attività pastorale, peraltro interrotta dai frequenti viaggi a Roma. Il momento più importante di tale attività fu la convocazione del sinodo diocesano - avvenimento allora non comune - che si riunì il 15 apr. 1467 nella cattedrale. In questa occasione furono approvati statuti sulla liturgia e sugli oggetti liturgici, sulla confessione, sulla comunione degli ammalati, sui costumi del clero, sui benefici, sul patrimonio della Chiesa, sulle vertenze giudiziarie dei chierici, sui monasteri femminili. Il D. dette inizio ad un'inchiesta sulla cattedrale e sul capitolo, articolata in trentacinque domande, inchiesta che però non portò a termine. Come testimoniano diversi editti ed altre fonti, l'attenzione del D. come vescovo di Brescia fu rivolta soprattutto alla definizione dell'ordinamento giuridico, alla liturgia, alla condizione finanziaria della diocesi, alla vita del clero e degli Ordini. Suo nipote Giovanni Giusti di Verona fu per un breve periodo suo vicario generale.
Il D. morì a Brescia il 17 febbr. 1478; venne seppellito nella cattedrale nel sepolcro monumentale eretto dai nipoti.
Sin da quando era decano di Cividale il D. si impegnò in una assidua attività di oratore e predicatore, intervenendo frequentemente, tra l'altro, a S. Marco di Venezia quando era vescovo di Torcello. Tenne più volte le orazioni inaugurali di conclavi, come quello del 16 ag. 1458 in cui fu eletto Pio II e l'altro del 1464 successivo alla morte dello stesso pontefice, teorizzando un modello ideale di papa aperto alle necessarie riforme della Chiesa. Durante la messa, il 2 maggio 1463, davanti al papa e alla Curia, in S.Maria sopra Minerva, egli aveva predicato su s. Caterina da Siena e aveva tenuto nel 1468, in occasione della festa dell'Ascensione, l'Oratio pro pace Italiae. Il 30 ag. 1469 disse per Paolo II l'Oratio pro victoriis Christianorum. Le altre sue prediche riguardarono lo Spirito Santo, gli angeli, gli apostoli, Maria e i santi, i Salmi, i Vangeli, l'Apocalisse e il comportamento morale dei fedeli. Dal punto di vista stilistico le sue prediche contengono, come era allora frequente, tratti umanistici, ma sono ancora tanto ricche di elementi medievali da non potersi annoverare nella retorica dell'umanesimo.
Il D. ebbe rapporti personali ed epistolari con numerosi unianisti: Francesco Barbaro, Zaccaria Barbaro, Gianfrancesco Poggio, Flavio Biondo, per la stampa della cui opera Italia illustrata si prodigò intensamente, il cardinale Iacopo Ammannati de' Piccolomini, Ermolao Barbaro il Vecchio e il cardinale Francesco Piccolomini. La sua biblioteca possedeva le Filippiche, le Epistolae, le Orationes e le opere filosofiche di Cicerone, le Decadi di Livio, le Vitae di Plutarco e le Noctes Atticae di Gellio tra i classici e l'Historia peregrina Grammaticon e le Epistolae di Pier Candido Decembrio, le Epistolae, le Orationes e l'Epitome super Decades Blondi di Enea Silvio Piccolomini (Pio II) e la Roma triumphans di Biondo a rappresentare la letteratura umanistica contemporanea.
Il D. condivise l'interesse umanistico per l'astronomia e l'astrologia ed egli stesso scrisse su questi argomenti opere in parte andate perdute. Il 13 giugno 1456, in occasione dell'apparizione di una cometa, scrisse un Iudicium comete visi in urbe romana, ora conservato in due esemplari nella Herzog-August-Bibliothek di Wolfenbüttel (Germania): cod. Guelf. 42.3 Aug. fol. e cod. Guelf. 71.21 Aug. fol., nel quale espone il suo pensiero su questi fenomeni celesti. A conservata anche una Quaestio de Sibyllis (Kristeller, Iter, I, p. 152). Nella sua biblioteca si trovavano inoltre manoscritti di astronomia, quali le Tabulae astronomicae e l'Almagesto di Tolomeo, i Flores ex Almagesto e il De astronomia di Geber Hispalensis, nonché le Tabulae di Giovanni di Gmuden.
Il D. ha lasciato numerosi lavori sparsi in manoscritti di diverse biblioteche, contenenti opere filosofiche, teologiche e canonistiche. I lavori filosofici composti nel 1436 in connessione con la sua attività di docente a Padova sono il De sensibus interioribus, l'Expositio super libro periermenyas Aristotelis e l'Expositio super libro divisionum Boetii, tutti ispirati ai Commentari di Alberto il Grande. Nel 1462-63 scrisse il De relationibus et necessitate fundamenti earum, in cui cerco di risolvere in termini filosofici la disputa teologica su Maria e Giovanni: il lavoro fu pubblicato nel 1557 a Venezia, con il titolo De filiatione Iohannis Evangelistae ad B. Virginem, come appendice al De sanguine Christi. Altri scritti filosofici furono il De imperio, cuius potentiae sit actus (conservato solo in parte) del 1468 e il De nominibus his: Quidditas et essentia del 1471.
Gli scritti teologici del D. riguardano la riforma della Chiesa, l'ecclesiologia, i sacramenti, la teologia speculativa, le ricorrenze religiose, la catechesi e la teologia morale. Nel Tractatus de reformationibus Romanae Curiae del 1458 egli sostenne, con richiami alla Bibbia, ai Padri della Chiesa, a Bernardo di Clairvaux e ad Enrico di Gent, nonché con rinvii ai decreti di riforma dei concili di Costanza e di Basilea, una trasformazione morale, disciplinare e strutturale della Curia romana, come paradigma per una più generale riforma della Chiesa; il lavoro venne stampato a Brescia, presso B. Farfengo, nel 1495.
La più importante ed approfondita opera di ecclesiologia del D. è il trattato De potestate papae et termino eius del 1456, in cui è esposto il tema centrale dei suoi scritti teologici, la potestà del papa e il diritto divino. Il lavoro fu originato dalla disputa tenuta con alcuni canonisti sul diritto di dispensa del papa in base allo ius divinum. Il D. argomentò il suo pensiero sulla posizione del papa nella Chiesa nella forma scolastica del pro et contra, combinando ratio ed auctoritas, ed applicò le sue conclusioni ai diversi argomenti. L'opera è divisa in cinque parti: il papa e la sua potestà di dispensa, il papa e i vescovi, il papa e i cardinali (non redatto), il papa e il potere temporale, il papa e l'istituzione del Papato. Secondo il D. la potestà del pontefice è limitata in senso stretto dal diritto divino e quindi dagli articoli di fede, dai sacramenti, dai comportamenti morali e dallo status Ecclesiae. Le sue posizioni sono anticonciliariste e gerarchico-papaliste, ma si differenziano da quelle estremiste di un Sánchez de Arévalo. Il D. si rifà soprattutto all'autorità di Tommaso d'Aquino e al Tractatus de causa immediata ecclesiasticae potestatis attribuito a Pietro della Palude. Queste tesi furono ribadite nelle glosse alla Concordantia catholica di Niccolò da Cusa, che il D. presentò come completamento del De potestate papae. La concezione ecclesiologica del D. risulta affine alla Summa de Ecclesia del cardinale Giovanni de Torquemada e influenzò nel XVI secolo l'opera di Domenico lacovacci De concilio, che si richiama espressamente al De potestate papae.
Quando, sotto Paolo II, la posizione del D. in Curia venne modificandosi in seguito al diminuito sostegno pontificio e al crescente favore imperiale, egli aggiunse nel 1469 al suo trattato una Ritrattazione. in cui rivalutò chiaramente la dignità episcopale, ridusse la potestà pontificia nei confronti dei laici e riprese l'argomento, già utilizzato dai conciliaristi, del dovere del papa di non dare pubblico scandalo, come limite del suo potere.
All'incirca nello stesso periodo del De potestate papae il D. scrisse il De creatione cardinalium, dove sostenne che il papa aveva il diritto di nominare i cardinali senza l'intervento del Collegio cardinalizio, ma che avrebbe dovuto astenersi dall'esercitare tale diritto per ragioni di prudenza. È possibile che il D. presentasse questo trattato anche a Sisto IV nel 1471. Poiché le sue idee sui limiti dei potere pontificio erano ben argomentate, il breve scritto fu pubblicato in forma ridotta nel 1617 dall'arcivescovo di Spalato Marcantonio De Dominis, ribellatosi all'autorità della Chiesa romana, nella prima parte dell'opera De republica ecclesiastica (London 1617, pp. 767-773).
Queste riflessioni vennero approfondite nei due lavori del 1461, De episcopali dignitate (stampato a Roma nel 1757) e Consilium in materia creationis cardinalium, entrambi dedicati a Pio II. Nella prima opera il D. sostenne che la dignità episcopale aveva fondamento nel diritto divino e aggiunse l'episcopato all'ordo sacerdotalis quale perfezionamento di questo. Nel Consilium tornò ancora una volta sulla questione dell'obbligo del papa di rispettare, per quanto riguarda la nomina dei cardinali, la sua capitolazione elettorale, i decreti conciliari o il parere del Collegio cardinalizio. Ribadendo le argomentazioni papaliste in termini analoghi a quelli del De potestate papae, il D. sostenne la libertà del pontefice che, comunque, doveva essere temperata dalla prudenza.
Due scritti riguardano i sacramenti, il De ordinibus ecclesiasticis, composto nel 1444 dietro richiesta del vescovo di Feltre Tommaso Tomasini, e il Deforma baptismi del 1457.
Il D. affrontò anche temi di teologia speculativa. Il primo lavoro riguarda la predestinazione e fu scritto nel 1441 con il titolo De praedestinatione et reprobatione Dei; seguirono le disputazioni De gratia nel 1441 e De caritate nel 1442. Sono tre trattati scolastici per metodo e contenuto. Al cardinale Giovanni de Torquemada dedicò il De contemplatione, semplice raccolta di auctoritates compilata tra il 1448 e il 1463. In risposta ad un quesito postogli da Callisto III scrisse intorno al 1455 De diminutione vel ablatione poenae aeternae per poenam temporalem. Nel 1462 raccolse per Pio II testi e auctoritates su De rationibus probantibus pluralitatem personarum divinarum. Da una disputa tra francescani e domenicani, svoltasi davanti al papa nel 1462, deriva il cit. scritto del 1463, De sanguine Christi (stampato a Venezia nel 1557 e nel 1563); per desiderio del papa il D., che seguiva - se pur cautamente - il pensiero di Tommaso d'Aquino, vi aggiunse anche un'additio.
Il tema delle festività religiose è trattato nel breve lavoro De celebratione festi conceptionis Beatae Mariae virginis, compilato il 29 maggio 1458 e dedicato al cardinale di Rouen Guglielmo d'Estouteville: il D. non assumeva una posizione esplicita nella disputa in corso tra domenicani e francescani in merito alla Immacolata.
Prima del 1447 a Cividale il D. si era interessato di catechesi e aveva scritto un breve compendio dei principi religiosi, i Rudimenta ad sciendum et servandum necessaria, destinato sia ai chierici sia ai laici. che, quando divenne vescovo di Brescia, raccomandò per lo studio. Il breve testo fu stampato tra il 1475 e il 1480 e successivamente nel 1540 a Brescia e nel 1566 a Roma.
Nel giugno 1468 il D. dovette affrontare un problema di teologia morale, quello della liceità per un chierico di abbandonare Roma di fronte alla peste. La questione gli era stata posta dal cardinale Iacopo Ammannati de Piccolomini e in risposta il D. compose il trattatello Quod liceat pestilentiam fugere, in cui sosteneva che la fuga era permessa sul piano morale. Per il medesimo cardinale Ammannati scrisse tra il 1464 e il 1471 un lavoro dal titolo An sit oboediendum superiori praecipienti revelationem secreti.
Numerose opere del D. riguardano problemi canonistici: la Quaestio superc. Constantinus del 1462, dedicata a Pio II; l'Apparatus sive glossae... ad requisitionem... Friderici Romanorum imperatoris del 1463 per l'imperatore Federico III; il De quibusdam dispensationibus matrimonialibus, composto prima del 1464, e il De inseparabilitate matrimonii del 1472 circa. Ritenne autentica la donazione di Costantino.
È probabile che il D. abbia scritto una Summa dictaminis ad uso della Curia (cfr. Kristeller, Iter, IV, p. 679). È inoltre conservato un Trialogus inter Dominicum (de Dominicis) episcopum, (Iac.) Languscum philosophum et Candianum Bolanum oratorem (cfr. ibid., II, p. 249). Una sua Oratio in laudem beatissimae Catherinae de Senis è stata edita da A. Piolanti, Città del Vaticano 1972.
Il D. fu una delle personalità più eminenti del suo tempo. Protonotaro, referendario, vicario generale e vescovo, svolse un ruolo importante presso la Curia romana come amministratore, teologo, consigliere, legato e predicatore. A Torcello e specialmente a Brescia poté svolgere un'intensa attività pastorale e dar prova concreta delle sue capacità. Roma costitui il punto centrale del suo lavoro e della sua vita, tanto che egli ricevette nel 1476 la cittadinanza romana.
Nell'ambito delle sue molteplici attività il D. scrisse opere filosofiche, teologiche, canonistiche e di altro genere, in cui si appoggiò soprattutto sull'autorità di Alberto il Grande, Pietro della Palude, Enrico di Gent e, in particolare, di Tommaso d'Aquino. Cercò di concordare teologia e diritto canonico, ma si senti innanzi tutto un teologo. Non scrisse una Summa sistematica, gli mancò un'originale idea teologica centrale; ma nelle questioni della potestà del papa, dei cardinali e dei vescovi nella Chiesa, del diritto divino e della dispensa, egli affrontò temi che le vertenze in atto relative ai rapporti tra il pontefice e il concilio rendevano attuali ed importanti. Sul piano ecclesiologico tenne una posizione ierocratico-papalista analoga a quella di Giovanni de Torquemada, senza però arrivare ad estremismi.
Il D., letterato, oratore dell'imperatore e dei papi, predicatore e diplomatico, in contatto con molti dei principali umanisti del tempo, favorito dal papa umanista Pio II, nutri interessi umanistici; ma il suo pensiero teologico fu tanto vicino alla scolastica che egli non può essere annoverato, né sul piano dei contenuti né su quello dello stile, a pieno titolo tra gli umanisti. P- perciò il tipico rappresentante della fase di transizione dal tardo Medioevo all'età moderna e la sua personalità offre interessanti elementi per conoscere la vita e le idee del periodo.
Fonti e Bibl.: Il più ampio elenco di fonti inedite si trova in H. Jedin, Studien über D. de' D. (1416-1478), Wiesbaden 1958, pp. 225-296; aggiunte importanti in H. Smolinsky, D. de'D. und seine Schrift "De potestate pape et termino eius". Edition und Kommentar, Múnster 1976, p. 318 n.18; Ch. Samaran-R. Marichal, Catalogue des manuscrits en écriture latine…, IV, 1, Bibliothèque Nationale, Fonds Latin (Supplément), Nouvelles acquisitions latines, petits fonds divers, Paris 1981, pp. 7, 13, 39; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-IV, ad Indices. Si vedano inoltre Pii Secundi Commentarii..., Francof. 1614, pp. 592, 644 ss., 648, 675; Nicolai de Cusa De Concordantia catholica, a cura di G. Kallen, Hamburg 1963, passim; Vespasiano da Bisticci, Le vite, a cura di A. Greco, I, Firenze 1970, pp. 271 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV, Romae 1652, pp. 756-760; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 386-439; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 1, Roma 1783, pp. 257 ss.; Le cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, a cura di P. Guerrini, I, Brescia 1922, pp. 10, 169-202, 233, 249; [L. Mack], Le Liber de Contemplatione de D. de D., in Revue d'ascétique et de mystique, XVII (1936), pp. 411-414; F. Gaeta, D. D.: "De reformationibus Romanae Curiae", in Annali dell'Università degli studi dell'Aquila, I (1957), pp. 89-123; H. Jedin, Ein römisches Plädoyer gegen Kurfürst Ruprecht von Köln (1475), in Zur Geschichte und Kunst im Erzbistum Kön. Festschrift Wilhelm Neuss, a cura di R. Haass-J. Hoster, Düsseldorf 1960, pp. 102-107; Id., Ein Prinzenspiegel für den jungen Maximilian I., in Archiv für Kulturgeschichte, XLIII (1961), pp. 52-61; A. Piolanti, Un discorso inedito del sec. XV in onore di s. Caterina da Siena. L'"Oratio in laudem B. Catherinae de Senis" di D. de' D., vescovo di Brescia († 1478), in Divinitas, XVI (1972), pp. 295-325; Deutsche Reichstagsakten unter Kaiser Friedrich III, VIII, I, 1468-1470, a cura di I. Most-Kolbe, Göttingen 1973, pp. 8, 17, 19; H. Smolinsky, D. de' D. und seine Schrift "De potestate pape et termino eius", cit., pp. 5-309. Per le edizioni delle opere v. Jedin, Studien, cit.; U. Baroncelli, Gli incunabuli della Biblioteca Queriniana di Brescia (catal.), Brescia 1970, n. 368; P. Veneziani, La tipografia a Brescia nel XV secolo, Firenze 1986, pp. 23, 61 s., 102.
Per ulteriori indicazioni cfr. L. von Pastor, Geschichte der Päpste, II, Freiburg i. Br. 1928, ad Indicem; M. Grabinann, Studien über den Finfluss der aristotelischen Philosophie auf die mittelalterlichen Theorien über das Verhältnis von Kirche und Staat, Phil. hist. Abt., München 1934, pp. 106-114; L. Baudry, La querelle des futurs contingents, Paris 1950, pp. 44 s., 52, 57; H. Jedin, Bischof D. de' D. und Kaiser Friedrich III. Ein Beitrag zur Geschichte der Beziehungen zwischen Reich und Kurie im 15. Jahrhundért, in Festschrift zur Feier des zweihundertjähringen Bestandes des Haus-, Hof- und Staatsarchivs, a cura di L. Santifaller, II, Wien 1951, pp. 258-268; Id., Studien, cit.; R. Aubert, in Dict. D'hist. et de géogr. ecclés., XIV, Paris 1960, coll. 584-588, sub voce; A. Cistellini, La vita religiosa nei secoli XV e XVI, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, passim e particolarmente pp. 411-419; A. A. Strnad, Francesco Todeschini-Piccolomini. Politik und Mäzenatentum im Quattrocento, in Römische historische Mitteilungen, VIII-IX (1964-1966), pp. 101-425; M. Marcocchi, La riforma cattolica. Documenti e testimonianze, I, Brescia 1967, pp. 459-462; Enea Silvio Piccolomini papa Pio II. Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti (Accademia Senese degli Intronati), a cura di D. Maffei, Siena 1968, ad Ind.; C. Piana-C. Cenci, Promozioni agli ordini sacri a Bologna e alle dignità ecclesiastiche nel Veneto nei secc. XIV-XV, Quaracchi-Firenze 1968, pp. 388, 392, 395 ss.; F. M. Cavalleri, Isinodi diocesani di Brescia. Indagine storico-giuridica, Milano 1972, p. 12; C. Villa, Due antiche biblioteche bresciane, in Italia medioevale e umanistica, XV (1972), pp. 63-97; J- M- McManamon, The ideal Renaissance pope: funeral oratory from the papal court, in Arch. hist. pontif., XIV (1976), pp. 9-70; C. Villa, Brixiensia, in Italia medioevale e umanistica, XX (1977), pp. 243-275; J. W. O'Malley, Praise and blame in Renaissance Rome. Rhetoric, doctrine, and reform in the sacred orators of the papal court, c. 1450-1521, Durham 1979, passim; A. Oddasso Cartotti, Un esempio di oratoria sacra del '400. L'"oratio in laudem Beatissimae Catherinae de Senis" di D. de' D., in Divinitas, XXIII (1979), pp. 135-138; A. Fappani-F. Trovati, I vescovi di Brescia, Brescia 1982, pp. 135-138, 260; J. F. D'Amico, Renaissance Humanism in papal Rome, Baltimore-London 1983, p. 218; H. J. Sieben, Traktate und Theorien zum Konzil, Frankfurt a. M. 1983, pp. 118, 210, 212 s., 222.