DONZELLI, Domenico
Nacque a Bergamo il 2 febbr. 1790, da Antonio e Maria Siboldi. Manifestò presto singolari doti vocali e musicali, tanto che a tredici anni cantava già da soprano tra i coristi del teatro Riccardi di Bergamo.
Dopo aver studiato con A. Bianchi, entrò stabilmente nel coro del teatro Riccardi, dove venne notato e invitato a sostenere parti di secondo tenore nelle opere Elisa di G. S. Mayr e Quanti casi in un sol giorno di V. Trento. Un certo successo dovette arridere subito al diciottenne D. se - momentaneamente chiuso il teatro Riccardi - fu chiamato ad inaugurare ilnuovo teatro Sociale (o della Società) nella stagione di carnevale del 1808-1809 con la prima esecuzione della Ippolita, reginadelle amazzoni di S. Pavesi, a fianco del contralto Adelaide Malanotte. Nello stesso teatro e nella stessa stagione cantò anche nella Creazione di J. Haydn, facendo poi parte, come tenore di mezzo carattere, di una "compagnia d'opera volante" - come la chiama il Regli - che agiva al teatro Cerri. Nel 1809 il D. si trasferì a Napoli per entrare al conservatorio di S. Pietro a Maiella, ma non vi fu ammesso, forse per motivi d'età - e studiò privatamente con i tenori G. Viganoni e G. Crivelli. Debuttò lo stesso anno a Napoli con la Nina, o sia La pazza per amore di G. Paisiello, ottenendovi uno straordinario successo. Fino al 1815 eseguì opere serie, semiserie e commedie nei principali teatri napoletani.
Al teatro dei Fiorentini cantò in Lo scavamento e I furbi amanti di S. di Palma e I finti sdegni di G. Latilla; al teatro Nuovo, Amor dal naufragio di G. Prota, Le nozze per puntiglio e Raoul, signore di Créqui di V. Fioravanti, Le due simili in una commedia di P. C. Guglielmi. Al teatro S. Carlo debuttò nel 1811con il ruolo di Cinna nella Vestale di G. Spontini, accanto ad Isabella Colbran e A. Nozzari, eseguendovi poi I Baccanali di Roma di G. Nicolini e L'Affricano generoso di Valentino Fioravanti, entrambe nel 1813e ancora insieme col Nozzari. Fu infine anche al teatro del Fondo, dal 1811 al 1815, con la Musicomania di Mayr, Amore e Danae di C. Coccia, Adelina di P. Generali, Le lavandare di P. Raimondi, Il califfo di Bagdad di M. Garcia, la Zaire di V. Federici, Il vascello l'Occidente di M. Carafa e La gioventù di Enrico V di L. Hérold, quasi tutte cantate a fianco della Colbran e di M. Garcia.
Proprio con Lagioventù di Enrico V ilD. si congedò da Napoli per recarsi a Bologna, dove cantò nella prima rappresentazione del Castore e Polluce di F. A. Radicati al teatro del Corso, andando poi subito alla Fenice di Venezia per interpretare il ruolo di Marte in Il vero eroismo di G. Farinelli e quello di Argirio nel Tancredi diG. Rossini. Fu probabilmente dopo questo Tancredi (ma forse già dagli anni napoletani) che il D. divenne sincero amico di Rossini, col quale intratterrà rapporti quasi fraterni per più di un cinquantennio. Quello stesso anno infatti interpretò per la prima volta un'opera del pesarese scritta appositamente per lui: Torvaldo e Dorliska, al teatro Valle di Roma, dove cantò anche Linganno felice sempre di Rossini. Al teatro alla Scala di Milano debuttò nel 1816 con l'Achille di F. Paër, tornandovi nel gennaio del 1817, come protagonista - per ben quarantacinque recite - dei Maometto di P. von Winter e, nel marzo, come Osvaldo nel Rodrigo di Valenza diP. Generali. Sempre nel 1817 si esibì a Trieste nell'Aureliano in Palmira di Rossini e nell'Atar di G. Mayr. Non ancora trentenne, si avviava a divenire uno dei tenori più celebri e più richiesti dai grandi teatri.
Nel 1821 riapparve alla Scala per cantarvi, in aprile, L'Uniforme di J. Weigl, in maggio La sciocca per astuzia di G. Mosca, in giugno la Donna Aurora di F. Morlacchi, Elvira eLucindo diJ. Stünzt; in agosto la Cenerentola diRossini e in ottobre Elisa e Claudio di S. Mercadante: tutte - meno la Cenerentola - furono prime rappresentazioni assolute. Dopo alcune recite al teatro Regio di Torino (Argene e Dalmiro di Stünzt e L'eroe di Lancastro di Nicolini), nel dicembre del 1821 il D. partecipò, al teatro Argentina di Roma, alla prima esecuzione del Cesare in Egitto di G. Pacini, peraltro con scarso successo di pubblico. Nel gennaio 1822 invece, ancora all'Argentina, fu interprete, accanto ad Esther Mombelli, della creazione di Zoraide di Granata di G. Donizetti. L'opera, anche per merito degli interpreti, ottenne ottima accoglienza.
Il D. sarà ancora al teatro Argentina nel 1824 per cantarvi l'Ezio di F. Celli e gli Amici di Siracusa di Mercadante.
Nella stagione 1822-1823 tornò al S. Carlo di Napoli con quattro opere: Atalia di Mayr, Anco Marzio di Pavesi, Argene e Alsindo diGenerali (insieme con A. Nozzari e G. Ciccimarra) e I cavalieri del Nodo di S. Pavesi (insieme con G. B. Rubini e Nozzari). Intanto aveva intrapreso anche la parte internazionale della sua carriera, esibendosi nel 1822 a Vienna: e con tale successo da venir subito chiamato al Théâtre-Italien di Parigi, dove fu scritturato ininterrottamente dal 1825 al 1831, con un cachet annuo di 37.000 franchi, che lo rese uno dei tenori più retribuiti del mondo. "Ho riserbato il Crociato per la tua comparsa" - gli scrisse Rossini in una lettera del 7 febbr. 1826 - "la Donna del Lago e Riccardo; ho dato quattro volte l'Otello con Rubini, ma è troppo forte per lui e lo riserbo anche per te" ... (Rossini, Lettere, p. 36). E fu proprio l'Otello l'opera del debutto del D. a Parigi, nell'aprile del 1825, seguita (il 19 giugno) dalla prima della cantata Il viaggio a Reims, data al Théâtre-Italien per l'incoronazione di Carlo X insieme con la Pasta, la Mombelli, Laure Cinti, N. P. Levasseur e G. M. Bordogni. Ancora di Rossini, il D. cantò a Parigi la Cenerentola, Matilde di Shabran, Ricciardo e Zoraide, oltre alle prime esecuzioni delle opere Clari di F. Halévy, Fausto di Louise-Angélique Bertin, La pastorellafeudataria di N. Vaccaj e Tebaldo e Isolina di Morlacchi.
Sembra dovesse cantare anche Il pirata di V. Bellini; tuttavia quest'ultimo, scrivendo a F. Florimo il 2 ag. 1828, notava: "... Per mio consiglio Donzelli non potrà cantare il Pirata, perché gli si dovrebbe trasportare tre toni sotto e poi la musica non è dell'indole del suo canto". Per contro il D. cantò Il pirata (forse con alcuni trasporti di tono) nel 1830 a Londra, dove aveva già debuttato due anni prima e dove verrà ingaggiato per numerose stagioni dall'impresario Laporte, che era riuscito a portare al King's Theatre, sede dell'opera italiana, tutti i più grandi cantanti dell'epoca: la Grisi, la Malibran, la Pasta, Lablache, Persiani, Rubini, Tamburini.
Il D. rientrò in Italia alla fine del 1831 probabilmente per cantare a Bologna l'Otello di Rossini e L'esule di Roma di Donizetti. In questo stesso anno Bellini andava componendo la Norma e pensava la sua nuova opera proprio sui mezzi vocali e sullo stile interpretativo del Donzelli. Lo dichiarava lo stesso compositore nella lettera inviata al D. il 7 giugno 1831, là dove diceva "Le colonne della mia composizione non sono che Donzelli e la Pasta perciò il soggetto dell'opera non dovrà essere aggirato che su questi due artisti". La prima Norma non ebbe però l'esito che Bellini si attendeva.
Nella famosa lettera del 26 dic. 1831 al Florimo il compositore non dice del ruolo avuto daì cantanti nell'insuccesso dell'opera; in altre lettere accenna alla loro stanchezza per le troppe prove. M. Scherillo invece riferisce nella biografia belliniana: "La Pasta, indisposta, calava di quasi un quarto di tono, guastando l'effetto del suo recitativo di sortita e della cavatina; il Donzelli anche lui, come per forza epidemica, calava di tono. E, insieme co' cantanti, calava l'opera".
Probabilmente solo nelle repliche successive l'esecuzione fu ineccepibile: le corrispondenze giornalistiche riportate da L. Cambi nell'Epistolario di Bellini (l'Eco, la Gazzetta, la Revue musicale) ne parlano nel complesso assai positivamente. Il D. interpretò poi la Norma al King's Theatre di Londra il 31 maggio 1833, insieme con la Pasta, A. De Meric-Lalande e V. Galli, con repliche fino al 27 giugno e con recensioni quasi tutte estremamente favorevoli (Morning Post, Times, Eco di Londra e Parigi). In Italia la Norma fu ancora ripresa dal D. a Bologna nel 1834, a Trieste e a Venezia nel 1835 e alla Scala nel 1838.
Il successo e la popolarità acquisiti con l'opera belliniana portarono il D. a quello che deve essere ritenuto il punto culminante della sua carriera. Dal 1831 al 1839 fu il protagonista di alcune delle più importanti rappresentazioni operistiche nei teatri di tutta Europa.
Alla Fenice di Venezia, per le memorabili stagioni del 1833-1834, con Fausta e AnnaBolena diDonizetti, La straniera di Bellini, Emma d'Antiochia di Mercadante; del 1834-1835, con Parisina di Donizetti, Il crociato in Egitto di G. Meyerbeer, Carlo di Borgogna di Pacini; Otello, Cenerentola e Barbiere diRossini, Norma di Bellini. A Torino, al Regio, con Gl'Illinesi di P. Coppola, ICapuletie i Montecchi di Bellini, il Belisario, Ines de Castro e Lucia, di Donizetti, Marco Visconti di Vaccaj e al Carignano, con la celebre interpretazione di Masaniello, in La muette de Portici di D. Auber. Alla Scala il D, si esibì in Uge, conte di Parigi di Donizetti, Otello, La donna del lago di Rossini, Norma, il Postiglione di Longjumeau di Coppola, Rossane di F. Schoberlechner e quel Bravo che Mercadante aveva scritto come un "ritratto" del prototipo vocale da lui incarnato in quegli anni e che andò in scena con enorme successo l'11 marzo 1839, venendo poi replicato per quaranta sere; e infine la Fausta e Ilproscritto di Mercadante, oltre alla prima esecuzione della Maria Padilla di Donizetti, tutte nel 1841.
A Roma cantò ancora nel 1839: al teatro Apollo il Furio Camillo di Pacini, accanto a Caroline Ungher (sembra con poco successo, come peraltro molte opere di Pacini ...), al teatro Valle, il Roberto Devereux; all'Argentina I Capuleti e i Montecchi, accanto alla Grisi. Nel 1840 fu di nuovo a Bergamo per una rappresentazione al teatro Riccardi de L'esule di Roma di Donizetti, presenti il compositore e il vecchio Mayr, con un esito trionfale che non era difficile prevedere.
È probabile che nel 1839 i mezzi vocali del D. cominciassero a mostrare apertamente segni di stanchezza. Peraltro nel 1841 cantò a Vienna e nel 1842 alla Scala (un Belisario di Donizetti con Loretta Brambilla, la Strepponi e G. Ronconi) e a Parigi, con tale intatto vigore che lo stesso Donizetti si espresse in termini entusiastici per la sua interpretazione. Nel 1843 tornò a Vienna e nel 1844 al S. Carlo di Napoli con l'Otello e Il bravo. L'ultima opera interpretata dal D. in teatro fu forse Francesca Donato di Mercadante, sempre al S. Carlo nella stagione d'autunno del 1845, accanto a Eugenia Tadolini, a F. Coletti e a G. Fraschini. Agli inizi del 1846 il D. certamente si era già ritirato dalle scene. Si stabilì a Bologna, in un palazzo (che prese fl suo nome) sito in strada Maggiore 26, dove dal 1843 abitava anche Rossini con Olimpia Pélissier, delle cui nozze il D. fu testimone.
Il 21 giugno 1848 il D., insieme con Badiali, N. Ivanoff ed un complesso di circa quattrocento persone tra voci e strumenti, partecipò in piazza Maggiore all'esecuzione dell'inno scritto da Rossini per la guardia civica (e dedicato a Pio IX), ottenendo entusiastiche accoglienze dal pubblico. Nel maggio 1852 fu invitato da Rossini ad esibirsi alla Filarmonica fiorentina.
Nei primi mesi del 1860 cantò ancora, e con successo, in una chiesa di Bologna.
Membro onorario dell'Accademia di S. Cecilia dal 1839 e membro dell'Accademia dei Filarmonici di Bologna, il D. pubblicò a Milano, per i tipi Ricordi, una raccolta di esercizi di canto intitolati Esercizi giornalieri basati sull'esperienza di molti anni.
Morì a Bologna il 31 marzo 1873.
Dei figli del D., sposato con Antonia Dupin, Achille fu figlioccio di Rossini; Rosmunda fu ottima cantante: allieva di Giovanni Tadolini, comparve la prima volta sulle scene nel Parrucchiere della Reggenza di C. Pedrotti a Venezia; i giornali riferirono che fu interprete squisita e lodarono le sue doti d'artista; soprattutto in un Barbiere di Siviglia (1º febbr. 1853, San Benedetto, teatro Gallo) ebbe un discreto successo: fu assai ammirato il suo ardore esecutivo.
L'altro figlio, Ulisse, nato a Torino il 29 apr. 1837 e tenuto anch'egli al fonte battesimale da G. Rossini, studiò al liceo musicale di Bologna e fu apprezzato pianista, insegnante e buon compositore. Sposò il celebre soprano Elisa Stefanini. Morì a Bologna nel giugno 1895.
Formatosi sia alla scuola tenorile bergamasca, sia a quella di uno dei grandi tenori baritonali d'opera seria del primo Ottocento, come Garcia e Nozzari, come Crivelli, Tacchinardi, Bonoldi e Giacomo David, il D. mutuava da entrambi i filoni la tipologia vocale, l'impostazione tecnica e soprattutto lo stile interpretativo, classicamente vigoroso. Portando a conseguenze più avanzate gli esempi, forse decisivi, di un tragédien come Andrea Nozzari o di un grande di Spagna altero e violento come Manoel Garcia e trovando in sé mezzi naturali singolarmente idonei, egli raffigurò un particolare momento storico dell'evoluzione della vocalità tenorile e scrisse il prologo del nuovo stile romantico.
Contrariamente a quanto sostenuto da R. Celletti, non sembra possibile distinguere nella parabola artistica del D. in modo certo dei "periodi" (almeno tre) nei quali la sua voce e i suoi modi esecutivi avrebbero subito un'evoluzione, un progressivo distacco dagli schemi più consueti (ornamentalismo, classicità, etc.), per acquistare gradatamente quelli più personalmente innovatori e quindi più intensamente drammatici. In realtà, per stare alle testimonianze conservate, si deve ritenere che - esclusi gli anni iniziali - il D. si sia subito imposto come una personalità "frappante", e si deve ritenere che egli abbia conservato anche dopo il 1830 delle buone capacità virtuosistiche. Bastì pensare che Stendhal (cfr. Celletti, in Enc. dello spett.) già nel 1816 lo definisce "pieno di fuoco"; che a Roma nel 1821 fu rivelata la sua inimitabile vigoria, che, per converso, tra il 1825 e il 1834 il D. si esibì ancora di frequente in parti di agilità come Cenerentola, Barbiere, Matilde di Shabran, Ricciardo e Zoraide.
Se mutamenti vanno ipotizzati nel suo iter, sono da ricercare nelle conseguenze della naturale maturazione dell'organo vocale. È il Panofka che ne fornisce per primo notizie precise: "La sua voce era d'una vigoria rara e prestavasi, in ispecie, agli accenti drammatici; ma grazie alla sua intelligenza, l'aveva resa capace dei suoni più dolci e della più rapida agilità. La sua estensione era dal si basso al la sopra le righe (chiave di sol): talvolta servivasi del la basso, ma questa nota mancava di nerbo". Nel 1831 invece il D. stesso - a testimoniare l'avvenuto accorciamento della gamma - scrive a Bellini: "L'estensione, dunque, della mia voce, è quasi di due ottave, cioè dal re basso al do acuto. Di petto, poi, sino al sol; è in questa estensione che posso declamare con egual vigore e sostenere tutta la forza della declamazione. Dal sol acuto al do acuto posso usare di un falsetto che impiegato con arte e forza dà una risorsa come ornamento. Ho una agilità sufficiente, ma che mi riesce di gran lunga più facile nel discender che nel montare" (cit. in M.R. Adamo-F. Lippmann, V. Bellini, p. 158).
Va ricordato infine che A. Mazzucato, nel n, 14 della Gazzetta musicale di Milano (1842) (cfr. Della Corte, Canto e bel canto ...), parla diffusamente del D. soffermandosi su certi tipi di emissione da questo adottati, "suoni chiusi", usati per dar volume alla voce. Dalle testimonianze a noi giunte possiamo arguire che il D. possedeva un materiale vocale "naturaliter" straordinario per torrenziale dovizia di volume, per eccezionale resistenza e lunghezza di fiati, per le risonanze brunite che oggi lo assegnerebbero forse al registro baritonale. Indirizzato dai maestri sulla strada dei grandi baritenori, il D., per contro, non si fermò alla tradizione incarnata dal Crivelli o da Tacchinardi: influenzato dall'esempio di Nozzari e soprattutto da Garcia padre, si pose quale contraltare alla linea David-Rubini, costruendo un modello vocale affatto nuovo. Un modello che affidava il proprio éclat espressivo a un fraseggio ampio e scolpito, alla vibrazione infuocata dell'accento, ad una declamazione grandiosamente incisiva. Interessarono meno il D. le estasi liriche, le tinte chiare e nuancées, le tenere passioni, gli slanci siderali in zona acuta di un Rubini. Il D. tese ad un mondo espressivo molto più "timano" di quello sublime, stilizzato del suo antagonista. E l'effetto bronzeo e risonante della "voix sombrée" prendeva il posto e l'importanza della coloratura: poco o nulla importa sapere oggi per noi se il D. possedesse una agilità degna di David; certo è che il suo perno stilistico ed interpretativo non fo nell'espressione trascendente del sentimento attraverso il virtuosismo, bensì attraverso lo slancio, il fervore, attraverso un'imponenza nobile e marziale.
L'ideale dell'eroismo tenorile da lui incarnato si colloca esattamente tra la fine del neoclassicismo e l'avvento del romanticismo: tra la Vestale di Spontini, l'Otello di Rossini, il Crociato di Meyerbeer, da una parte, e la Norma di Bellini, la Muta di Portici di Auber, il Bravo di Mercadante, dall'altra. Un preromanticismo, dunque, quello del D., che non fu lunare, malinconico, appassionato, byroniano (quindi di matrice anglo-francese), nei modi di Gualtiero del Pirata o di Edgardo della Lucia. Fu un preromanticismo meno sognante, più forte, più italico, alfieriano, se si vuole, per l'eloquenza calda e plastica, per i fremiti libertari non più nascondibili: per la prima coscienza dei semi della crisi nascosti in un ideale solennemente, tragicamente vittorioso. Dopo, con G. Duprez, verrà il tenore di forza - stentoreo - sintesi di Rubini e di Donzelli: e il do di petto sarà il "grido dell'anima" dell'incandescenza romantica e quarantottesca.
Fonti e Bibl.: Notizie in Aligemeine musikalische Zeitung, XIV (1812), p. 787; XIX (1817), pp. 173, 177, 503; XXI (1819), p. 82; XXII (1820), pp. 516, 626; XXIII (1821), pp. 492 s.; XXIV (1822), p. 69; XXV (1823), pp. 269 s., 361, 497, 622; XXVI (1824), pp. 343, 346, 437, 524, 636, 651, 712 s.; XXVII (1825), p. 600; XXVIII (1826), pp. 61, 487; XXIX (1827), p. 570; G. Radiciotti, Lettere inedite di celebri musicisti, Milano 1892, pp. 53 s.; Lettere di G. Rossini, a cura di G. Mezzatinti-F. Mansa-G. Manis, Firenze 1932, ad Indicem; V. Bellini, Epistolario, a cura di L. Cambi, Verona 1941, ad Indicem; E. Panofka, Voci e cantanti, Firenze 1871, pp. 89-93; F. Florimo, La scuola musicalediNapoli e i suoi conservatori, II, Napoli 1882, p. 59; III, ibid. 1882, pp. 113, 193, 195, 473; IV, ibid. 1881, pp. IX, 97, 157, 159, 269, 273, 285, 317, 367; M. Scherillo, V. Bellini; note aneddotiche e critiche, Ancona 1882, p. 89; E. Celani, Musica e musicisti a Roma, in Riv. musie. ital., XX (1913), p. 85; G. Monaldi, I teatri di Roma, Napoli 1928, pp. 585 ss.; Id., Cantanti celebri, Roma 1929, pp. 27 ss.; A. Cametti, La musica teatrale a Roma cento anni fa, Roma 1931, p. 38; A. Della Corte, Canto e bel canto, Torino 1933, pp. 253 ss.; Id., L'interpretazione musicale e gli interpreti, Torino 1951, pp. 518 s., 544 s.; R. Celletti, D. D., in Enc. dello spett., IV, Firenze-Roma 1956, coll. 874-877; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, II, Cronologia, Milano 1964, pp. 27, 29, 36, 40, 42 s.; Due secoli di storia musicale. Storia del teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, II, Bologna 1966, pp. 40, 44; E. Gara, Cantarono alla Scala, Milano 1975, pp. 8, 14, 21, 28, 44, 46; A. Basso, Storia del teatro Regio di Torino, II, Il teatro della città dal 1788 al 1936, Torino 1976, pp. 159, 213 s., 216, 218, 220; M. Rinaldi, Due secoli di musica al teatro Argentina, Firenze 1978, I, pp. 582, 585, 611, 614, 618; II, pp. 739, 940; M. R. Adamo-F. Lippmann, V. Bellini, Torino 1981, pp. 158, 171, 177, 179-182, 201, 228 s., 540; F. Regli, Diz. biogr. dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, Torino 1960, pp. 175 s.; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, III, p. 45; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 458; The New Grove Dict. of music and musicians, IV, p. 571.