DORIA, Domenico
Nacque nei primi anni del sec. XVI da Nicolò e da Nicolosia Fieschi di Giovanni, dopo Stefano, Giacoma (poi sposa a Filippo Doria) e prima di Ettore e altre tre sorelle (Peretta, Bianca, Darietta).
Il padre del D., proprietario di una "nave grossa" e abile uomo d'armi, aveva avuto occasione di distinguersi almeno in due occasioni: nel 1504, quando aveva sconfitto Ranuccio Della Rocca in Corsica, e nel 1507, quando, durante il dogato popolare di Paolo da Novi, la sua nave venne inviata a Monaco per portare aiuto alla città.
È da escludere che il D. abbia potuto partecipare all'attività politica prima del 1529, quando, un anno dopo la riforma di Andrea Doria, venne ascritto al Libro d'oro della nobiltà: è perciò un omonimo' e di una generazione precedente, il Domenico Doria, indicato senza patronimico, inviato in Siria nel 1518 insieme a Nicolò Novaro sulla nave di Martino Botto (per ratificare accordi col sultano già avviati da Alessandro Lercari e da Pietro Gentile) e inviato poi nel 1522 in Francia per ottenere aiuti dal re contro le minacce di Carlo V.
Il primo documento sicuro sulla presenza politica del D. risale a un episodio di metà secolo, cruciale per la Repubblica e tale da indicare chiaramente la scelta di campo del D. stesso: la congiura dei Fieschi.
Il colpo di mano di Gian Luigi era stato tentato nella notte tra il 2 e il 3 genn. 1547: un biglietto del 4 gennaio, inviato da Giulio Coybo al duca Cosimo di Toscana per informarlo della situazione, a garanzia di assoluta veridicità, reca allegata copia di lettera dei governo al D., in quel momento a Fosdinovo. Nella lettera si rassicura il D. che la situazione a Genova è sotto controllo, che il principe Doria sta bene e si è recato a Masone, che il conte Fieschi è annegato passando da una galea all'altra, che gli schiavi sono tornati sulle galee e che la galea fuggita con gli schiavi è inseguita da due galee di Spagna.
Dopo il tentativo, anch'esso fallito. di prosecuzione della rivolta da parte di Girolamo Fieschi, fratello di Gian Luigi, il D. fu inviato con altri commissari e molta fanteria al castello di Montoggio, dove Girolamo si era rifugiato: il castello fu conquistato dal D. con molto valore - come sottolineano le fonti archivistiche (ms. 520, c. 31) -, molti dei ribelli furono uccisi, compreso Girolamo, cui fu tagliata la testa.
L'impegno dimostrato dal D. in questa circostanza testimonia non solo la sua ovvia scelta politica nella linea dei cosiddetti nobili "vecchi", ma anche un probabile personale legame con Andrea Doria, che dovette esistere anche sul piano della politica estera, in particolare nel rapporto con la Spagna. Infatti, nel momento in cui l'alleanza spagnola, forte della sua ineluttabilità, minacciava di evolversi in una più o meno esplicita sovranità sulla Repubblica, il D. fu scelto tra i componenti della importante legazione inviata a Savona, nel novembre 1548, all'infante don Filippo (il futuro Filippo II) e al suo imponente seguito, comprendente tra gli altri il duca d'Alba, il cardinale di Trento, il duca di Cessa.
La legazione genovese aveva l'incarico ufficiale di ricevere gli illustri ospiti nella fortezza di Savona, o in quella di Vado se essi lo avessero preferito, e di fissare il protocollo delle visite ai singoli, ma nelle istruzioni è insistito il richiamo alla prudenza che gli ambasciatori dovevano usare nel seguire la linea politicamente concordata per sventare il tentativo di dominio della Spagna (ed è sottintesa la precisa direttiva di Andrea Doria).
Al vecchio principe il D. appare legato in un'altra circostanza, quando nel 1555, di fronte all'aggravarsi dell'insurrezione corsa di Sampiero nell'ambito del grande conflitto franco-spagnolo, fu inviato ambasciatore a Firenze.
Il D. doveva convincere il duca Cosimo de' Medici a concordare con Genova l'azione di riconquista dell'isola, ma, prima della partenza, doveva recarsi dal Principe Doria: il D. era infatti ritenuto in grado di ottenere l'autorevole intervento del principe e presso il duca e presso don Francisco de Toledo, affinché questi si impegnassero a fornire tre o quattromila fanti dell'esercito imperiale per l'ìmmediato recupero di Calvi, piazzaforte di prioritaria importanza nella strategia corsa. Il D. doveva perciò partire con le credenziali del principe, oltre che con quelle del governo, per risultare più persuasivo anche con don Francisco de Toledo e gli altri ministri spagnoli che si trovavano a Firenze. Nel deprecabile caso la missione diplomatica a Firenze fallisse, il D. doveva comunque ottenere dal principe l'invio delle sue galee in Corsica, per impedire almeno l'approvvigionamento ai nemici.
Dopo questa ambasceria, non si hanno altri documenti sicuri dell'attività politica del D., anche se un Domenico Doria è citato nel 1575 tra i sei confidenti della nobìltà "vecchia" da inviare a quel congresso di Casale che avrebbe poi composto i contrasti coi "nuovi" grazie alla mediazione della Spagna e dell'Impero.
Nello stesso anno però il D. è citato come defunto nel documento stilato in Casale il 24 nov. 1575, col quale il cardinal Morone e gli altri mediatori dell'accordo elessero la deputazione dei delegati alla ripartizione delle spese sostenute nella guerra civile: di tale deputazione faceva parte il figlio del D., Giovanni Battista, citato appunto "quondam Dominici". Ora, poiché tra i governatori della Repubblica del 1576 compare un Domenico Doria fu Stefano, pare più probabile che questo omonimo del D. sia da identificare con uno dei sei confidenti che rappresentavano i "vecchi" al congresso di Casale tra il gennaio e il marzo 1576; oppure si può ipotizzare la nomina del D. all'inizio del 1575 (come sembrerebbe confermato anche da fonte archivistica: ms. 520, c. 32, poi ripreso dal Della Cella, II, p. 52), la morte prima del novembre e la sua sostituzione con l'omonimo.
Dal matrimonio con Maria Doria di Francesco, il D., oltre al citato Giovanni Battista (politico e diplomatico di rilievo negli ultimi decenni del XVI secolo), ebbe altri dieci figli: Nicolò, Orazio, Marco Antonio, Nicoletta (poi sposa ad Agostino Spinola), Camilla (in Giulio Pallavicini), Paola (in Lazzaro Spinola), Nicolosa, Faustina, Anna, Ettore. La discendenza del D. proseguì grazie a Marco Antonio e allo stesso Giovanni Battista.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Instruct. et rel., Archiv. segr., 2707 C n. 125, 188; Ibid., ms. 520, cc. 31 s.; ms. 653 c. 1770; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, c. 52; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, p. 140; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1800, IV, p. 82; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 62; L. Staffetti, La congiura del Fieschi e la corte di Toscana, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, XXIII (1890), p. 328; F. Poggi, Le guerre civilidi Genova, ibid., LIV (1930), p. 110; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), p. 82; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 156.