ELENA, Domenico
Nacque a Genova il 22 dic. 1811 da Antonio, commerciante all'ingrosso, e da Luigia Odera. Compiuti gli studi secondari, segui diversi corsi all'università, senza peraltro addottorarsi, anche perché dovette presto aiutare il padre nei suoi affari. Seguitò tuttavia ad istruirsi, approfondendo soprattutto due discipline: la pedagogia e l'economia politica, alla quale s'era accostato partendo da G. D. Romagnosi, e che studiò a fondo negli autori inglesi, grazie alla sua buona conoscenza della lingua.
Nell'aprile 1846, in una conferenza tenuta presso la Società economica di manifatture e commercio, l'E. mostrò tutto il proprio entusiasmo per la "fecondità dell'industria moderna" che era in grado di "accrescere la potenza produttiva della società" rendendo vani "i timori di Malthus e Sismondi". Ma sottolineava che condizione irrinunciabile del progresso economico e sociale era l'istruzione pubblica "segnatamente di quelle classi che noi con estremo orgoglio chiamiamo inferiori" (D. Elena, Della istruzione popolare in Genova, Torino 1846, p. 3). Tracciava quindi un quadro non troppo confortante della situazione genovese in questo campo, sollecitando un forte impegno da parte della civica amministrazione per organizzare un sistema integrato di asili infantili, scuole primarie, scuole tecniche, scuole serali per adulti analfabeti. Oltre a ciò riteneva essenziale l'apertura di corsi di pedagogia per la formazione dei maestri, secondo quanto già previsto dalle lettere patenti del 1º ag. 1845.
Grazie all'interessamento del decurione F. Viani (fratello di Marianna, che l'E. aveva sposato pochi anni prima e che gli avrebbe dato quattro figli) si apri effettivamente a Genova il 5 sett. 1846 una "scuola provinciale di metodo". Di quel primo corso l'E. stese una breve relazione (Del corso di metodica dato dai professori Garelli e Troya, Genova 1846), nella quale manifestò grande ammirazione per l'Aporti e vivo interesse per le innovazioni pedagogiche. Vi lodò anche il ruolo degli ispettori scolastici, perché a quell'epoca era egli stesso commissionato all'ispezione degli asili e delle scuole primarie della città.
Nel 1847 fu nominato giudice del tribunale di commercio ed iniziò per conto della Camera di commercio - della quale sarebbe in seguito divenuto presidente - a stendere memorie di argomento economico per esporre al governo le esigenze di Genova in materia di dogane e di trasporti. Sul finire di quell'anno fece parte del gruppo che, identificandosi in parte col Comitato dell'ordine di G. Doria, si propose di dar vita ad un nuovo giornale - La Lega italiana - progettatoda D. Buffa d'intesa con T. Mamiani che ne dettò il programma. Il giornale, che iniziò le pubblicazioni il 5 genn. 1848 sotto la direzione dello stesso Buffa, era portavoce dei gruppi moderati genovesi; l'E. ne tenne la gerenza, vi pubblicò articoli, e intanto fu autore di un progetto di riforma dell'ufficio di censura che circolò manoscritto e venne favorevolmente accolto dal ministro E. Pes di Villamarina (cosi L. Scarabelli in Elogi di liguri ill.: in tal caso il progetto di riforma va datato a prima del 10 ott. 1847).
La Lega ebbe vita breve: la redazione perse Mamiani e Buffa, partiti rispettivamente per Roma e per la Lombardia, e ai primi di aprile era in piena dissoluzione. L'E., che della Lega era anche finanziatore, operò un riavvicinamento ai gruppi democratici e diede vita, a partire dal 18 apr. 1848, ad un nuovo foglio - Il Pensiero italiano, diretto da F. Bettini - assai più favorevole all'iniziativa popolare e più attento alle prospettive nazionali. Ma il suo punto di riferimento non erano i circoli mazziniani, bensi il marchese V. Ricci, uno degli uomini più in vista del liberalismo genovese, divenuto da poco ministro degli Interni: a lui si rivolgeva infatti l'11 maggio offrendogli "le colonne del giornale per l'inserzione di tutto ciò che Ella credesse opportuno far pubblicare in appoggio della buona causa" (Bibl. d. Civico Istituto Mazziniano, n. 517).
La collaborazione col Ricci entrò in crisi alla fine di giugno dopo che il ministro aveva sposato, intorno alla fusione della Lombardia, una tesi giudicata filopiemontese ed antinazionale: il 19 luglio si sciolse la società che aveva dato vita alla Lega ed al Pensiero, mentre quest'ultimo passava in mano ai radicali. Nei mesi seguenti si tenne in disparte finché a novembre, nelle prime elezioni amministrative, non venne eletto al Consiglio comunale. All'epoca dell'insurrezione di Genova, tra marzo ed aprile 1849, tenne posizioni moderate sia nella Municipalità sia nella guardia nazionale, dove aveva il grado di capitano.
Nelle consultazioni politiche suppletive del 9-10 dic. 1849 fu eletto un po' a sorpresa alla Camera, dove entrò a far parte della commissione permanente di Commercio, Industria e Agricoltura (31 dicembre) e poi di quella per l'esame dei bilanci (7 genn. 1850). Politicamente andò collocandosi nel "centro sinistro" - vicino a V. Ricci, L. Sauli d'Igliano, a Rosellini - e fu uno dei parlamentari liguri più attivi in quegli anni, buon conoscitore dei problemi economici e lucido patrocinatore degli interessi della sua città.
Il 29 genn. 1850 intervenne a favore del progetto di legge relativo all'istituzione di due corsi di commercio nel Convitto nazionale di Genova. Il 4 febbraio presentò una mozione per la riorganizzazione della guardia nazionale sciolta in seguito all'insurrezione genovese. Ad aprile prese parte alla discussione del progetto per l'abolizione dei diritti differenziali con le nazioni che avessero offerto la reciprocità, e manifestò chiari convincimenti liberistici. Gli esempi di Livorno e Trieste, due porti che prosperavano senza applicare diritti differenziali, erano secondo lui "troppo dimostrativi per non indurre la Camera ad abbracciare il sistema della libertà assoluta"; e sosteneva che la marina sarda aveva bisogno, per reggere la concorrenza con le altre nazioni, non di privilegi ma dell'abolizione "di quegli oneri che le furono imposti in compenso degli utili che si credeva avrebbe conseguito dai diritti differenziali: … i bastimenti sardi pagano in sei mesi per diritti di navigazione ciò che i triestini pagano solo in più anni" (Atti parlam., 10 apr. 1850). Il 27 maggio fu relatore del progetto per la cessione al Municipio di Genova dell'area del forte di Castelletto; due giorni appresso presentò una relazione sul bilancio del ministero di Agricoltura e Commercio per l'esercizio 1850. A giugno fu tra i maggiori fautori della legge concernente le pensioni dei marinai e la separazione della Cassa invalidi della marina mercantile da quella della marina militare, con grande vantaggio della prima.
A novembre manifestò il proposito di dimettersi, ma il deputato di Tortona, p. Farina, invitò la Camera a soprassedere sulla sua lettera di dimissioni, nella speranza che egli cambiasse idea: "È un deputato - disse - che ha date prove di molta alacrità, che ha molte cognizioni sul commercio, sulle operazioni marittiine ed intorno alla Camera di commercio di Genova della quale fa parte" (Atti parlam., 8 nov. 1850). L'E. in effetti rimase in Parlamento e nelle commissioni, fu ancora relatore del bilancio di Agricoltura e Commercio e s'interessò attivamente alle questioni concernenti la marina mercantile. Nel marzo 1851 diede anche una bella prova di correttezza politica protestando vivacemente, lui moderato, per l'aggressione subita dal giornale democratico La Strega e chiedendo l'apertura di un'inchiesta nel nome di "una delle nostre più sacre libertà, la libertà di stampa" (Atti parlam., 10 marzo 1851). Il mese dopo fu relatore sul progetto di legge per le tasse di navigazione e di ancoraggio, e chiese di abbassarle, sull'esempio dei paesi esteri, per rivitalizzare la marina e frenare la forte emigrazione di marinai, nonché l'abbandono della bandiera nazionale da parte di molti bastimenti. In tale occasione si batté anche per promuovere con facilitazioni fiscali la costruzione di grandi navi, e portò argomenti attinti alla sua buona conoscenza della realtà inglese ed olandese, dando talora giudizi caustici intorno alla ottusità di molti parlamentari che non sapevano rinunciare a vantaggi tributari immediati in vista di un effettivo sviluppo economico.
La sua capacità di pensare in grande e di guardare lontano lo avvicinò presto ad un uomo della statura di Cavour. Il 9 giugno 1851 l'E. gli si rivolse per pregarlo di "prendere in considerazione il progetto … per istituire un corso regolare di piroscafi tra Genova e Nuova York" avanzato dalla compagnia statunitense Livingston & Wells, grazie al quale "tutto quel commercio d'Italia cogli Stati Uniti, che ora si fa coll'intermedio delle linee inglesi, lascerebbe queste per valersi unicamente della nostra, e Genova ne diverebbe il punto d'interposito": con grandi vantaggi anche politici, per l'apertura di relazioni "con una nazione potente e generosa, la quale sa di non poter avere in Italia altro amico che noi" (Cavour, Epistolario, VIII, p. 203). Cavour rispose sollecitamente, assicurando il pieno interesse suo personale e del governo per il collegamento tra Genova e l'America, e annunciando all'E. che intendeva recarsi di li a poco nel capoluogo ligure per meglio studiarne le necessità commerciali: in tale occasione avrebbe molto gradito il suo aiuto e i suoi lumi.
La vicenda del collegamento transatlantico per il momento non ebbe seguito, ma Cavour, nella sua azione di recupero politico dei gruppi imprenditoriali genovesi tramite la concessione di contropartite economiche, ebbe da allora nell'E. un alleato fedele e un interlocutore intelligente sul quale far conto per osteggiare le istanze più grettamente municipalistiche che di quando in quando si manifestavano a Genova: come, ad esempio, la proposta di estendere il portofranco a tutta l'area urbana, approvata dal Consiglio divisionale nell'ottobre 1851 e contro la quale Cavour si scagliava ritenendola assurda. Il ministro era invece del tutto favorevole alla creazione di un dock nel porto ligure e concordava con l'E. sull'idea di farlo gestire dal Municipio: "Ho udito con singolare piacere quanto ella mi scrive in ordine al dock. Più ci penso … e più mi convinco essere questa questione di vita o di morte pel commercio di GenoVa, per la strada ferrata, per tutti gli interessi economici dello Stato" (ibid., p. 528).
L'E. si dimise dal Parlamento il 18 dic. 1852 e poco dopo, il 3 marzo 1853, fu nominato sindaco di Genova per il triennio 1853-55. Accettò "dopo molta esitazione" (ibid., X, p. 143), guadagnandosi ancora la gratitudine di Cavour, che faceva affidamento su di lui per mandare avanti la pratica del dock (rivelatasi assai difficile, anche perché legata al trasferimento della flotta militare alla Spezia, osteggiato da molti genovesi influenti) e quella relativa alla soppressione delle corporazioni privilegiate nel porto; per migliorare la riscossione dei tributi diretti e la distribuzione dei dazi; per comporre dissidi delicati come quello apertosi nel 1854 tra l'industriale P. A. Nicolay ed il Municipio a proposito dell'acquedotto.
Dal suo seggio di sindaco l'E. si adoperò molto in favore dell'insegnamento: interessò il Cavour all'approvazione di una scuola di nautica, che aveva progettato già come membro della Camera di commercio; curò il buon funzionamento dell'istruzione popolare; difese presso lo stesso Cavour e presso L. Cibrario l'autonomia delle scuole comunali, che riteneva minacciata dall'indebita ingerenza governativa; organizzò nel febbraio 1854, in collaborazione con la Camera di commercio, una grande esposizione industriale; e si trovò al centro di una grave crisi della finanza locale in seguito all'imposizione del "canone gabellario" (legge 2 genn. 1853) e all'abolizione del dazio sui cereali (legge 16 febbr. 1854) che privava il Comune di una comoda entrata. Collaborando con l'amico D. Buffa, divenuto nel 1852 intendente di Genova, promosse in vari modi la riconciliazione tra la città e il governo sardo, e in particolare il riavvicinamento all'esercito, culminato nelle festose accoglienze che si tributarono a La Marmora - l'uomo della repressione nel '49 - al suo ritorno dalla Crimea. Ma il momento saliente del suo mandato si ebbe nell'estate del 1854, quando scoppiò a Genova una grave epidemia di colera. Mentre amministratori e medici abbandonavano la città, l'E. rimase coraggiosamente al proprio posto per dirigere i soccorsi, forte dei pieni poteri votatigli dal Consiglio il 1º agosto: in quei mesi drammatici regolò l'approvvigionamento annonario e l'assistenza medica, promosse risanamenti urbanistici, dispose importanti lavori pubblici per dar lavoro ai disoccupati.
F. Freschi, professore all'università di Genova, gli dedicò la sua voluminosa Storia documentata della epidemia di cholera-morbus in Genova. Il re lo nominò commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e il 13 sett. 1854 lo chiamò al Senato, dove l'E. prestò giuramento il successivo 12 febbraio. Nel '55, all'epoca della crisi Calabiana, fu convinto sostenitore della legge di soppressione dei conventi e per questo si urtò con gli ambienti clericali della sua città, che ne osteggiarono la rielezione in Consiglio comunale. Vi fu allora intorno al suo nome una coalizione di voti liberali che lo riportò in Municipio, dove tenne ancora il posto di sindaco fino all'11 luglio 1856. Fu poi assessore effettivo nel 1856-57, supplente nel 1858-59. Nel '57 venne eletto presidente della Camera di commercio e sotto di lui si fecero grandi lavori alla borsa e al portofranco, furono potenziate le scuole tecniche, vennero chiamati ad insegnarvi nuovi professori prestigiosi, tra i quali G. Boccardo.
All'inizio del '59 fu nominato provveditore agli studi e a novembre di quell'anno il Rattazzi gli propose un incarico di governatore provinciale: l'E. accettò, lasciò il Consiglio comunale di Genova, scelse Alessandria. Si trovava in quella sede quando Cavour, designato nel gennaio 1860 a formare un nuovo gabinetto, gli offri il portafoglio delle Finanze o quello dei Lavori pubblici, mentre il Farini suggeriva quello della Marina. Infine fu disposto altrimenti: "Dovetti con sommo mio rincrescimento - gli scriveva Cavour il 21 gennaio - addottare la combinazione che per non escludere … l'elemento lombardo escludeva la S.V. carissima" (Bibl. d. Civico Istituto Mazziniano, n. 6613); ma si augurava che presto una nuova opportunità rendesse possibile il suo ingresso nel ministero, e si diceva certo che gli ottimi rapporti tra loro non sarebbero mutati. L'intesa in effetti non venne meno, prova ne sia che fin dai primi giorni di vita del nuovo governo Cavour tornò a rivolgersi all'E. per chiedergli pareri confidenziali. Un'incrinatura si ebbe solo nel maggio 1861, quando il presidente del Consiglio si risenti perché l'E. aveva favorito la rielezione d'un suo avversario, il casalese F. Mellana.
Ad Alessandria l'E. rimase sino al novembre 1862, allorché con la caduta del ministero Rattazzi ritenne opportuno rassegnare le dimissioni; ma accettò poi la nuova destinazione alla prefettura di Novara offertagli da U. Peruzzi, e sul finire del 1863 condiscese ai desideri di S. Spaventa che lo voleva prefetto a Cagliari, ma solo a patto che venisse trasferito con lui il primogenito Francesco, anch'egli in servizio a Novara come applicato. In questo girovagare per le province poté frequentare poco il Senato, dove infatti non partecipò quasi mai alle discussioni, ove si eccettuino sporadici interventi sul progetto di legge per l'abolizione delle associazioni privilegiate dei lavoratori (giugno 1858) e su quello per le modifiche alla legge relativa all'avanzamento nell'armata di mare (luglio 1860).
Nell'agosto 1869 chiese al ministero l'aspettativa e tornò nella sua città natale, dove nel 1870 venne rieletto in Consiglio comunale, fu assessore dal '71 al '76, e fece le veci di sindaco al principio del '75 e poi dal 27 luglio 1875 al 7 luglio 1876. In quel periodo fu anche presidente della congregazione di Carità, che contribuì a riformare con intelligenza. I grandi temi del commercio marittimo e dello sviluppo economico continuarono ad interessarlo fino agli ultimi anni di vita. Nell'agosto 1875 scrisse al presidente dei Consiglio una lettera aperta che deplorava l'abbandono in cui era lasciato il porto di Genova, denunciava l'insufficienza dei collegamenti ferroviari, segnalava una minaccia mortale per il commercio di deposito nella "esecuzione della legge 19 apr. 1872 con cui fu abolito il portofranco di Genova combinata col ferreo regime doganale che vi fu sostituito" (A S. E. il sig. presidente del Consiglio dei ministri, Genova 1875). Nell'aprile 1876 fu relatore intorno al piano regolatore e d'ampliamento della città.
Eletto presidente degli Ospedali civili di Genova, condusse in quella amministrazione una preziosa opera di risanamento finanziario. Gravemente malato si dimise dalla carica il 6 marzo 1879, e mori, a Genova, il 19 dello stesso mese.
Fonti e Bibl.: Genova, Archivio stor. dei Comune, Lista di leva 1811, n. 174; Ibid., Censimento 1857, vol. 28, nn. 16-21; Ibid., Bibl. d. Civico Ist. Mazziniano, autografi nn. 517, 3250, 6185, 6571, 6597, 6601-6616, 8637, 8860, 9389, 19180, 21945; Processi verbali del Consiglio comunale di Genova, Genova 1849-1876, passim; Relazione sui provvedimenti dell'Amministrazione civica di Genova in occasione del cholera morbus nel 1854…, Genova 1854; Atti del Parlamento subalpino, Camera, Discussioni, sessioni del 1850 e 1851, ad Indices; Ibid., Senato, sessioni 1853-1879, ad Indices; Relazione della Giunta municipale intorno all'approvazione… del piano regolatore…, Genova 1876; Estremo vale alla memoria del senatore D. E. presidente degli Ospedali civili di Genova, Genova 1879; R. Drago, Serie dei consiglieri comunali, consiglieri delegati, assessori municipali, sindaci e regi commissarii straordinari che composero l'amministrazione civica di Genova dal 25 marzo 1849 al 7 luglio 1895, Genova 1895, pp. 7, II, 20 s., 34 s., 39; Nuove lettere inedite del conte Camillo di Cavour, a cura di E. Mayor, Torino 1895, pp. 60, 139, 181, 192 s., 579 s.; Carteggi di Camillo Cavour: Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, III, Bologna 1928, p. 15; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, V, Bologna 1954, pp. 450-453; C. Cavour, Epistolario, VIII, a cura di C. Pischedda-C. Rivolta, Firenze 1983, pp. 203 s., 206 s., 356 s., 528 s.; X, a cura di C. Pischedda-S. Spingor, Firenze 1985, pp. 143-145, 171, 179 s., 280-283, 288 s., 302, 319, 322 s.; Elogi di liguri illustri, Seconda App. a cura di L. Grillo, Genova 1976, pp. 29-37; B. Montale, Genova nel Risorgimento, Savona 1979, pp. 63, 94, 161 s., 168-171; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Bari 1977, pp. 517, 672, 675 ss., 686, 718, 722; III, ibid. 1984, pp. 326, 675, 714; T. Sarti, IlParlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, pp. 426 s.; Diz. del Risorgimento naz., ad vocem.