FARRI (De Farri, Faris), Domenico
Non conosciamo la data di nascita di questo tipografo, figlio di Cristoforo.
La famiglia Farri, originaria di Rivoltella, nei pressi di Dcsenzano del Garda (od. provincia di Brescia), risulta attiva a Venezia nel settore tipografico dal 1540. All'epoca Giovanni e i suoi fratelli, stampatori all'insegna del Grifo o della Salamandra, erano impegnati soprattutto nella stampa di classici latini e greci. Nel 1544, inoltre, Giovanni fu alla direzione di una stampcria specializzata nella produzione di testi ebraici. In quel solo anno, utilizzando i caratteri di Daniel Bomberg e con l'aiuto del maestro stampatore Cornelio AdeIkind, pubblicò ben dieci opere. Tale impresa ebbe però vita effimera e nello stesso 1544 fu costretta a chiudere; materiali e operai vennero riutilizzati in seguito nella nuova tipografia ebraica che il patrizio Marcantonio Giustinian istituì nel 1545 a Rialto.
Si ignora quale rapporto di parentela intercorresse tra Giovanni e il F., segnalato attivo in proprio dal 1555. È comunque probabile che il F. fosse uno dei fratelli che avevano collaborato con Giovanni nella prima impresa di famiglia.
Il F. fu soltanto tipografo. Come tale condusse sino alla fine del secolo un'attività piuttosto intensa. L'Ascarelli riferisce che restano a suo nome 120 edizioni comprese tra il 1555 e il 1598. Fu soprattutto impegnato, come tanti altri tipografi veneziani, nelle ristampe delle opere che riscuotevano maggiore successo. Difficile identificare quindi nella sua produzione direttive editoriali che vadano al di là del desiderio di ottenere il più pronto esito commerciale. Il fatto inoltre che non abbia mai affiancato una propria libreria alla tipografia, situata a S. Giovanni dei Furlani sino al 1567, e quindi nella contrada di S. Antonino, e che abbia più volte mutato marchio tipografico (carità, cavallo, speranza) induce a ritenere, come avvcniva in altri casi analoghi maggiormente documentati, che la produzione sia stata condizionata soprattutto da chi investiva nella sua impresa e dalle commissioni di terzi.
Appare comunque evidenziabile una certa propensione verso la letteratura e i testi di carattere religioso. Nel 1569 e nel 1578 pubblicò due edizioni della Commedia di Dante realizzate sulla base dell'edizione giolitina del 1555; nel 1575 e nel 1580 due edizioni dell'Orlando furioso dell'Ariosto. La prima, in traduzione castigliana di Ieronimo de Urrea, ristampa della prima edizione veneta in lingua spagnola del Giolito, lascia pensare che il F. avesse relazioni commerciali con i mercati iberici. Del suo interesse verso i mercati extraitaliani fa altresì fede un'edizione delle poesie di Petar Zoranić di Nona edita nel 1569 (Planine che zdarxe usebi Pisni pete po Pastirich, Pripouisti, i Prituori Iunachou i Dechlic, i Mnoge ostale stuari sloxene). Nel 1563 inoltre aveva pubblicato gli statuti della città di Zara (Statuta iadertina cum omnibus reformationibus in hunc usque ad diem factis).
Sicuramente il F. prestò la propria opera di tipografo per molti librai veneziani. Ebbe, tra l'altro, rapporti con Francesco Sansovino e Anton Francesco Doni. Con la collaborazione del primo in particolare pubblicò nel 1574 delle Composizioni volgari e latine fatte da diversi nella venuta in Venetia di Henrico III, re di Francia e di Polonia, alcune delle quali, secondo Cristoforo Tentori, sarebbero opera dello stesso Farri.
L'abitudine di ristampare, e talvolta di contraffare, le edizioni di successo di altri editori veneziani lo pose talvolta in contrasto con l'Inquisizione ecclesiastica. Nel 1567 il F. ristampò abusivamente il Catechismus tridentino concesso l'anno prima in esclusiva con privilegio quinquennale dal papa Pio V a Paolo Manuzio. In questo caso il pontefice era riuscito anche ad ottenere, tramite il nunzio apostolico a Venezia G. A. Facchinetti, l'estensione del suo privilegio nella stessa Repubblica di S. Marco. La contraffazione del F., che presentava sul frontespizio pure il tradizionale marchio manuziano dell'ancora, fu tuttavia presto smascherata su pronta reazione dello stesso Paolo Manuzio. Il sostegno pontificio alle proteste di quest'ultimo fu im mediato ed efficace, tale da indurre lo stesso Senato veneziano a proibire al F. di vendere la sua ristampa e a concedere un proprio privilegio ventennale all'edizione manuziana.
L'episodio non bastò a scoraggiare il F. dall'intraprendere altre iniziative del genere. Del resto alla sua parola di non impegnarsi più in futuro nella ristampa del Catechismus tridentino non tutti credettero. Lo stesso Paolo Manuzio temeva che la ristampa del Catechismus proseguisse clandestinamente. Nel 1571, il F., insieme con Girolamo Bellabarba, Giacomo Leoncini, Domenico Nicolini e Francesco Rampazetto, fu convocato dal S. Officio per aver abusivamente stampato un Officium Mariae, privilegiato dalla corte pontificia a Bernardino Torresani. Nella sua difesa lo stampatore sostenne di non avere avuto responsabilità dirette nell'esecuzione del libro, ma di essersi limitato ad accettare una commissione dello stampatore Pietro da Fino, un piccolo immatricolato all'arte con bottega all'insegna del Gallo. Ancora nel 1590 il S. Officio lo processò per aver pubblicato un Examen ordinandorum senza averlo sottoposto preventivamente all'esame dell'inquisitore. Il F., che si trovava a Bologna al momento in cui era stata notificata l'accusa, si giustificò affermando di aver acquisito il libro dagli eredi di Francesco Ziletti, il quale già in precedenza l'aveva stampato dopo averlo fatto correggere a Roma. Non subì alcuna condanna, ma fu invitato a sottoporre alla revisione ogni, opera che intendeva stampare.
Il F. fu regolarmente inserito nella corporazione dei librai e stampatori di Venezia, nell'ambito della quale non fu mai eletto a cariche di grande rilievo. Tra 1579 e 1584 la sua presenza al capitolo dell'arte fu assidua. In tale periodo fu anche nominato perito per gli esami d'ammissione degli stampatori. In seguito la sua presenza alle riunioni plenarie degli stampatori divenne molto più saltuaria. Le ultime notizie certe della sua esistenza in vita risalgono al 19 ott. 1601, quando appunto partecipò ad un capitolo generale. Ma nello stesso 1601 dalla sua tipografia uscì il Fuggilozio di Tommaso Costo che risulta edito dagli eredi di Domenico Farri. Tre anni dopo, il 23 dic. 1604, il suo posto nell'arte fu preso dal figlio Onofrio.
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