FERRATA, Domenico
Nacque a Gradoli (prov. di Viterbo, ma diocesi di Montefiascone) il 4 marzo 1847, terzogenito dei sei figli viventi di Giovan Battista e di Maria Antonuzzi, piccoli proprietari terrieri di civile condizione e di radicati principi religiosi.
La famiglia, oriunda di Orvieto, si era trasferita a Gradoli verso la metà del sec. XVII, come risulta dai registri parrocchiali. Il F. ricevette i primi insegnamenti nella locale scuola comunale tenuta dal can. D. Collarini. Alla fine del 1857 fu mandato a frequentare come esterno i corsi dei gesuiti di Orvieto; dopo un avvio difficile ottenne i tre primi premi della sua classe. Proseguì dunque brillantemente, fino a conseguire, al terzo anno di grammatica, tutte le cinque medaglie conferite ogni anno, una per materia, dal Consiglio municipale. In quel periodo incorse in un grave incidente di cavallo che lo costrinse lungamente a letto. Per l'allontanamento dei gesuiti da Orvieto in seguito agli avvenimenti politici di quel periodo, trascorse a Gradoli l'anno 1860-61, continuando però a studiare privatamente con don G. B. Polverini, sicché l'anno seguente fu ammesso alla classe di retorica del seminario di Montefiascone, ottenendo ancora una volta, a fine anno, il primo premio in tutte le materie.
Conquistatasi la fama di brillantissimo studente, a 16 anni, munito dei soli ordini minori, venne nominato canonico della collegiale di Gradoli, con 40 scudi di prebenda; altri successi ottenne nei corsi di filosofia, coronati nel 1866 dalla designazione a presidente dell'accademia letteraria del seminario. In quel periodo perse prematuramente la madre, morta a soli 42anni. Verso la metà del 1866 il padre lo richiamò in famiglia, per poi mandarlo a Roma, iscrivendolo alla facoltà di teologia della Sapienza, dove ebbe per principale maestro T. Martinelli. Fu alla fine del primo anno di teologia che egli decise di abbracciare lo stato ecclesiastico, spintovi dal suo confessore. Ricevuti con i debiti intervalli i due primi ordini maggiori, ottenuta dispensa per l'età, fu ordinato sacerdote il 18 sett. 1869 e celebrò la sua prima messa a Gradoli l'8 ottobre. Il curriculum di studi continuò brillantissimo: ottenne il primo premio e il dottorato in teologia e in filosofia superiore. Rientrato a Roma dopo l'ordinazione, prese a frequentare il corso di diritto canonico del collegio di S. Apollinare, conseguendo in due anni anche quel dottorato. Cominciò allora il praticantato di diritto civile nello studio dell'avv. G. Marinelli e quello di diritto canonico nello Studium della congregazione del Concilio, accettando, quindi, dal card. P. Caterini, prefetto del Concilio (e suo conterraneo, essendo di Onano, nei pressi di Gradoli), l'incarico di continuare la compilazione dell'index delle decisioni di quella congregazione: ne completò solo due volumi perché chiamato ad altri incarichi. Nel dicembre 1873 il suo antico professore Martinelli, elevato alla porpora, gli propose di divenire suo segretario e uditore, funzioni che il F. tenne per quattro anni, ma che non l'assorbivano molto, onde poté continuare agevolmente l'approfondimento dei suoi studi, cercando di segnalarsi anche in altri campi.
Del periodo che va dal 1872 al 1877 egli annota nei suoi Mémoires "je n'avais pas d'autre préoccupation que de me procurer par mon travail une honnéte situation à Rome". Con rescritto 14 genn. 1874 fu nominato procuratore presso la congregazione dei Riti e si dedicò completamente all'introduzione e al patrocinio di numerose cause di beatificazione e di canonizzazione. Il suo impegno maggiore in questo campo consistette nel sostenere il progetto dei minori osservanti di far dichiarare s. Bernardino da Siena dottore della Chiesa, impegno che lo assorbì per anni, con la presentazione di una sua apprezzata memoria di oltre 300 pagine, che non raggiunse lo scopo solo per ragioni di opportunità (erano stati da poco proclamati dottori della Chiesa s. Alfonso de' Liguori e s. Francesco di Sales).
A questa attività di avvocato si aggiunsero presto altri incarichi: il 30 apr. 1876 fu nominato "professore accademico" (supplente) di diritto canonico al Seminario pontificio e, il 3 febbr. 1877, supplente al collegio di Propaganda Fide per le cattedre di storia ecclesiastica, di diritto canonico e di teologia sacramentale. Una serie di fortunate circostanze pose fine a tali attività: il card. Caterini aveva proposto a Pio IX di nominare il F. sottosegretario alla congregazione del Concilio, ma il papa aveva già scelto un altro candidato; tuttavia, dispiaciuto della delusione del vecchio cardinale, ricevendo subito dopo mons. W. Czacki, polacco, allora segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari (il ministero diplomatico), gli propose il F. per la sua congregazione, e quello accolse la proposta.
Così, con "biglietto" del 27 apr. 1877, il F. fu nominat " aggiunto", ossia minutante, presso quella congregazione, poco conosciuta, la quale, fondata solo all'inizio del secolo e circondata da discrezione e quasi dal segreto, curava tutti gli affari più delicati concernenti i rapporti della S. Sede con i governi esteri, i difficili negoziati con alcuni di essi e la situazione politico-religiosa dei vari Stati. La segreteria, oltre al segretario e al sottosegretario, comprendeva un certo numero di attachés (i minutanti) e qualche copista, tutti aspiranti alla carriera diplomatica e per lo più provenienti dall'Accademia dei nobili ecclesiastici. Il F. fu ben presto apprezzato e valorizzato dallo Czacki, che, quando nel 1879 fu destinato, in qualità di nunzio apostolico, a Parigi, lo volle con sé come uditore di nunziatura. Questo periodo di apprendistato fu di grande importanza per il F., che maturò allora una profonda conoscenza del mondo francofono e un grande amore per la Francia (di cui fece sua la lingua), che non lo abbandonò più. In quella sede dovette affrontare una difficile situazione: la nuova tattica della S. Sede sulla questione delle Congregazioni religiose portò a un grave attrito con i monarchici, con duri attacchi nei riguardi di mons. Czacki, che nell'ottobre 1882 fu richiamato ed elevato al cardinalato. Nel marzo di quell'anno il F. era stato designato, col rango di ablegato, a consegnare all'Eliseo la berretta cardinalizia al neo eletto C.-M. Allemand-Lavigerie.
Rientrato a Roma nella primavera del 1883 (aveva sostenuto l'interim fino all'arrivo del nuovo nunzio mons. C. di Rende, e poi gli aveva fatto da uditore per i primi tempi, mettendolo al corrente degli affari), dopo tre mesi di vacanza a Gradoli fu nominato sottosegretario agli Affari ecclesiastici straordinari, ma solo per pochi mesi: Leone XIII lo scelse per una delicatissima missione in Svizzera, dove da oltre vent'anni la situazione religiosa era turbata; egli avrebbe dovuto risolvere gli intricati e delicati problemi della diocesi di Basilea e del suo vescovo mons. E. Lachat, nonché la questione, che si trascinava da secoli, dell'istituzione di una diocesi del Ticino, con territori da sottrarsi alle diocesi italiane limitrofe.
La missione cominciò con un primo viaggio segreto di esplorazione, a Berna e a Bellinzona, con risultati che persuasero la S. Sede ad aprire ufficialmente le trattative, nominandolo delegato. Così il 12 ag. 1884 ebbe inizio la conferenza di Berna, nella quale il F. ebbe come controparti i rappresentanti del Consiglio federale A. O. Oepli, protestante, e R. Peterelli di Savognino, cattolico, conferenza che si concluse con la convenzione del 1º sett. 1884 sui problemi della diocesi di Basilea. La discussione sulla secolare questione ticinese, oggetto della seconda missione del F., fu molto più difficile e comportò diversi viaggi fino al dicembre 1884, quando si riuscì ad ottenere l'approvazione da parte del Gran Consiglio federale delle convenzioni del 21 agosto e del 23 sett. 1884. Queste contenevano soluzioni provvisorie favorevoli ai cattolici, insufficienti però a definire completamente i problemi, tanto che nel febbraio-marzo 1888 il F., sebbene ormai impegnato in Belgio, dovrà affrontare una terza missione in Svizzera articolata in quattro conferenze e conclusasi, con soddisfazione del card. M. Rampolla dei Tindaro, segretario di Stato, con una più chiara convenzione, ratificata dal Consiglio federale e dalla S. Sede, fra i positivi commenti della stampa svizzera di ogni tendenza.
Rientrato, dunque, nel 1884 a Roma, il F. fu premiato con un canonicato della patriarcale basilica di S. Maria Maggiore, mentre Leone XIII gli offrì personalmente la carica di delegato apostolico a Costantinopoli, che egli ricusò, chiedendo invece, inaspettatamente, quella di presidente dell'Accademia dei nobili ecclesiastici, accordatagli il 18 dic. 1884; ma anche questa per soli tre mesi, perché il 15 marzo 1885 venne nominato nunzio in Belgio, per una missione d'enorme difficoltà, in un paese che da quattro anni aveva rotto le relazioni diplomatiche con la S. Sede e dove i liberali avevano annunciato guerra aperta a questo tentativo di ravvicinamento. Prima della partenza il F., che era già prelato domestico, venne creato arcivescovo titolare di Tessalonica e consacrato il 19 aprile a S. Agostino dal card. L. Jacobini, segretario di Stato, assistito dai vescovi belgi di Namur e di Tournai. All'inizio di giugno fece a Bruxelles un ingresso abilmente discreto e senza risonanza.
Subito cercò contatti amichevoli e privati con gli esponenti liberali, evitando con cura di compromettere la S. Sede nelle competizioni elettorali (che videro un trionfo dei cattolici il 12 giugno 1888) e assumendo una posizione moderata sulle scottanti questioni del divorzio, dei cimiteri e del servizio personale nell'esercito, in contatto con importanti uomini politici, come J. Bara e H.-J. Frère-Orban, pur mantenendo ottimi rapporti con Leopoldo II e con la corte. Riuscì così a far cessare ben presto i violenti attacchi della stampa liberale contro la nunziatura. All'inizio del 1889 (dopo la già menzionata ultima missione svizzera) si ritenne a Roma che la situazione belga fosse ormai sufficientemente pacificata, onde il F. venne richiamato, ricevendo questa volta in cambio l'importantissima carica di segretario di quella congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari nella quale aveva mosso i primi passi.In tale ruolo, sul finire del 1889, fu incaricato di redigere un approfondito rapporto sulla situazione politico-religiosa in Francia (cfr. Mémoires, II, pp. 20-27), lavoro che comportò molte ricerche e numerosi abboccamenti con il papa, che pare siano stati determinanti nel decidere quest'ultimo a prendere la strada della riconciliazione con la Repubblica francese (per questa importante influenza sulle scelte politiche di Leone XIII cfr. ibid., pp. 8 ss.). Su tali basi, qualche mese dopo lo "scandaloso" brindisi indirizzato in Algeri agli ufficiali della flotta francese dal card. Allemand-Lavigerie il 12 nov. 1890, brindisi che aveva indignato i conservatori francesi mentre era stato apprezzato a Roma, Leone XIII, ritenendolo il più adatto a portare avanti questa nuova politica, nel luglio 1891 nominò il F. nunzio in Francia.
Le buone relazioni e le amicizie che questi aveva mantenuto in quel paese dai tempi del suo auditorato del 1879-82, le ormai collaudate qualità diplomatiche, la nota simpatia per la Francia e per la democrazia (rafforzata forse da un certo rancore per il neo-Regno italiano) fecero si che fosse accolto molto bene dal governo e dagli ambienti politici francesi. Tuttavia il prinio periodo fu irto di difficoltà, soprattutto per le divisioni del clero e dei cattolici davanti al nuovo corso della politica vaticana. L'azione del F. si rivolse anzitutto alla creazione di contatti personali nel mondo parlamentare, tendendo a stabilire rapporti piuttosto con i ministri degli Esteri (specialmente A-F. Ribot) che con quelli del Culto, spesso più settari, sebbene i frequenti cambi di ministero lo costringessero a riprendere ogni volta l'opera da capo. Comunque i suoi interlocutori più difficili non furono i radicali, ma i monarchici e i cattolici oltranzisti, che volevano presentarsi come i soli legittimi difensori della Chiesa, avendo dalla loro buona parte del clero secolare e delle congregazioni religiose. Diversi avvenimenti vennero a rendere più difficile l'opera di conciliazione del F.: all'inizio il processo e la condanna (24 nov. 1891) di mons. F.-X. Gouthe-Soulard e l'affaire dei supplementi al catechismo sui doveri elettorali pubblicati da alcuni vescovi, nonché le pubbliche dichiarazioni di cinque cardinali contenenti le doléances dei cattolici francesi; in seguito la pubblicazione, nel febbraio 1892, dell'encielica Inter sollicitudines, che riprendeva le dichiarazioni dei cinque cardinali, anche se poi moderata dalla lettera pontificia del maggio che portò allo scioglimento dell'Union de la France chrétienne.
Il F., attraverso i suoi rapporti con E. Loubet, E.-H. Brisson, M-F. Carnot, e soprattutto col Ribot, che in quel periodo divenne primo ministro, riuscì ad evitare rotture, giungendo alle elezioni legislative dell'agosto-settembre 1893 e al ministero di C.-A. Dupuy, che accettò d'impegnarsi a collaborare alla pacificazione religiosa. Una battuta d'arresto si ebbe per la pretesa governativa (poi abbandonata) d'impadronirsi delle carte del card. AllemandLavigerie, finché con l'avvento del ministero di J.-P. Casimir-Perier, si ebbe la dichiarazione governativa del marzo così favorevole all'"ésprit nouveau".
Anche nel 1894 tuttavia nuove spinose questioni vennero a mettere alla prova le qualità diplomatiche del F., come l'applicazione della legge 26 genn. 1892 sulla contabilità nella edificazione delle chiese, con cui si erano volute sottomettere tali costruzioni alle regole in vigore per tutti gli altri edifici pubblici; o, particolarmente pericoloso, un progetto d'applicazione della legge del 1882 per le imposte sulle Congregazioni, che solo la sagacia del F. riusci con fatica a contenere nei limiti di un compromesso accettabile, grazie ai suoi personali contatti col ministro Ribot, col presidente F. Faure e con molti deputati e senatori, mentre tratteneva i cardinali di Parigi e di Reinis, favorevoli alla resistenza ad oltranza. Non meno difficile sarà sedare le turbolenze nate sulla questione del monopolio delle pompe funebri, che egli riuscì a sdrammatizzare e diluire, facendola scorrere dal ministero Casimir-Perier a quello Dupuy, a quello Bourgeois, a quello Ribot del 1895.
L'assassinio del presidente Carnot il 24 giugno 1894 e l'elezione a capo dello Stato del Casimir-Perier, col quale il F. era da sempre in buoni rapporti, spinse il papa, da lui incontrato più volte durante una vacanza in Italia, ad incaricarlo di prendere con Casimir-Perier contatti diretti: le dimissioni di quest'ultimo, il 16 genn. 1895, bloccheranno però il progetto. Nel 1895, formatosi un ministero Ribot, il F. poté con discrezione e tatto ottenere (emendamento Lemire della legge) la restituzione al clero di rendite già soppresse, il mantenimento dell'ambasciata presso la S. Sede che si voleva abolire e la contrastata erezione della basilica di St-Denis in chiesa parrocchiale. Non è possibile esaminare qui tutti i singoli casi, ma nel periodo della sua nunziatura il F. condusse in porto (a volte tra grandi difficoltà e grazie a raffinate schermaglie) la nomina di ben 45 vescovi.
La sua abilità dovette esplicarsi, forse più che verso i governanti francesi, verso il clero di quella nazione, da sempre portato a gallicane indipendenze, riuscendo a guidare la maggior parte dei vescovi ad una certa unità d'azione e ad una qualche moderazione nelle prese di posizione pubbliche. Fu aiutato in questo soprattutto da A. de Mun, già fiero monarchico, campione dell'Azione sociale-cristiana, che pervenne a formare in Parlamento un gruppo di sostenitori della Destra ralliée, che confluirà nell'Action liberale. Vista la denuncia del concordato che si verificherà nel 1905, è forse giusto rimproverare al F. un eccesso di ottimismo per la sua convinzione che fosse possibile allora un definitivo ravvicinamento in Francia fra la Chiesa e la Repubblica laica, ma certo egli riuscì in pochi anni a modificare per il meglio la situazione, ad attenuare le reciproche prevenzioni, ad evitare molte misure contro la Chiesa che sembravano orinai inevitabili, obbligando i radicali a rimandare i progetti di denuncia dei concordato e di abolizione del budget per il culto. Al momento della sua partenza Le Temps del 22 ott. 1896 poteva scrivere di lui: "Il y a quelque mauvaise foi à lui reprocher de n'avoir pas remporté certaines victoires, lorsqu'il est constant qu'il a su éviter des défaites autrement graves".
Leone XIII, a seguito della sostituzione dell'ambasciatore francese E. Lefebvre de Béhaine col poco gradito E.-R. Poubelle, e anche per liberare il F. da un peso ormai eccessivo, sotto gli attacchi incrociati dei clericali e degli anticlericali, aveva deciso di richiamarlo: ma prima, nel concistoro segreto del 22 giugno 1896, volle elevarlo al cardinalato. La berretta gli fu imposta il 4 luglio all'Eliseo dal presidente Faure. Il F. fu pregato di trattenersi a Parigi fino al novembre, per incontrarvi lo zar Nicola II in visita ufficiale, anche se quello si mostrò alquanto prevenuto nei riguardi dei rappresentanti della S. Sede. Infine, dopo una visita ad Amiens ed un pellegrinaggio a Lourdes, fece ritorno a Roma. Nel concistoro del 3 dic. 1896 gli fu attribuito il titolo di S. Prisca, da lui espressamente richiesto perché quella chiesa era affidata agli eremitani di S. Agostino, ai quali la sua famiglia era legatissima (suo fratello Angelo, distinto filosofo, autore di Osservazioni sulle leggi della conoscenza, Roma 1891, ne era procuratore generale, e vi appartenevano due suoi nipoti e lo zio materno F. Antonazzi).
Come d'uso, il F. venne subito annoverato fra i membri di tre congregazioni, quelle degli Affari ecclesiastici straordinari, del Concilio e dei Riti; se ne aggiungeranno in seguito altre. Ben presto fu incaricato di dirigerne alcune come prefetto: dapprima quella delle Indulgenze e Sacre Reliquie per pochi mesi, poi quella dei Riti il 22 ott. 1900, dalla quale, pur conservandone la proprefettura, il 27 nov. 1902 passò a quella dei Vescovi e Regolari. Grande attività svolse nella congregazione dei Riti promuovendo cause di vasta risonanza, specialmente in Francia, come quelle di canonizzazione di Giovanna d'Arco, del curato d'Ars e di Bernadette Soubirous, ma anche quella dei martiri dell'Uganda, che gli stava particolarmente a cuore come fervente sostenitore delle missioni coloniali (aveva fondato una casa in Congo, una in India ed una in Manciuria); nella medesima congregazione poi, con decreto 28 nov. 1902, istituì quella commissione speciale che viene considerata la matrice originaria della benemerita "Sezione storica".
Dal 19 giugno 1899 al 19 aprile 1900 fu camerlengo del S. Collegio, ed il 7 apr. 1913 sarà elevato ad arciprete dell'insigne arcibasilica Lateranense. Quando Pio X nel 1908 volle riformare la Curia, il 26 ott. affidò l'organizzazione della nuova congregazione della Disciplina dei sacramenti al F., che in quell'ambito ebbe parte importante nella preparazione del decreto del 1910 sulla comunione dei bambini. Il 2genn. 1914, dopo la morte dei card. Rampolla, assunse anche l'incarico di segretario del Sant'Uffizio, particolarmente rilevante in quegli anni turbati dalle controversie sul modernismo; infine prese parte molto attiva alla compilazione del nuovo codice di diritto canonico, facendo parte di entrambe le commissioni cardinalizie istituite da Pio X a tale scopo, in stretta collaborazione col card. P. Gasparri, cui era legato da fraterna amicizia dai tempi di Parigi. Nell'aprile di quello stesso anno fu inviato a Malta come' legato apostolico, per presiedervi il congresso eucaristico internazionale, nel corso del quale pronunziò un importante discorso, che venne variamente corrunentato. All'inizio del conclave seguito alla morte di Pio X fu annoverato fra i papabili come uno che avrebbe posto fine agli eccessi dell'integralismo, ma le potenze centrali lo consideravano troppo francofilo, e non raccolse voti. Tuttavia Benedetto XV, immediatamente dopo l'elezione, il 3 sett. 1914, lo nominò segretario di Stato: il F., sebbene la sua salute non fosse buona, accettò.
Il 10 ott. 1914, dopo breve malattia, morì a Roma nella sua residenza di Ara Coeli. Per sua espressa volontà la salma venne traslata e sepolta a Gradoli.
Il F. aveva pubblicato solo un certo numero di Orazioni da lui tenute in varie occasioni: tutte furono riunite, insieme ad altre inedite, in un unico volume, Discorsi del card. Domenico Ferrata, Roma 1910; tra le più interessanti si segnalano quella di Malta sovramenzionata, e sopratutto quella pronunciata l'8 dic. 1901 nella sede della Associazione cattolica-artistico-operaia di carità reciproca, di cui fu gran protettore (pp. 267 ss.).
Aveva lasciato minuziose ed interessanti memorie manoscritte, in lingua francese, sulla sua vita e soprattutto sulle sue esperienze in diplomazia fino alla fine della nunziatura in Francia: per espresso desiderio di Benedetto XV, che inirava a ristabilire le relazioni diplomatiche con la Francia, il fratello Nazzareno ne curò la pubblicazione in tre ponderosi volumi, Mémoires. Roma 1920. Uscì poi un'edizione ridotta, m un unico volume, Ma nonciature en France, Paris 1922. Si tratta di una fonte di grande interesse per la storia della diplomazia vaticana e di quelle francese e belga, stesa in stile gradevole e chiaro, e con toni di apprezzabile serenità, sebbene talvolta sfiorata da un sospetto di apologia, pur molto discreta, per il proprio operato e per le scelte politiche della S. Sede da lui influenzate. Comunque certo gli scritti non possono rendere i "modi incantevoli" e lo charme personale di cui testimoniano coloro che lo conobbero.
Fonti e Bibl.: L'Osservatore romano, 1885, n. 90; 1886, n. 278 e 1899, n. 140; E. Gentili, Sonetto per la consacrazione di mom. D. F. ad arcivescovo di Tessalonica, Roma 1885; H. des Houx, Souvenirs d'un journaliste français à Rome, Paris 1886, p. 65; L'Eclaire, 22 ott. 1896; L'Illustr. ital., 5 luglio 1896, p. 10;10luglio 1903, p. 47; 13 sett. 1914, p. 241; Civiltà cattolica, LXV (1914), t. IV, p. 355; C. Salotti, L'opera diplom. e sacerdotale del cardinal D. F. segretario di Stato di S. S. Benedetto XV Roma 1915; N. Ferrata, Avant-propos ed Epilogue ai Mémoirés del F., Roma 1920 (alle pp. 421 s. la trascrizione della lunga e particolareggiata biografia-elogio scolpita sul luogo di sepoltura a Gradoli); Ch. Woeste, Mémoires, I, Bruxelles 1927, p. 318; E. Vercesi, Il Vaticano, l'Italia e la guerra, Milano 1928, p. 48; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I, Milano 1932, pp. 435 s., 998; II, ibid. 1933, passim;L. von Pastor, Tagebücher, a cura di W. Wühr, Heidelberg 1950, pp. 415, 498; F. Engel Janosi, Oesterreich und der Vatican, II, Graz 1960, pp. 18 ss.; C. Zerba, Nel cinquantenario del decreto "Quam singulari...", Città del Vaticano 1961, pp. 13 ss.;P. A. Frutaz, La Sezione stor. della s. congregazione dei Riti, Città del Vaticano 1963, pp. 9, 33 ss.; M. Liebinann, Cardinal Piffl. Les conclaves de Benoit XV et de Pie XI, in La Revue nouvelle, XXXVIII (1963), pp. 34-52 (specialm. pp. 35, 42 s., 45 s.); Enciclopedia Italiana, XV, s. v.; Enciclopedia Cattolica, V, coll. 1195 s. (di G. Ronca, con fatoritratto); New Catholic Encyclopedia, V, p. 894 (W. H. Peters); Catholicisme Hier-Aujourd'hui-Demain, IV, Paris 1948, pp. 1198 s. (G. Jacquemet); Lexicon für Theologie und Kirche, IV, p. 89; A. De Gubernatis, Piccolo Diz. dei contemporanei ital., Roma 1895, ad vocem; Dict. d'histoire et de géographie ecclés., XVI, coll. 1929-34 (R. Aubert). Sui Mémoires del F.: Léon Grégoire (pseudon. di G. Goyau), in Revue des deux mondes, s. 6, XLI (1921), pp. 392-407; E. Pucci, "Les Mémoires" del card. F., in Nuova Antologia, 16apr. 1921, pp. 354 ss.; Y. de la Brière, in Études, CLXX (1922), pp. 606-14; C. Terlinden, in Revue d'histoire ecclés., XIX (1923), pp. 274-79; P. Pirri, La politica di Leone XIII nelle "Memorie" del card. F., in Civiltà cattolica, LXXVII (1926), t. III, pp. 227-239, 488-502; U. Stutz, Die päpstliche Diplomatie unter Leo XIII., nach den Denkwürdigkeiten des Kard. D. F., in Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, 1926, nn. 3-4, pp. 1-154.