FREGOSO (Campofregoso), Domenico
Nato presumibilmente a Genova intorno al 1325 da Orlando (Rolando) e da una Manfredina di cui si ignora il casato, fu il primo tra i membri della sua famiglia a ricoprire la carica di doge. Ricco mercante, seguì l'esempio del padre, già castellano di Gavi, Voltaggio e Portovenere, nel dedicarsi alla vita politica di Genova.
Il Ganduccio lo menziona, non si sa con quanta attendibilità, tra i capitani delle galee genovesi guidate nel 1353 da Antonio Grimaldi contro i Catalani. Di parte popolare e ghibellina, il F. occupò cariche di prestigio nei più importanti uffici amministrativi della Repubblica: fu membro del Consiglio degli anziani nel 1360, ufficiale di Credenza nel 1361 e priore dell'ufficio di Gazaria, la magistratura preposta alle colonie orientali e alla navigazione, nel 1364. Collaboratore di fiducia del doge Gabriele Adorno, ebbe da lui l'incarico di vicario del Popolo, che esercitò con il collega Guglielmo Ermerio, come lui di parte popolare, ma guelfo.
Il 13 ag. 1370, approfittando del malumore suscitato nella popolazione dall'imposizione di un nuovo gravame fiscale sul sale, i due vicari riunirono il popolo a consiglio nella chiesa di S. Maria delle Vigne, quindi marciarono contro il palazzo ducale. Gabriele Adorno, dopo un vano tentativo di chiamare in soccorso il popolo, si diede alla fuga, mentre gli insorti elevavano al dogato il Fregoso. Rifiutata la prima nomina, da lui considerata in difetto di legittimità, il F. fece ratificare la propria elezione, il giorno seguente, dal Consiglio degli anziani.
Conquistato il potere, il F. si confermò nel favore del popolo annullando le gabelle imposte dal suo predecessore e riaffermando su Genova la supremazia della parte popolare. Nel 1371, confinato Gabriele Adorno nel castello di Voltaggio, il F. dovette domare la ribellione della famiglia Fieschi, intesa a ripristinare il dominio guelfo su Genova; in tale occasione le truppe del doge si impadronirono del castello di Roccatagliata, ricovero dei fuorusciti della Repubblica e base di partenza delle scorrerie dei Fieschi. Il 10 dic. 1371 venne eseguita pubblicamente la condanna a morte contro due cittadini genovesi di parte guelfa, uno di estrazione nobiliare, l'altro popolare, accusati di aver cospirato contro il governo del popolo. Un nuovo complotto venne scoperto grazie alla delazione del popolare Tommaso Ilioni, che fornì al doge gli estremi per neutralizzare l'impresa di Giovanni Fieschi, vescovo di Vercelli, spintosi fino a Bargagli con 800 cavalieri.
Risolti i problemi interni, il F. si dedicò alla salvaguardia delle rotte commerciali marittime, infestate dai pirati. Al comando di una flotta di dieci galee, Tommaso Morchio, di parte popolare, attaccò le basi di Malta e di Mazara, in Sicilia, scacciandone gli avversari e riportandone un ricco bottino. In questo stesso periodo, il F. si adoperò per sedare le sollevazioni scoppiate in Corsica e concluse accordi favorevoli con l'Inghilterra, ottenendo la restituzione dei beni ivi sottratti ai genovesi e un indennizzo di 2.000 marchi d'argento.
Nel 1372, anno di epidemie e di grande incremento della mortalità, i Fieschi riuscirono a strappare a tradimento al controllo del doge il castello di Roccatagliata. Un evento ancora più grave si verificò ai danni della comunità dei mercanti genovesi in Oriente. Il 10 ott. 1372 scoppiava a Cipro, per motivi di protocollo, una contesa tra genovesi e veneziani nel corso della cerimonia di incoronazione di Pietro II di Lusignano. L'intervento della nobiltà locale contro i genovesi provocò tra questi numerose vittime, oltre al saccheggio del loro quartiere. Giuntane notizia a Genova, il F. decretò l'allestimento di una flotta poderosa, da lui affidata al fratello Pietro (I). Questi, raggiunte con il grosso dell'armata le galee di avanguardia, affidate a Damiano Cattaneo Mallone, pose l'assedio alla città di Famagosta il 10 ott. 1373. Il 21 novembre, dopo aver promosso un'inchiesta sulla possibilità di riscattare l'isola di Chio e il possesso di Focea dalla Maona, il F. stipulò con questa una serie di accordi che diede origine alla costituzione della Maona Nuova, riservandosi il privilegio di approvarne i membri. Tra i nuovi appaltatori dell'isola vennero registrati i figli del doge, Venerio e Giacomo, e suo fratello Pietro. Ulteriori vantaggi economici vennero alla famiglia Fregoso dal fortunato esito del conflitto contro Pietro II di Lusignano, risoltosi con il trattato del 21 ott. 1374: il 1° marzo 1375 Pietro Fregoso ricevette dal governo della Repubblica, su proposta del F., l'esenzione dalle imposte, estesa anche al figlio Rolando, la somma di 10.000 fiorini e un palazzo in S. Tommaso.
Nell'ottobre del 1376 il F. ricevette in Genova, con tutti gli onori, papa Gregorio XI, oramai intenzionato a lasciare Avignone per riportare a Roma la Sede apostolica. Ospitato nel palazzo donato dal Comune a Pietro Fregoso, il pontefice vi si fermò per pochi giorni, nell'attesa che le condizioni del mare gli permettessero di riprendere il viaggio.
Risolta la questione di Cipro, il F. si trovò ad affrontare nuovi contrasti in Oriente, motivati dalla rivalità commerciale con Venezia e dai problemi dinastici dei Paleologo di Bisanzio. Lo scontro, scoppiato per il possesso dell'isola di Tenedo, infeudata ai Veneziani e ai Genovesi rispettivamente da Giovanni V e da suo figlio Andronico IV, entrambi pretendenti al trono, si trasferì presto in Occidente, dando origine alla guerra di Chioggia. Il conflitto, ormai estesosi ben al di là delle premesse iniziali, contrappose alcune delle maggiori potenze dell'epoca: alla lega costituita da Venezia, dal re di Cipro e dai Visconti, il F. oppose la propria alleanza con Luigi I d'Angiò re d'Ungheria, con il patriarca d'Aquileia e con i Carraresi di Padova. Le ostilità scoppiarono nel 1377, in seguito all'occupazione di Tenedo da parte dei Veneziani; una flotta di dieci galee salpò allora da Genova nel mese di agosto, sotto il comando di Aronne di Struppa, in direzione del mare Egeo. Nel corso del 1377, il F. dovette affrontare, oltre a un terremoto che colpì, ma senza gravi danni, Genova, anche l'interdetto esteso dal pontefice ai territori della Repubblica per non aver espulso i cittadini di Firenze, colpita da scomunica.
Il 13 genn. 1378, vista l'impossibilità di far fronte alle continue rivolte in Corsica, il F. modificò, in accordo con il Consiglio degli anziani, i capitoli degli statuti che impedivano l'alienazione delle fortificazioni e delle spettanze del Comune nell'isola. Era forse intenzione del F. inserire i membri della propria famiglia nella maona alla quale si proponeva di infeudare la Corsica: progetto che venne però vanificato, pochi mesi dopo, dai rivolgimenti politici verificatisi a Genova.
Nel marzo 1378 una flotta genovese di dieci galee, capitanata da Luigi Fieschi, si scontrò nei pressi di Capo d'Anzio con l'armata veneziana al comando di Vettor Pisani. Un errore di valutazione commesso dal Fieschi, che attaccò l'avversario, numericamente superiore, solo con una parte della flotta, provocò la disfatta delle navi genovesi e la cattura del loro comandante. La sconfitta e il ritorno in porto di solo quattro delle galee partite infersero un duro colpo al prestigio di cui il doge godeva presso il popolo. La situazione fu ulteriormente aggravata dalla ribellione dei marchesi Del Carretto, che, su istigazione di Bernabò Visconti e di Venezia, si impadronirono di alcune località del Ponente, tra cui Noli e il Castel Franco. Il tradimento di Bernabò Visconti, protetto del F. e da lui investito della carica di podestà di Albenga, consegnò anche questa città nelle mani dei Del Carretto, per il tramite del loro alleato Giovanni Fieschi, vescovo del luogo.
Mentre il F., allo scopo di riprendere la guerra per mare, allestiva una flotta di ventidue galee, da affidare a Luciano Doria, la compagnia di ventura della Stella, al soldo dei Visconti e dei Veneziani, entrò in territorio genovese. Al comando di Astorre Manfredi, i mercenari valicarono il Giogo, saccheggiarono la Val Polcevera e si accamparono a Sampierdarena. Ingannato dalle voci, sparse ad arte dai suoi avversari, relative a un'ulteriore avanzata dei mercenari e all'avvicinamento di una flotta veneziana, il F. emanò, il 16 giugno 1378, un decreto che permetteva ai cittadini di prendere le armi. Il giorno successivo il popolo in rivolta diede l'assalto al palazzo ducale e, appiccato il fuoco alla torre, costrinse il F. alla resa. Mentre, in poche ore, il potere passava da Antoniotto Adorno a Nicolò Guarco, il F. e suo fratello vennero imprigionati.
La fuga di Pietro - o di entrambi, secondo quanto racconta G. Manetti (p. 126) - tramutò l'ordine di prigionia in bando. Il 17 ott. 1382 il doge Guarco e gli Anziani di Genova decretarono che il F., pagati i debitori o comunque stipulati accordi con loro, prestasse cauzione di 10.000 genovini a garanzia dell'impegno di osservare i termini a lui assegnati per l'esilio, comminato in perpetuo anche al fratello Pietro e al figlio Giacomo.
Si perdono, a questo punto, le sue tracce, forse egli rientrò in patria, come il figlio, nel 1383. Non sembra, peraltro, che vi abbia ripreso l'attività politica, nonostante il buon ricordo che il suo governo aveva lasciato presso i cittadini, almeno secondo l'opinione degli annalisti. Il Manetti (p. 128) lo dice già morto al momento dell'ascesa al potere del figlio Giacomo, nell'agosto del 1390: notizia confermata da un documento in data 22 nov. 1390, relativo a un negozio privato del doge (Arch. di Stato di Genova, Not. Antonio Credenza, cart. 411, c. 107r)
Fu sepolto nella chiesa di S. Marta, dove già riposavano le spoglie del padre Rolando.
Sposato con Limbania di Francesco Cocarello, dei suoi figli si ricordano Nicolosina, andata sposa a Edoardo Doria; Eufrasina, che ebbe per marito Luciano Biassia; Venerio, compartecipe della Maona di Chio, forse premorto al padre e Giacomo, doge di Genova per pochi mesi dal 1390 al 1391.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, Diversorum, reg. 497, c. 132r; Mss. 516: O. Ganduccio, Famiglie nobili, c. 29r; Genova, Bibl. Franzoniana, ms. Urbani 127: F. Federici, Abecedario della nobiltà ligustica, II, c. 113v; G. Stellae - I. Stellae Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 64, 162-164, 168, 171 s., 182, 185; G. Manetti, Elogio dei Genovesi, a cura di G. Petti Balbi, Milano 1974, pp. 32, 116, 126, 128, 177, 179; A. Rovere, Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XCIII (1979), pp. 134-137; A. Giustiniani, Castigatissimi Annali, Genova 1537, cc. CXXXVIIIv-CXLIv; U. Foglietta, Istorie di Genova, Genova 1597, pp. 305, 307, 313; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, I, Genova 1825, s.v.Campofregoso; G. Serra, Storia della antica Liguria e di Genova, II, Torino 1834, pp. 396-423; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova dalla sua origine al 1814, Genova 1935, pp. 299-318; M.G. Canale, Nuova istoria della Repubblica di Genova…, IV, Firenze 1864, pp. 46-68; F. Donaver, Storia di Genova, Genova 1890, pp. 156-163; U. Assereto, Genova e la Corsica 1358-1378, in Giorn. stor. e letterario della Liguria, I (1890), pp. 303-305, 309-326; L. Levati, I dogi perpetui della Repubblica di Genova, Genova 1928, pp. 48-57; Ph.P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island (1346-1566), Cambridge 1958, I, pp. 135-141, 462; II, pp. 80-90, 94-98, 102-127; T.O. De Negri, Storia di Genova, Milano 1968, pp. 476 s., 544; P. Litta, Le famiglie celebri d'Italia, tav. 1, s.v.Fregoso.