GENTILE, Domenico
Nacque a Bari, il 12 ott. 1680, da una famiglia della piccola borghesia cittadina. Grazie a una memoria tanto prodigiosa da divenire poi proverbiale, acquisì già nell'infanzia un'ottima conoscenza del greco e del latino, che gli risultò estremamente utile al momento di intraprendere gli studi giuridici.
Addottoratosi in diritto presso l'Università di Napoli sotto la guida di Nicola Capasso, il G. riuscì, grazie alla protezione del maestro, a percorrere con successo l'intero cursus honorum accademico, arrivando infine a sostituirlo nella primaria cattedra delle Pandette. Sempre grazie ai buoni uffici del Capasso, il G. riuscì poi, a entrare nella cerchia degli intellettuali partenopei vicini alla politica filocuriale promossa dal viceré card. Friedrich Michael von Althann.
Oratore e professore di feconda eloquenza, famoso per la sua capacità di chiosare un testo nel suo idioma originale, tanto greco che latino, il G. rimaneva strenuamente legato a una concezione degli studi giuridici che, contro ogni tentativo di innovazione, si ispirava alla miope e ostinata difesa della giurisprudenza umanistica e culta di stampo cinquecentesco, come tra l'altro testimonierà la sua ostilità nei confronti del Diritto universale di G. Vico, il quale a sua volta ricorderà i rilievi del G. nella lettera al padre Bernardo Maria Giacco del 12 ott. 1720.
Bello spirito, animatore degli ambienti intellettuali napoletani del tempo, assiduo frequentatore della cerchia di letterati che si riunivano intorno ad Agostino Ariani, rimatore di qualche fama - come testimoniano i dodici sonetti dedicati a una dama napoletana da lui amata e cantata con il soprannome petrarchesco di Lauretta, pubblicati nella Raccolta di rime scelte di vari illustri poeti napoletani, Firenze [Napoli] 1723 -, il G. non espresse una vera produzione scientifica. Delle molte opere progettate, nessuna di qualche rilievo arrivò a vedere la luce. Una storia particolare ebbe, poi, il progetto di comporre una vigorosa difesa del giurista francese della fine del secolo XVI Jacques Cujas (Cuiacio), contro gli attacchi mossigli dallo studioso Edmond Mérille alla metà del Seicento.
Nel 1722, nel momento in cui l'apologia del G. era pronta per la stampa, fu pubblicata a Napoli un'edizione dell'Opera omnia del Cujas, in cui era contenuta in appendice una dissertazione di François Ory (Osius Aurelius) intitolata Dispunctor ad Merillum, seu de variantibus Cujacii interpretationibus in libris Digestorum, che, composta nella metà del XVII secolo, anticipava molti degli argomenti del G. in difesa del giurista cinquecentesco.
Diffusasi nell'ambiente accademico e forense partenopeo l'ipotesi di un possibile plagio del G., questi, nonostante le insistenze dei suoi amici, bloccò la stampa della sua opera, di cui solo un ridotto sommario fu poi pubblicato, a Napoli nel 1729, da Giuseppe Pasquale Cirillo, altro allievo del Capasso, col titolo Dominici Gentilis i.c. et in Regia Neapolitana Academia iuris civilis primarii professoris vindiciarum secundum Cujacium adversus Merillum libri tres.
Nonostante l'infortunio, che pesò drammaticamente su tutta la sua esistenza, il G. continuò la sua ascesa nel mondo accademico. Il 19 genn. 1723 fu bandito, presso l'Università di Napoli, un concorso per la cattedra mattutina di diritto civile. Anche il giovane Vico - come questi ricorderà nella sua Autobiografia - decise di partecipare all'esame, scegliendo tra i tre temi proposti per la lezione di prova un passo delle Quaestiones di Emilio Papiniano, il cui commento venne da lui esposto il 10 apr. 1723. La commissione giudicante bocciò Vico all'unanimità per dividersi poi tra chi sosteneva un erudito di indiscusso valore, il sacerdote napoletano Pietro Antonio De Turris, e chi appoggiava il G., che, grazie ai buoni uffici del Capasso, godeva evidentemente dell'appoggio del viceré Althann. Il G. ottenne così la cattedra con quindici voti contro i quattordici del suo avversario.
Nel 1735, nel quadro della più generale riforma dello Studio napoletano progettata da Celestino Galiani, la cattedra del G. fu abolita, e questi passò quindi a coadiuvare, con pari dignità e trattamento economico, l'ormai stanco e invecchiato Capasso nell'insegnamento di diritto civile vespertino per poi subentrargli ufficialmente con un aumento di stipendio di 100 scudi.
Nonostante questi successi, che gran parte dell'opinione colta del tempo giudicò dovuti unicamente ai buoni rapporti politici e accademici, lo scandalo provocato dall'accusa di plagio non accennò a placarsi e continuò a perseguitarlo per il resto della vita. Fu questa la ragione - e non certo, come alcuni biografi settecenteschi favoleggiarono, il disdegnoso rifiuto oppostogli dalla sua Lauretta - che fece sprofondare il G. in una profonda depressione, degenerata in una successione di crisi nervose sempre più violente che lo spinsero, da ultimo, al suicidio.
L'11 apr. 1739, il G. si diede la morte gettandosi dal tetto della sua abitazione napoletana.
La notizia fu comunicata da Bartolomeo Intieri a Celestino Galiani in una lettera da Napoli del 14 apr. 1739 (Napoli, Bibl. della Soc. napoletana di storia patria, ms. XXXI.A.7, c. 38), con parole che costituiscono un impietoso epitaffio funebre: "Ieri l'altro il lettore Domenico Gentile si buttò da una finestra così alta, che restò ammazzato. Egli è morto come ha vissuto, cioè da pazzo. Mi ricordo della bella profezia che fece un personaggio di gran talento sopra la riuscita di questo pazzo furioso, quando gli fu conferita la cattedra per la violenza usata tunc temporis dal Cardinal d'Althan, che non era meno pazzo. Disse allora il mentovato personaggio, ch'il Gentile era più tosto ostinato, sfacciato e pazzo, che dotto".
Fonti e Bibl.: G.B. Vico, Autobiografia, in Opere, a cura di B. Croce, Bari 1929, pp. 113 s.; G.G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, II, Napoli 1754, pp. 258, 279; V. Ariani, Memorie della vita e degli scritti di Agostino Ariani alle quali precedono le notizie storiche di Marco Agostino Ariani, Napoli 1778, p. 169; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, II, Napoli 1787, pp. 92 s.; B. Croce, Bibliografia vichiana, accresciuta e rielaborata da F. Nicolini, I, Napoli 1947, pp. 127 s., 192 s.; R. Ajello, Arcana iuris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli 1976, pp. 182, 203, 242.