GIURIATI, Domenico
Nacque a Venezia l'11 nov. 1829. Nei giorni dell'insurrezione veneziana del 1848 il padre, Giuseppe, un ricco notaio, si era messo in luce come uno degli elementi più risoluti e attivi: successivamente era stato nominato generale della guardia civica ma, probabilmente per la vicinanza al radicalismo di personaggi come F. Dall'Ongaro e G.B. Varé, non era mai stato coinvolto nel governo della Repubblica. Sulla sua scia il G., che studiava giurisprudenza a Padova, frequentò gli stessi ambienti politico-giornalistici - il Circolo italiano, di cui il padre era presidente onorario; il giornale Fatti e non parole - e, non ancora ventenne, accorse con altri volontari alla difesa del forte di Marghera lasciato sguarnito dai Piemontesi in ritirata (11 ag. 1848). Quando la città si arrese (26 ag. 1849) padre e figlio condivisero la stessa sorte e mentre il primo fu inserito nell'elenco dei 40 cittadini proscritti dall'Austria e subito espulsi, il secondo lo seguì nell'esilio torinese che per 18 anni lo avrebbe tenuto lontano dalla città natale: un breve ritorno in patria a fine 1849 per sostenere un esame universitario gli costò l'arresto e la detenzione di qualche mese nelle carceri veneziane con l'accusa, dimostratasi infondata, di avere partecipato il 3 ag. 1849 all'aggressione alla residenza del patriarca J. Monico che si era espresso a favore di una rapida capitolazione. Nell'insieme, di questa prima esperienza civile, più tardi da lui rievocata in articoli (Vere cagioni della capitolazione di Venezia nel 1849 (con documenti inediti), estr. dalla Rivista storica del Risorgimento italiano, 1897) ovvero in occasione di una celebrazione (Discorso commemorativo della difesa di Venezia nel 48-49 detto nella sala del Maggior Consiglio il 22 marzo 1898, Venezia 1898), sarebbe rimasto il ricordo di un anno di resistenza gloriosa vanificata in parte dall'inazione della marina veneta, colpevole non tanto di non essersi battuta quanto di non aver garantito alla città assediata gli approvvigionamenti che l'avrebbero liberata dalla fame.
Al rientro a Torino il G. riprese gli studi e li completò nel 1853 con la laurea in giurisprudenza che conseguì anche grazie ad alcune agevolazioni accordategli dalle autorità sarde in virtù dei suoi trascorsi di combattente. La considerazione dell'ospitalità piemontese, dei soccorsi prestati ai fuorusciti degli altri Stati italiani, della libertà loro garantita influì positivamente sul giudizio che soprattutto in epoca cavouriana egli cominciò a farsi della realtà sarda, e ciò malgrado la sua contiguità all'opposizione democratica e mazziniana e i numerosi contatti che, anche per motivi professionali, lo legarono agli esponenti della Sinistra, da quella costituzionale di A. Brofferio e P.S. Mancini, a quella estrema del Varé, di M. Macchi, di G. Modena. Amico di tutti costoro, il G. non si fece mai coinvolgere nelle loro iniziative eversive, troppo preso dall'attività di avvocato che, iniziata subito dopo la laurea frequentando lo studio di C. Gastaldetti, lo aveva subito qualificato come giovane promessa del foro torinese attraverso la presenza nel collegio di difesa dei protagonisti dell'insorgenza aostana del dicembre 1854.
Impegno non minore gli era richiesto, intanto, dalla pubblicistica giuridica, cui aveva preso a dedicarsi con un Commento al Codice di procedura penale degli Stati sardi (Torino 1853), presto seguito dalle fatiche della Gazzetta dei giuristi, da lui fondata nel 1854 e diretta per otto anni, dalla collaborazione assidua per il settore del diritto alla Enciclopedia popolare dell'editore G. Pomba, e dalla compilazione della Giurisprudenza italiana di dieci anni 1860 a 1869. Repertorio generale alfabetico della giurisprudenza italiana dal 1860 al 1869 inclusive… (Torino-Roma-Napoli 1872).
Su un piano più generale, la posizione politica del G. ebbe senz'altro qualcosa di singolare non solo nell'interpretazione che in vecchiaia diede del processo unitario, da lui visto come l'esito di una sinergia (il "concorso delle due forze") tra l'accorta diplomazia del Cavour e la generosa predisposizione al sacrificio delle forze democratiche, ma anche nell'atteggiamento che sempre ebbe verso G. Mazzini, figura di cui il G., pur dicendosi "mazziniano giammai", avvertì per tutta la vita il fascino, tanto da riempire di riferimenti ammirati alla sua coerenza unitaria tutta la propria opera di divulgatore e di memorialista. La testimonianza maggiore di questa devozione l'avrebbe offerta infine raccogliendo, trascrivendo e introducendo nel volume Duecento lettere inedite di Giuseppe Mazzini. Con proemio e note (Torino-Napoli 1887) un'ampia documentazione - in pratica quasi tutto l'epistolario con G. Lamberti - messagli a disposizione dalla vedova del Varé.
Furono proprio le sue amicizie con i mazziniani a portarlo una seconda volta in prigione per una presunta complicità con gli organizzatori della fallita sollevazione genovese del 1857. Arrestato e trasferito a Genova, fu scarcerato dopo due settimane con una sentenza di non luogo a procedere e poté riprendere la professione forense. Deluso nelle sue aspettative di esule veneto dall'esito della guerra del 1859, visse gli anni che seguirono tra il dolore per la morte del Cavour, il disinganno della convenzione di settembre (1864) e l'attesa di una liberazione del Veneto che venne nel 1866 ma senza che egli - per la rottura di un braccio - potesse, come avrebbe voluto, contribuirvi di persona. Rimpatriato, mentre esercitava l'avvocatura entrò pure in una società per la coltivazione dei coloniali (cacao, zucchero, pepe): si voleva così collaborare allo sviluppo economico del Veneto, ma l'impresa non ebbe fortuna e, rifondata su altre basi, si trasformò in una normale società agraria che vivacchiò per qualche anno senza grandi profitti. Più importante era l'attenzione del G. all'arretratezza giuridica della regione, per uscire dalla quale sollecitò a più riprese l'unificazione legislativa col resto del paese (Della legislazione vigente nel Veneto. Lettere all'avv. Antonio Scotti, Bassano 1868; Dell'unificazione legislativa nel Veneto, estr. dall'Archivio giuridico, 1869): la perdurante confusione e sovrapposizione delle vecchie leggi austriache e di quelle italiane si traducevano per lui in una riduzione di libertà e a giovarsene era la Destra moderata che poteva contare nella regione su un elettorato fortemente conservatore. Di qui la sua critica trascorreva ai governi moderati e si faceva autentica denunzia nei confronti di quelli di F. Menabrea, accusati di avere moltiplicato i processi e ridotto al minimo l'opera legislativa, bloccato il progetto di codice penale e limitato l'autonomia della magistratura (Leggi e giustizia nel 1869, estr. dalla Rivista europea, gennaio 1870).
Il liberalismo del G. si precisava così come rivendicazione costante della legalità quale presupposto fondamentale della libertà. Bocciato in due diverse tornate elettorali del 1868 e 1869, piegò sempre più la professione a strumento di affermazione dei propri principî giuridici, difendendo gli incriminati per reati di stampa oppure sostenendo con passione la necessità di cancellare dal codice la pena capitale (Sulla pena di morte. Relazione all'Associazione degli avvocati della provincia giudiziaria di Venezia, seduta 4 ott. 1872, Venezia 1872) o battendosi per l'introduzione del divorzio, all'interno di un più ampio disegno comprendente anche l'emancipazione femminile. Fatte le prime prove come giornalista nella stampa d'opinione collaborando al radicale Bacchiglione di Padova e constatato il possesso di qualche dote anche come scrittore, il G. tentò quindi la strada della divulgazione giudiziaria con libri che, nascendo dalla sua esperienza, illustravano problemi, tecniche, magagne e ritardi della giustizia in Italia: questo il senso di volumi di grossa mole quali Arte forense (Torino 1878), Le leggi dell'amore (ibid. 1881; poi ibid. 1896), dedicato appunto alla questione femminile e al divorzio, Memorie di un vecchio avvocato (Milano 1888), Gli errori giudiziari. Diagnosi e rimedi (ibid. 1893), Il caso Amerling (in collab. con C. Lombroso, ibid. 1896), Come si fa l'avvocato (Livorno 1897; 2a ed., ibid. 1930). Scritti tutti con stile arguto e accattivante, ebbero un buon successo, anche se il piacere della buona prosa vi si convertiva spesso in compiacimento delle proprie qualità affabulatorie e il rischio della pedanteria, evitato grazie alla brillantezza del narrare, si riproponeva in forza di una certa prolissità e sovrabbondanza di esempi, appesantite per giunta dall'esibizione di un'erudizione non solo giuridica.
Degno compimento di tale esercizio di scrittura scopertamente letterario fu Sul confine. Narrazione giudiziaria (Milano 1892), il libro in cui l'impianto narrativo si richiamava più esplicitamente al genere del romanzo per raccontare, a sostegno delle tesi divorziste, il caso di due sorelle infelicemente sposate, la prima ridotta al suicidio, la seconda messa in condizione di ricrearsi una famiglia grazie a un divorzio svizzero. La questione aveva impegnato il G. come relatore del progetto di legge Villa quando era finalmente approdato al Parlamento nel 1882 in rappresentanza di uno schieramento progressista e antitrasformista che alla fine della XV legislatura (1886) non l'aveva più rieletto. Nello stesso quadriennio aveva anche presieduto l'Ateneo veneto e concludendo l'incarico aveva stilato un Commiato dalla presidenza dell'Ateneo veneto letto nella tornata 7 febbr. 1886 (Venezia 1886) che era stato il bilancio amaro di chi aveva inutilmente cercato di aprire l'istituzione alla vita cittadina.
Operoso anche in età avanzata, il G. fornì con le Memorie d'emigrazione (Milano 1897) una felice rievocazione dell'esilio torinese ispirandosi alla sua vecchia idea di una unità nazionale frutto dello sforzo comune di correnti politiche solo apparentemente contrapposte. Dopo aver vissuto per anni a Vittorio, si trasferì con la famiglia a Milano pubblicando qualche articolo sul Secolo. L'ultimo suo lavoro fu un volume su Il plagio (ibid. 1902), concretizzazione dell'incrocio a lui caro tra diritto e letteratura, ma al momento della morte, sopraggiunta a Milano l'8 marzo 1904 a causa di una polmonite, aveva già pronti i primi otto capitoli di un lavoro sulla beneficenza.
Fonti e Bibl.: In assenza di uno studio biografico sul G. e al di là di quello che si ricava dai suoi scritti, offrono molto poco i profili disponibili, a partire da quello di E. Pietriboni (D. G., in Ateneo veneto, CXL [1949], pp. 67-79, che si fonda su necrologi quali quelli de Il Gazzettino, 9 marzo 1904, Il Secolo, 9-10 marzo 1904 e L'Illustrazione italiana, 13 marzo 1904, p. 218) e sulle voci a lui dedicate da A. De Gubernatis, Piccolo diz. biografico, Roma 1895, p. 463; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 527; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce. Qualche riferimento alla vita e alle molteplici attività del G. in F. Nani Mocenigo, Della letteratura veneziana del sec. XIX…, Venezia 1916, pp. 560 s.; S. Cella, Documenti torinesi sull'emigrazione politica veneta (1849-1860), in Ateneo veneto, CLII (1961), pp. 2, 13; Id., L'emigrazione veneta in Piemonte, II, Tra il 1848 e il 1859, in Nova Historia, XIV (1962), pp. 181, 193 s.; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Milano 1978, ad indicem; G.B. Furiozzi, L'emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze 1979, ad indicem; Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. Il Veneto, a cura di S. Lanaro, Torino 1984, ad indicem; G.A. Cisotto, Aspetti del radicalismo veneto nel secondo Ottocento, in Movimenti politici e sociali nel Veneto dal 1876 al 1903. Atti del Convegno di studi risorgimentali. Vicenza… 1983, a cura di G.A. Cisotto, Vicenza 1986, pp. 50 ss.; Storia della cultura veneta, VI, Dall'età napoleonica alla prima guerra mondiale, Venezia 1986, ad indicem; M. Simonetto, Appunti su mito del buon governo austriaco, liberalismo e giuristi veneti dell'Ottocento, in Studi veneti offerti a G. Cozzi, Venezia 1992, pp. 419, 425 s.; M.R. Di Simone, Il diritto austriaco e la società veneta, in Venezia e l'Austria, a cura di G. Benzoni - G. Cozzi, Venezia 1999, p. 144.