GRIMALDI, Domenico
Nacque nel 1735 a Seminara, presso Reggio di Calabria, primogenito del marchese Pio, signore di Messimeri, e di Porzia dei Grimaldi di Polistena.
Il ramo calabrese dei Grimaldi, articolato nelle famiglie di Catanzaro, Polistena e Seminara, faceva risalire le proprie origini ai Grimaldi di Monaco. I rapporti con il ramo genovese della famiglia non si erano mai del tutto interrotti. Il padre, gentiluomo colto, capace, intraprendente, proprietario di un patrimonio terriero consistente ma non estesissimo, aveva cominciato a introdurre criteri nuovi nella conduzione delle sue terre. Sensibile alle inclinazioni dei figli (quantomeno dei quattro maschi, mentre quattro delle cinque femmine furono avviate alla vita conventuale), assecondò le loro attitudini.
Il G. ereditò dal padre lo spirito imprenditoriale, il desiderio di uscire dal chiuso ambiente calabrese, di cui ambedue avvertivano l'arretratezza, la passione per l'agronomia. A metà degli anni Cinquanta si trasferì a Napoli per studiare giurisprudenza, presto raggiunto dal fratello minore Franscescantonio. Ebbe allora occasione di seguire le lezioni di economia di A. Genovesi e di avvicinarsi alla conoscenza della cultura riformatrice. Fece parte, con il fratello, dell'Accademia dell'Arboscello, di cui erano membri anche Andrea Serrao, Andrea Leone, Domenico Diodati, e sviluppò legami di amicizia con Mario Pagano, Gaetano Filangieri, Melchiorre Delfico, Antonio Jerocades.
Compiuti gli studi universitari, nel 1765 il G. si trasferì a Genova, dove nel 1766 ottenne la riammissione a quel patriziato, il che gli permise di esercitare funzioni pubbliche, come la partecipazione alla magistratura degli Estraordinari.
In Liguria ebbe modo di frequentare il mondo politico e amministrativo e di sviluppare la sua più profonda vocazione per la cultura tecnica e agronomica. Avendo ben presente l'arretratezza in cui versavano i settori produttivi più tipici della Calabria (l'olio e la seta) e spinto dal desiderio di dare impulso alla conduzione del patrimonio familiare, il G. si informò sui metodi più moderni di lavorazione. Si recò perciò in Provenza per aggiornarsi su quelli in uso per la produzione dell'olio e in Piemonte, in Svizzera e in Francia per conoscere metodi e attrezzature per la torcitura della seta. Accompagnava all'attività di studio tentativi sperimentali di nuove culture, come quella di un'erba foraggera, sulla quale scrisse la sua prima Memoria diretta all'Accademia deiGeorgofili, 12 settembre 1766, sopra di una certa specie di pianta pratense chiamata sulla, pubblicata nel quarto numero (15 febbr. 1767) del neonato periodico dell'abate U. Montelatici, Veglie non meno utili che piacevoli di materie particolari appartenentiall'economia della villa.
In essa dava conto di alcuni proficui esperimenti, compiuti a Genova nella villa di un suo amico, per sostenere l'utilità di diffondere la coltivazione dei prati artificiali, che avrebbe contribuito, attraverso la rotazione agraria, a incrementare la produzione di foraggio e di conseguenza il patrimonio zootecnico. L'Accademia dei Georgofili premiò la memoria, accogliendo il G. tra i propri soci. Egli comunicò l'esito delle sue esperienze anche alla Società economica di Berna, noto centro di cultura fisiocratica, che, commentandole favorevolmente, nel 1768 lo nominò membro onorario. Divenne anche socio della Société royale d'agriculture di Parigi.
Frutto di queste ricerche ed esperienze fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra (Napoli 1770), che dedicò a Girolamo Grimaldi, ministro di Carlo III di Spagna.
L'opera partiva da un'analisi impietosa delle condizioni di sottosviluppo della Calabria Ulteriore, con la denuncia della progressiva diminuzione di produttività di settori economici un tempo fiorenti, a causa dell'arretratezza tecnica, del disimpegno dei grandi proprietari laici ed ecclesiastici restii a ogni forma di investimento, della mancanza di vie di comunicazione e di porti: tutti fattori che escludevano la Calabria dalla possibilità di competere sul piano commerciale con i paesi che il G. andava visitando. Sviluppando le proposte e le raccomandazioni di Genovesi, il G. sosteneva che - per compiere un'analisi conoscitiva della reale situazione - era necessaria l'attività di una serie di "società economiche" diffuse sul territorio. Riecheggiando i principî fisiocratici, affermava che "l'agricoltura alla fine è riconosciuta come la vera sorgente dell'opulenza e della possanza", da cui solo successivamente potevano svilupparsi le manifatture e il commercio. L'analisi delle condizioni necessarie per raggiungere l'obiettivo erano: il miglioramento della qualità delle colture e dei processi di trasformazione dei prodotti (per il vino si consigliavano i metodi di lavorazione della Borgogna), l'introduzione dei prati artificiali, lo sviluppo dell'orticoltura (in cui già si era cimentato il padre introducendo la coltivazione della patata e della carota), l'uso di aratri moderni, la diffusione dell'istruzione tecnica con l'impegno del clero a fondare "scuole economiche provinciali". L'attenzione maggiore del G. si focalizzava sulla denuncia dell'arretratezza dei metodi di coltivazione degli oliveti e di lavorazione delle olive, e sulla necessità di far rifiorire la gelsicoltura allo scopo di incentivare la produzione della seta, che avrebbe dovuto essere sviluppata introducendo tecniche e macchinari moderni.
Negli anni Settanta il G. si impegnò molto intensamente a tradurre in pratica questi progetti, condivisi e finanziati dal padre, convinto della lungimiranza imprenditoriale del primogenito, nonostante la "grave e arrischiata spesa" che avrebbero comportato. Gli sforzi principali furono diretti a una trasformazione profonda dei metodi di coltivazione degli olivi e agli investimenti nelle innovazioni tecniche per la fabbricazione dell'olio.
Gli olivi calabresi venivano lasciati crescere senza adeguate potature; l'olio che se ne ricavava - che avrebbe potuto essere ottimo - era scarso e di pessima qualità, a causa delle "cattive pratiche" di raccolta e conservazione delle olive; aveva un alto grado di acidità, che lo rendeva scarsamente commestibile e difficilmente esportabile sui mercati stranieri, dove veniva usato soltanto per le manifatture tessili e la saponificazione, a tutto vantaggio degli olii liguri e provenzali. Il G. volle introdurre nella natia Seminara l'uso di trappeti alla maniera genovese. Nel 1768 infatti mandò da Genova "un perito fabbricatore d'olio" con un modello di "strettoio genovese", che venne sperimentato nel 1769 e con mezzi maggiori nel 1771, chiamando operai dalla Liguria per costruire in loco nuovi frantoi alla genovese.
Il G. rese pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni - di cui dimostrava gli effetti positivi per la maggiore produzione, il minore impiego di manodopera e la migliore qualità del prodotto - dando alle stampe le Istruzioni sopra la nuova manifattura dell'olio, introdotta nel Regno di Napoli dal marchese D. Grimaldi (ibid. 1773), riedite nel 1777 con una dedica a G. Beccadelli marchese della Sambuca.
Secondo obiettivo dell'attività imprenditoriale dei Grimaldi fu l'innovazione nella produzione della seta, settore nel quale era essenziale l'intervento del governo. Nelle sue Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete nel Regnodi Napoli (ibid. 1780) il G. denunciava l'imposizione del dazio sulla seta come il massimo ostacolo all'aumento della produzione, che avrebbe tratto grande vantaggio dall'introduzione della lavorazione alla piemontese, di cui pure fece fare esperimenti facendo arrivare in Calabria lavoratori specializzati e facendo istruire maestranze locali. Il G. pubblicò un Piano per la riforma della pubblica economia delle province del Regno di Napoli e per l'agricoltura delle due Sicilie (ibid. 1780), dedicato alla regina Maria Carolina.
Lo sguardo si allargava all'intero Regno, per proporre nuovamente la necessità di sopperire alla "fatale mancanza" delle "più necessarie cognizioni del vero stato presente del regno", cioè dell'"operazione preliminare ed elementare di tutta la nostra politica economica", indispensabile affinché lo Stato potesse orientare efficacemente i propri interventi. Il G. proponeva perciò un piano di visite alle province affidato a quattro visitatori per provincia, specificando il metodo di osservazione al quale i funzionari avrebbero dovuto attenersi, con riguardo non solo alla natura del territorio, all'agricoltura, alle manifatture, al commercio, e in genere all'economia, ma all'intera struttura amministrativa, alla distribuzione della proprietà, alla composizione della popolazione, ai prezzi e ai salari. Subito dopo stese un Piano per impiegare utilmentei forzati e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Pugliae nelle altre province del Regno (ibid. 1781), nel quale dopo aver analizzato vantaggi e svantaggi dell'utilizzo del lavoro coatto nell'agricoltura e nelle manifatture, proponeva come soluzione del problema l'impiego dei forzati nella sistemazione delle acque, nello scavo di canali per l'irrigazione, primo fra tutti quello della Puglia. La possibilità di migliorare il regime delle acque e di disporre sul lungo periodo di un sistema di canali di irrigazione avrebbe accresciuto nel tempo la produttività dei terreni e quindi la produzione cerealicola. In effetti, rispetto alla produzione dei grani, il G. riteneva più importante agire sulle "cause fisiche", mentre più incerto restava il suo atteggiamento rispetto al libero commercio degli stessi.
Anche in conseguenza della notorietà raggiunta e della protezione di J.F.E. Acton, si intensificarono gli incarichi affidatigli dal governo. Nell'ottobre 1782, quando fu creato il Supremo Consiglio delle Finanze, retto appunto dall'Acton, entrò a farne parte in qualità di assessore: a esso collaboravano anche Filangieri, G. Palmieri, Delfico e Galanti.
Il terremoto che colpì la Calabria nel 1783, oltre a infliggere un fiero colpo alle finanze dei Grimaldi, mise a dura prova l'economia della regione e i programmi di riforme. Le dimensioni della catastrofe indussero il governo a intervenire con la costituzione della Cassa sacra per il finanziamento della ricostruzione. Il G. vide in questo provvedimento l'occasione di indirizzare l'intervento pubblico in forma mirata, proponendo, per esempio, che i finanziamenti per la ricostruzione delle manifatture della seta e dei frantoi prevedessero l'investimento in macchinari moderni (Memoria per lo ristabilimento dell'industria olearia e della agricoltura nelle Calabrie ed altre province del Regno, ibid. 1783). A sostegno delle sue tesi il G. portava anche l'archeologia, rievocando la bontà delle antiche tecniche (Memoria sull'economia olearia antica emoderna e sull'antico frantoio, ibid. 1783). Nello stesso senso di utilizzare i fondi della Cassa sacra per iniziative durature, andava l'incarico che gli venne affidato di "stabilire una scuola sotto la sua direzione", nella quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese". La scuola venne realizzata a Reggio Calabria, nel convento dei minori dell'Annunziata, dove, sotto la direzione tecnica del lionese Renaud, si cominciò con l'istruire una trentina di operai; a essa fece seguito l'apertura di una scuola per le donne, nella prospettiva di fondarne altre in tutta la Calabria con i finanziamenti della Cassa sacra. Il G. ne diede conto nella Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordinedi sua maestà…, Messina 1785. Nonostante il buon esito, la scuola venne chiusa nel 1786.
Un altro incarico regio fu occasione di una Relazione umiliata al re d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria, con alcune osservazioni economiche relative a quellaprovincia, datata Napoli 6 agosto 1785.
Dall'incarico, affidatogli nel 1786, di visitare la Calabria trasse spunto per la stesura di un'ultima opera, il Piano intorno la rustica economia, le artie il commercio dell'Ulteriore Calabria da umiliarsi al re per mezzo del SupremoConsiglio delle reali finanze, scritto per ordine sovrano dall'incaricato della stessaprovincia (Napoli 1792): in essa il G. riproponeva la summa delle proposte che era venuto articolando nel tempo, rielaborate sulla base di una conoscenza sempre più approfondita della situazione della regione.
Ormai il clima politico andava cambiando. Nel 1792 Galanti propose il G. come presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria, ma la nomina venne rifiutata in quanto egli era aderente alla massoneria.
Nel 1793 la casa del G. fu sottoposta a una perquisizione che non ebbe esito alcuno, poiché egli, avvertito tempestivamente, aveva nascosto tutte le carte compromettenti. Ma non poté sfuggire alle conseguenze della denuncia di un informatore, Giuseppe Billa; infatti il nome del G. compare, sotto l'anno 1796, nell'Indice de' processi dell'Inquisizione deirei di Statodal 1794 in dopo il 1795 (conservato a Napoli, Archivio della Società napoletana di storia patria). L'assassinio del governatore di Reggio Calabria, Giovanni Pinelli, avvenuto il 12 sett. 1797, aveva inasprito la politica del governo nei confronti dei gruppi massonici, ormai accusati di orientamenti giacobini. L'azione repressiva venne affidata ad Angelo Di Fiore, caporuota dell'Udienza e assessore della corte di Reggio. Nel dicembre 1798 il G. venne arrestato insieme con il fratello Vincenzo e un'altra cinquantina di persone, l'intero gruppo massonico di Reggio. I prigionieri furono prima rinchiusi nel carcere della Bricaria, a Messina; poi i più vennero trasferiti a Favignana, ma non il G., in precarie condizioni di salute. Egli rimase in carcere finché, dopo la tragica conclusione della Repubblica partenopea, venne scarcerato. Tra le vittime della repressione ci fu invece il figlio Francescantonio, ufficiale dell'esercito borbonico, impegnato nella difesa della Repubblica, condannato a morte.
Il G., riabilitato, si ritirò a Reggio Calabria, dove morì il 5 nov. 1805.
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