LAZZARINI, Domenico
Nacque, ultimo della numerosa prole di Francesco Maria e Lodovica Gasparrini, entrambi patrizi maceratesi, il 17 ag. 1668 (cfr. Fabroni, p. 257), nel feudo di famiglia di Morro (oggi Morrovalle), poco distante da Macerata, dove i genitori solevano trascorrere l'estate.
Una malattia contratta in tenera età lo privò dell'uso di un occhio: la menomazione non gli impedì di frequentare la scuola: fino a diciott'anni fu nelle scuole dei gesuiti, del cui metodo sarebbe stato acerrimo critico. Studiò diritto, filosofia e teologia, mostrando un particolare interesse per il pensiero di s. Agostino (postumo fu pubblicato, nel 1742 a Macerata, In d. Aurelium Augustinum hymnus) e nel 1687 conseguì le lauree inutroque iure, in teologia e in filosofia. Nello stesso anno fu accolto nell'Accademia dei Catenati di Macerata e nel 1690 ottenne il lettorato di diritto civile nell'Università, ma lasciò presto l'incarico e si ritirò a Morro per dedicarsi allo studio della lingua greca. Nel 1690 era stato a Roma, dove aveva partecipato alla fondazione dell'Accademia dell'Arcadia, nella quale assunse il nome pastorale di Felicio Orcomeniano (in seguito fu anche tra i fondatori della colonia Elvia a Macerata). Rientrato a Macerata, nel 1694 riprese l'insegnamento, questa volta di diritto canonico. Non è noto quando sia stato ordinato sacerdote. Nel 1702, fu prescelto per un posto di uditore di rota resosi vacante nella città di Perugia e che spettava a un patrizio maceratese.
A Perugia strinse amicizia, tra gli altri, con Angelo Maria Querini e con Alessandro Burgos, che aiutò nella preparazione del volume De ecclesiasticae historiae in theologia auctoritate atque usu… (Perusiae 1702) e in occasione di un viaggio a Firenze, dove conobbe G. Capassi, A. Magliabechi e A.M. Salvini. Con le sue frequentazioni si legava sempre più al "partito" antigesuitico tanto che, quando, sotto lo pseudonimo di Francesco Bagnario uscì il libello Animadversiones et notae in Emanuelis Alvari gramaticas institutiones (Caesenae 1702) in cui si criticava aspramente la prolissa e complessa grammatica latina del gesuita Manuel Álvarez (in uso da più di un secolo nelle scuole della Compagnia e giudicata troppo difficile per gli allievi), i gesuiti individuarono in lui l'autore. Contro il L. videro la luce due libelli di E. Aguilera, il Bagnarius poedagogus ad scholam revocatus et castigatus a Fabio et pueris infimae classis… (Taurini 1704) e gli Epigrammata selecta ad Lazarum (Augustae 1705), disseminati di aspro sarcasmo. Il L., pur concordando nell'avversione alla grammatica di Álvarez, negò sempre di essere autore delle Animadversiones.
Portato a termine l'incarico di uditore, il L. si trasferì a Roma, attratto dalla prospettiva di frequentare gli ambienti letterari. Intrecciò feconde relazioni con V. Gravina, B. Garofolo, G. Fontanini; conobbe il cardinale G.B. Spinola e i prelati L. Corsini e L. Casoni, anch'essi cardinali dal 1706, e frequentò la casa del dotto prelato D.A. Passionei, partecipando alle riunioni del circolo del Tamburo, di orientamento antigesuitico e filogiansenista.
Strinse un legame particolare con Fontanini. Questi, spinto da Passionei, era entrato nella polemica che in Francia opponeva il gesuita B. Germon alle tesi del maurino J. Mabillon, pubblicando le Vindiciae antiquorum diplomatum adversus Bartholomaei Germonii disceptationem De veteribus regum Francorum diplomatibus et arte secernendi antiqua diplomata vera a falsis (Romae 1705). Contro Germon, che aveva attaccato Fontanini, replicò il L., prima con una lettera indirizzata a Passionei, allora a Parigi (Epistola ad amicum Parisiensem pro Vindiciis antiquorum diplomatum Iusti Fontanini…, Romae 1706) poi con la Defensio in p. Bartholomaeum Germonium (Venetiis 1708). La posizione del L. era in linea con i rigorosi orientamenti storico-filologici degli studiosi maurini nei confronti dei testi agiografici.
Tra il 1705 e il 1707 il L. compose i Dialoghi della corrotta eloquenza, opera destinata alla pubblicazione, ma che gli fu sottratta da un discepolo, di cui egli non volle mai rivelare il nome. Doveva essere un trattato organico, in cui il L., educato agli ideali dell'Arcadia, ricostruiva la storia delle lettere italiane dalle origini al vertice raggiunto nel secolo XVI, alla degenerazione del secentismo, fino al risorgere del buon gusto educato sui classici del Trecento nel secolo XVIII. Insieme, l'allievo fedigrafo trafugò un secondo scritto, Dell'arte poetica.
Nel dicembre 1709 il L. si trasferì a Bologna al seguito del cardinale Casoni, suo mecenate, che nel settembre era stato designato alla carica di legato pontificio. Il soggiorno bolognese si protrasse per tutto l'anno seguente; il L. strinse particolare amicizia con il marchese Giovanni Giuseppe Orsi, e con il circolo di P.J. Martelli, Francesco Campeggi, i fratelli Ercole Maria, Giampietro e Francesco Maria Zanotti, Ferdinando Ghedini.
Nel dicembre 1710 fu chiamato alla cattedra di eloquenza greca e latina dell'Università di Padova, dove si trasferì nel 1711, dopo aver rifiutato un'offerta analoga giuntagli dall'Università di Torino. Nella prolusione, pronunciata il 7 maggio e subito a stampa (Oratio pro optimis studiis habita…, Venetiis 1711), propugnò la centralità dello studio dei classici greci e latini nell'educazione intellettuale, ed esortò a recuperare il primato nelle arti e nelle lettere che gli Italiani avevano posseduto nel Quattro e Cinquecento. L'Oratio suscitò la reazione di alcuni colleghi dell'Università contrari al suo classicismo intransigente - tra questi Aguilera, che compose la satira Castigatio prima orationis primae pro optimis studiis, germanaque eloquentia editae a Dominico Lazarino… (Bassani 1711) -, a cui il L. replicò con una Oratio secunda pro optimis studiis (Venetiis 1713) e una terza andata perduta.
L'insegnamento del L. fu caratterizzato da una radicale reazione contro i metodi seguiti ordinariamente nelle scuole del tempo. Poneva particolare attenzione a rendere gradevole lo studio privilegiando la lettura diretta dei classici e componendo scritti destinati a rendere più leggero l'apprendimento agli allievi, come per esempio un compendio di Istituzioni grammaticali di vari autori in forma di dialogo.
Il L. trascorse il resto della sua vita a Padova, allontanandosi solo per brevi periodi: fu a Torino e a Milano nell'estate 1716, nel 1725 a Roma, dove fu ricevuto da papa Benedetto XIII. Studioso di Dante e Petrarca, maestro apprezzato di petrarchismo ortodosso e classicismo aristotelico, compose odi pindariche, epistole e orazioni latine, traduzioni dal greco, ma, incurante di conservare i suoi scritti, lasciò che buona parte della sua produzione andasse perduta (il nipote A. Lazzarini, nella sua biografia, p. 28, ricorda tra l'altro delle osservazioni su Demetrio Falereo, la versione di Iliade, I, una "storia delle cose avvenute a' suo dì", capitoli in terza rima, la commedia La sofistica). Del 1718 sono la sacra rappresentazione Tobia, composta per i giovani dell'Oratorio di S. Filippo di Padova (edita postuma nelle Poesie…, 1736) e la commedia La sanese (Venezia 1734 e 1739); del 1719 la traduzione dell'Elettra di Sofocle, rappresentata il 31 genn. 1721 nel seminario agostiniano; del 1720 la tragedia Ulisse il Giovane (Padova 1720, poi Ferrara lo stesso anno; entrambe con una lettera ad A.M. Salvini e la risposta) e le Osservazioni sopra la traduzione del De rerum natura di Lucrezio eseguita da A. Marchetti nel 1717 (incluse nelle postume Osservazioni sopra la "Merope"…, Roma 1743).
Imitazione strenua dell'Edipo sofocleo, la tragedia presenta una trama di invenzione, che vede Ulisse il Giovane scannare il figlio e sposare senza saperlo la figlia, affinché sia punita un'infedeltà commessa da Penelope contro Ulisse il Vecchio. Composta senza divisione in atti e scene, in un metro misto di settenari ed endecasillabi non rimati, inframmezzata da cori, l'Ulisse intendeva risuscitare lo spirito e la forma della tragedia greca, attraverso una rigorosa applicazione delle regole aristoteliche (nel 1715 il L. aveva tenuto un corso sulla Poetica: era ossessionato dal problema dell'unità di tempo e dalla verosimiglianza di tanti avvenimenti concentrati in uno spazio così ristretto) e il ricorso a un'elocuzione sostenuta che tende costantemente al grandioso e a evitare ogni contaminazione con il quotidiano. Lo zelante filellenismo del L. fu preso di mira da Zaccaria Valaresco, che nel Rutzvanscad il Giovane, arcisopratragichissima tragedia elaborata ad uso del buon gusto de' grecheggianti compositori da Cattuffio Ponchiano bubulco arcade (Bologna 1724), ambientato nell'immaginaria Nuova Zembla, conquistata dal re della Cina Rutzvanscad, mise in burla le atrocità dell'Ulisse. Dopo la morte del L. le due tragedie, insieme con la Merope di S. Maffei e il Cesare di N. Conti, sarebbero apparse nel volume del Nuovo teatro italiano (Venezia 1743). Contro gli ideali tragici del L. si appuntò anche la critica di Giulio Cesare Becelli, che nel trattato Della novella poesia (Verona 1732) criticò come anacronistica e inefficace l'imitazione degli autori latini e greci, e nella commedia L'ariostista e il tassista (Rovereto 1748) parodiò la vocazione classicistica del Lazzarini.
Il L. espose le sue teorie retoriche e teatrali nelle Osservazioni sopra la "Merope" del signor marchese Scipion Maffei ed altre varie operette finora qua e là disperse, parte non più pubblicate, edite postume (Roma 1743), dove la critica a Maffei era diretta soprattutto all'arbitrio nella costruzione tragica e nella mancata applicazione del principio della verosimiglianza, che il L., Aristotele alla mano, considerava fondamento nella creazione del personaggio e dell'azione drammatica in quanto principio razionalmente comprensibile ed emanazione di una legge di natura.
Artista esigentissimo, in vita il L. riconobbe per suoi quattro soli sonetti (pubblicati in Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo, IV, Venezia 1727, c. 176) e le sue rime furono raccolte dopo la morte: Poesie… giuntovi altri poetici componimenti di diversi in morte dell'autore (Venezia 1736); Rime… scelte ora con diligenza, e da' più sicuri manoscritti alla vera lezione ridotte. Colla giunta d'alcuni versi latini, a cura di L. Della Volpe (Bologna 1737), edizione, quest'ultima, più completa, che presenta un corpus comunque esiguo: trenta sonetti e undici canzoni.
Il L. morì a Padova il 12 luglio 1734.
Fu sepolto nella chiesa di S. Andrea; in settembre Giuseppe Salio, segretario dell'Accademia dei Ricovrati, pronunciò l'orazione funebre (Oratione in morte del sig. D. L., Bologna 1735). Nel 1789 la sua statua, opera dello scultore trevisano Giovanni Ferrari, fu collocata a Prato della Valle: il L. è rappresentato con indosso la zimarra degli ecclesiastici docenti dello Studio padovano.
L'edizione moderna del Teatro del L. (comprendente anche Frammenti sull'arte poetica e un Capitolo sugli istrioni) è a cura di N.F. Cimmino, Roma s.d. [ma 1970], con un'importante introduzione.
Fonti e Bibl.: G.M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, I, Roma 1698, p. 348; A. Lazzarini, Vita dell'abate D. L. di Morro patrizio maceratese…, Macerata 1785; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium, qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, XIV, Pisis 1789, pp. 99-153; Biblioteca picena, o sia Notizie istoriche delle opere e degli scrittori piceni, V, Osimo 1796, pp. 252-257; Biografia degli italiani illustri…, a cura di E. De Tipaldo, I, Venezia 1834, pp. 486 s.; G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, IV, Torino 1855, pp. 263-266; G. Natali, Il Settecento, II, Milano 1960, pp. 950-952, 1038 e ad ind.; Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, a cura di A.M. Giorgetti Vichi, Roma 1977.