LERCARI (Lercaro), Domenico
Nacque attorno al 1460 da Simone, membro di una famiglia di antica nobiltà genovese, dal XII secolo impegnata prevalentemente nelle attività marittimo-militari e nel commercio nel Levante. Simone, dal quale diverse istituzioni pubbliche avevano ricevuto consistenti lasciti, era uno dei dieci figli di Brancaleone e Ginevra Doria di Simone; oltre che del L., fu padre di Giovan Battista e Luca.
Forse perché equivocabile con due omonimi coevi, figli di Benedetto e di altro Giovanni Battista, il L. è spesso identificato anche con il patronimico. Così per una serie di cariche ricoperte tra le magistrature della Repubblica tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, risultano con sicurezza attribuibili al L. quelle di Moneta nel 1491, 1496 e 1514, di Misericordia nel 1500, di Banchi nel 1505, dei Clavigeri nel 1509, del Mare nel 1510 e 1511, di Sanità e di Ragione nel 1513. Inoltre è sicuramente il L. tra i "Sindacatores" nel 1500 e tra gli Anziani del Comune nel 1498, 1509, 1515, 1516.
Probabilmente è ancora il L., benché indicato senza patronimico, l'ufficiale di Balia del 1515 segnalato da Gioffré in documenti relativi a risarcimenti o pagamenti di ingenti somme derivanti dalle operazioni di cambio delle fiere di Lione. In particolare, in un documento del 27 giugno 1500, il L., come mandatario di Gerolamo Usodimare, risulta debitore di Francesco Centurione per la somma di 1344 ducati d'oro più gli interessi, per operazioni fatte sulla piazza di Lione.
Che il prestigio politico del L. non poggiasse solo sul denaro e sui suoi legami con la Francia, ma anche su un'oculata gestione dei rapporti interni alla classe di governo della Repubblica in un periodo burrascoso, appare confermato nel corso degli eventi del 1506-07. Dopo lo scoppio dei moti popolari del giugno-luglio 1506, quando la città fu saccheggiata e Gian Luigi Fieschi fu cacciato, i nobili fuggirono da Genova e, riunitisi a Gavi capeggiati dallo stesso Fieschi, decisero di mandare Andrea D0ria da Luigi XII, per denunciare la presunta debolezza del luogotenente francese nel difendere i loro diritti di fronte al partito popolare.
Subito dopo, il 3 ag. 1506, nel castello di Montoggio di Fieschi, si riunirono Giovanni Doria, Cipriano De Mari, Nicola Spinola, Giovan Battista e Agostino Lomellini, Ansaldo Grimaldi e il L. come deputati di tutti i nobili fuorusciti. L'obiettivo era il rientro in città, e la loro prima iniziativa finalizzata a questo scopo fu una tassazione. Nei mesi successivi, nell'ambito di una strategia di mediazione, i Lercari furono chiamati a partecipare all'esperimento di governo popolare del doge Paolo da Novi, nel quale comunque il L. non assunse alcuna carica e che finì drammaticamente nel giugno del 1507. Alla politica attiva il L. ritornò nel 1509, quando, restituita la città ai precedenti equilibri tra governatorato francese e ceto nobiliare-mercantile, il 2 giugno si deliberò l'invio di due ambasciatori al re di Francia per sostenere la revoca del "drictus Sabaudiae" e per risolvere altre pendenze economico-giuridiche. I due inviati furono il L. e il giurista Giovan Battista Lasagna.
Lasagna era già stato incaricato di trattare della tassazione del 2% sulle merci genovesi transitanti da Lione sul territorio sabaudo (con danno particolare nel settore della seta), nel quadro della grande ambasceria "di fedeltà" inviata a Milano a Luigi XII alla fine di aprile.
Le istruzioni del 2 luglio al L. e a Lasagna erano minuziose e pressanti. La loro missione richiese molto impegno da parte dei due inviati, tanto che il governo genovese dovette affiancare loro qualche mese dopo un altro influente giurista, Stefano Vivaldi (già utilizzato come ambasciatore della nobiltà durante i moti popolari del 1506).
Nonostante Vitale segnali la permanenza del L. presso il re di Francia fino al 1518, le istruzioni a lui personalmente indirizzate arrivano soltanto al 1510. La sua presenza a Genova è documentata d'altra parte dalla serie di cariche pubbliche, sopra elencate, rivestite in quegli anni.
L'omonimo cooptato nel 1512 tra i dodici dell'importante Ufficio di balia, costituito per sancire il passaggio di Genova dalla Francia alla Lega santa, è il figlio di Benedetto. A quest'ultimo è forse da attribuire anche la vicenda delle nozze, nel 1484, con Teodorina, ricca e bellissima giovinetta figlia di un tedesco naturalizzato genovese, Giorgio Sur, che era stata precedentemente rapita da Paolo Doria.
La moglie del L. era invece la nobile Mariola, figlia di Marco Centurione: da lei il L. ebbe un unico figlio, Giovan Battista, dalla cui presenza nelle cariche pubbliche con il patronimico (prima "di" e poi "fu" Domenico) è possibile dedurre la morte del L. tra il 1522 e il 1523. Anche nel Libro d'oro della nobiltà, stilato dopo la riforma doriana degli "alberghi" nel 1528, il L. compare come defunto con il patronimico di Giovanni Battista, che fu padre di sei tra femmine e maschi, tra cui un altro Domenico, padre del Giovanni Battista doge nel 1640, con il quale si estinguerà il ramo della famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Mss., 10, ad ind.; 484, cc. 47-48; 492, c. 60; b. 531, F (plico Lercari); Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. X.2.168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, cc. 711, 714; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., XXIV, p. 151; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (1506-7), ibid., XXXVII, p. 21; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, Roma 1955, I, a cura di R. Ciasca, p. 70; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis…, Firenze 1965, p. 296; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 136; D. Gioffré, Gênes et les foires de change, Paris 1960, pp. 127, 185.