BELZOPPI, Domenico Maria
Nato a Borgo Maggiore, nella Repubblica di San Marino, il 14 nov. 1796, in una famiglia tradizionalmente dedita al commercio e dotata di censo e di cultura, seguì prima gli studi in patria sotto la guida dello zio, don Ignazio Belzoppi, letterato e poeta, poi, dall'autunno del 1813 all'estate del 1815, nel seminario di Rimini, e quindi a Forlì, ove per cinque anni fu pensionante nella casa di P. Maroncelli. È di questo periodo la sua affiliazione alla carboneria, nella quale - precisamente nella setta dei Giovani Guelfi - raggiunse ben presto cariche direttive. Nel 1820 s'iscrisse ai corsi di diritto dell'università di Perugia, ove si laureò nel luglio 1823.
Tornato a San Marino, si dedicò agli studi, sia delle lettere italiane e latine, sia del diritto, dell'economia e della storia. Falliti nello Stato pontificio i moti del febbraio-marzo 1831, con uno dei rifugiati a San Marino, il dottor Giuseppe Bergonzi di Reggio Emilia, organizzò una affiliazione della Giovine Italia. Nell'agosto del 1834 fu incaricato dai cospiratori riminesi di recarsi in Toscana per stringere accordi in vista di un nuovo moto insurrezionale, ma, tradito da un affiliato, fu fermato quasi al confine di Carpegna e imprigionato nelle carceri di Forlì. Fu liberato nel marzo del 1835 per mancanza di prove e per le veementi pressioni del governo sammarinese.
Ritornato a San Marino, il B. cominciò a dedicarsi all'attività forense. Morto il padre nel 1837, venne assunto in sua vece nel Consiglio principe e sovrano, e nel settembre del 1838 fu eletto come rappresentante popolare alla massima carica della Repubblica, quella semestrale della Reggenza. Ascritto nel 1840 nel patriziato sammarinese, ricoprì come nobile altre quattro volte la carica di capitano reggente (1842, 1845-46, 1849 e 1853).
Oltre a promuovere riforme interne (nel suo secondo semestre affrontò il problema della modifica delle leggi penali, preludendo al Codice Zuppetta, e presentò una legge per l'abolizione dei fedecommessi e dei maggioraschi), sin dal primo semestre il B. indicò le linee di una politica che aveva i suoi capisaldi nella rigida salvaguardia della indipendenza della Repubblica, e la concessione più larga possibile del diritto di asilo ai patrioti italiani. Largamente prodigatosi nel suo terzo semestre a favore dei rifugiati dopo il fallimento del moto di Rimini del 1845, nel suo quarto semestre, nell'estate del 1849, dopo la caduta della Repubblica romana, dovette affrontare la drammatica situazione creatasi con lo sconfinamento nel territorio sammarinese della legione di Garibaldi, circondata dalle truppe austriache.
Respinta, il 29 luglio, la richiesta di F. Nullo di lasciar attraversare alla legione il territorio sammarinese per raggiungere il mare, ma pronto, come propose a U. Bassi il 30, a far avere ai garibaldini viveri e tutte le possibili indicazioni sulle mosse austriache purché non varcassero i confini, il 31 infine, dopo la sconfinamento, accolse di buon grado la richiesta di Garibaldi di tutelare i membri della legione, che egli preferiva congedare in terra italiana piuttosto che addivenire ad una resa con gli Austriaci. Tramite il segretario di stato G. B. Bonelli, intraprese allora trattative con i comandi austriaci. Dopo che Garibaldi, respinto un accordo che prevedeva il suo espatrio in America, si allontanò con alcuni fedelissimi nella notte dal 31 luglio al 10 agosto, diretto a Cesenatico, il B. non potè impedire il giorno successivo una parziale occupazione del territorio sammarinese da parte delle truppe austriache, continuando tuttavia a tutelare i legionari rimasti.
Nell'ultimo semestre di reggenza il B. dovette ancora affrontare il problema dei rifugiati politici, ma questa volta in irtaniera restrittiva. Pressato da autorità pontificie e austriache, che già nel giugno del 1851 avevano presentato alla Repubblica un ultimatum seguito da immediata invasione per la consegna di rifugiati, egli ritenne necessario regolare il diritto d'asilo "affinché non si convertisse in interno ed esterno pericolo", come ebbe a scrivere alla fine del 1854 in una memoria indirizzata al Consiglio.
La presenza di patrioti che facevano di San Marino il centro di attività cospiratorie in territorio pontificio, ciò che comprometteva la neutralità della Repubblica, di altri di parte avanzata che si servivano della libertà loro concessa per svolgere opera di proselitismo rivoluzionario nello stesso territorio sanimarinese, e infine di delinquenti comuni che si celavano dietro l'etichetta politica, fu la causa della sua iniziativa.
Nello stesso tempo il B. provvide a stringere rapporti con la Francia napoleonica, che, se servirono alla Repubblica per superare le pressioni pontificia e austriaca, sollevarono più che mai contro di lui l'ostilità dei suoi avversari interni e di parte dei rifugiati. Ne venne uno scatenamento di violenze che condusse all'assassinio del segretario di stato G. B. Bonelli (la prima vittima della cosidetta congiura contro i cinque B: il B., lo stesso Bonelli, B. Borghesi, G. Belluzzi e Braschi) e sospinse il B., appena terminato il mandato semestrale, a rifugiarsi in volontario esilio nei suoi possessi di Verrucchio, ove visse da allora stabilmente, rientrando a San Marino solo una volta, quando si profilò la minaccia di una nuova invasione austriaca e pontificia, e ove morì l'8 febbr. 1864.
Bibl.: P. Franciosi, Alcuni medaglioni sammarinesi, San Marino 1916, pp. 7-16; E. Albini, D. M. B., in Libertas Perpetua-Museum, V (193637), pp. 72-92, 138-157; VI (1937-38). VP. 45-71; M. Nicolini, La casa di D. M. B. a Verrucchio, in La Piè, XIX (1950), pp. 89-93.