LAZZARO, Domenico (Mimì) Maria
Nacque a Catania il 19 genn. 1905 da Giuseppe, decoratore specializzato nella tecnica dello stucco, e da Lucia D'Arrigo. Adolescente, ricevette i primi rudimenti del disegno e della pittura da Saro Spina, un attardato pittore ottocentesco di inclinazioni realistiche, originario di Acireale, che fin dal 1894 aveva stabilito il proprio studio a Catania; è proprio questa cultura, lontana dalle tendenze più vitali che si stavano affermando nel resto d'Italia, ad alimentare l'insofferenza del L. per l'ambiente che lo circondava. Ne è prova il ricco carteggio dell'artista, conservato presso gli eredi e parzialmente pubblicato nel catalogo L.: opere, curato da Troisi nel 2000, che permette non soltanto di ricostruire i suoi esordi artistici, ma anche di delinearne il pensiero, espresso proprio attraverso i fitti scambi epistolari con alcuni dei più rappresentativi esponenti della cultura artistica del tempo.
Risale al 1919, per esempio, il carteggio con F.T. Marinetti, che attesta la precoce attenzione del giovanissimo L. per il futurismo, rimasta, però, solo una breve fase della sua crescita artistica, perché dettata più da spirito di ribellione che da matura consapevolezza. Le sue composizioni poetiche, le raccolte di versi (Le tue lacrime, Mity, del 1923 e Luminaria, Catania 1924) e di prose d'arte (Cavalcate, ibid. 1926: Ruta, 1994), condotte per la maggior parte nello spirito del "paroliberismo", furono, però, tiepidamente accolte dallo stesso Marinetti. Quest'ultimo, invece, che stimava il L. in particolare per la sua attività di scultore, nel 1921 lo invitò a prendere parte all'itinerante Mostra d'arte futurista e d'avanguardia, organizzata da Mario Hyerace a Ravenna e a Bologna, quindi, a Torino (1922) e a Praga (1923). In queste occasioni il L. espose una Testa futurista di Benedetto Croce (scultura), le tele Naufragio e Cervello, oltre a un Autoritratto (le opere realizzate tra il 1921 e il 1925 sono andate tutte disperse).
Conseguito il diploma di geometra presso l'istituto tecnico di Catania, nel 1923, il L. diresse i tre numeri della rivista L'Albatro ma l'anno successivo, insofferente del clima culturale isolano, e catanese in particolare, ancora troppo legato alla tradizione, decise di trasferirsi a Roma, dove si iscrisse ai corsi dell'Accademia di belle arti e strinse rapporti d'intensa amicizia con G. Bonichi (Scipione), M. Mafai, Antonietta Raphaël e C. Mazzacurati, aderendo, così, agli ideali poetici della "scuola di via Cavour".
Le poche opere note di questo periodo, conservate in collezioni private, evidenziano inflessioni proprie del Novecento italiano per l'essenzialità e il solenne primitivismo delle figure, alla ricerca della poetica delle cose semplici (per le opere citate nel corso della voce, se non altrimenti specificato, si fa riferimento al catalogo curato da Troisi, 2000).
Il L. continuò, comunque, a mantenere i contatti con l'ambiente siciliano: tra il 1925 e il 1926 realizzò, per la volta della chiesa di S. Antonio Abate di Gesso (Messina), il perduto Ritorno del santo. Al 1926 risale la sua prima personale presso il cinema Centrale di Messina, dove le opere esposte evidenziano un'adesione alla tradizione figurativa. Ma proprio in questo periodo il L. mise in discussione le proprie scelte figurative, partendo da un meditato studio dei volumi, secondo quella che sarà una costante dell'intera sua produzione artistica. Nel 1928, tornato definitivamente a Catania, dove stabilì la propria residenza in via Crispi, diede vita alla rivista Il Fondaco, la cui breve esistenza rappresentò un legame con l'ambiente artistico che egli aveva appena lasciato, permettendogli, al contempo, di esprimere il suo sdegnoso dissenso contro ogni avventata forma di sperimentalismo avanguardistico.
Partecipò assiduamente alle principali esposizioni del tempo, in particolare alle mostre del Sindacato interprovinciale fascista di belle arti della Sicilia (di cui fu componente del comitato organizzatore), all'interno delle quali gli vennero dedicate due personali. Nella prima, nel 1929, espose undici opere pittoriche, fra cui un'Annunciazione, di reminiscenze sironiane, riprodotta in fotografia nel relativo catalogo, corredato di brevi cenni biografici introduttivi, tracciati dalla moglie Agata Lao (che sposò il 6 giugno 1929 e dalla quale ebbe la figlia Lucia); nella seconda personale, nel 1932, presentò quattro disegni e undici dipinti, frutto di "stati d'animo fanciulleschi" (Brancati) e apprezzati per l'immediatezza della gamma cromatica. Tra questi, Strada catanese è stato acquistato dalla Galleria d'arte moderna E. Restivo di Palermo. Nel 1933 prese parte alla IV mostra del Sindacato interprovinciale fascista, di cui fu anche vicepresidente, con tre oli: Autoritratto con compagna, Anno decimo e Fiori. Il suo intervento commemorativo su Sebastiano Formica, giovane artista siciliano spentosi a Firenze l'anno precedente (catal., p. 3), rappresenta l'ennesima attestazione della sua militanza come critico d'arte, attività che lo accompagnò per tutta la vita, portandolo a collaborare con le principali testate giornalistiche siciliane, quali Il Popolo di Sicilia e, dal 1945 fino alla morte, La Sicilia di Catania. Ancora nel 1933 partecipò alla I mostra del Sindacato nazionale fascista di belle arti di Firenze con i dipinti Paesaggio catanese e Amore e Psiche e con la scultura Vergine che si desta (Palermo, istituto statale d'arte). Questa venne riproposta con Ritratto dell'infermiera (scultura) e Le due ragazze (litografia) alla V mostra d'arte del Sindacato interprovinciale fascista di Sicilia del 1934. In questo stesso anno fu invitato alla XIX Biennale di Venezia, dove espose Vergine tamburina (bronzo) e Ritratto di Perrotta (terracotta). Nel 1935 presentò all'esposizione del Sindacato fascista di belle arti di Sicilia, oltre a tre litografie (Colloquio, Testa muliebre e Angioletti), la terracotta Viaggio e i due bronzi Angelo consolatore e Vergine che si desta; e alla II Quadriennale d'arte di Roma, gli oli Madre e figlia, I fiori sul vetro e La sorella Pia e la scultura L'infedele (Roma, Galleria comunale d'arte moderna e contemporanea). Nel 1936 prese parte alla VII esposizione del Sindacato fascista di belle arti di Sicilia con cinque litografie, il dipinto Fiori sul vetro (Siracusa, Municipio) e la scultura Bimbo, e anche alla XX Biennale di Venezia con Fanciulla catanese (terracotta) e Il sogno (marmo).
È soprattutto quest'opera a segnare il suo avvicinamento a un linguaggio infantilmente primitivo, per via della semplificazione delle masse volumetriche, evidenziando una particolare propensione per la scultura, tecnica che sentirà più congeniale alle sue esigenze espressive, con esiti memori della figurazione di Arturo Martini.
Nel 1937 alla II mostra del Sindacato fascista di belle arti di Napoli espose la scultura Bambina. Nel 1938 la fama del L. venne ufficialmente attestata dalla sua personale alla XXI Biennale di Venezia, per la quale eseguì undici sculture, tra cui Versailles (ispirata dalla delusione politica conseguente al trattato di Versailles del 1919) rappresentava il pezzo cui l'artista era affettivamente più legato per le componenti politiche ivi espresse, come racconta in un articolo su Quadrivio, del luglio 1938 (Mimì M. L. scultore).
In questi anni la sua attività espositiva divenne sempre più intensa. Continuò a prendere parte alle mostre del Sindacato fascista di belle arti di Sicilia: nel 1938, all'VIII edizione, presentò la litografia Tre angeli con il relativo disegno; l'anno successivo, Italiana del Sud (bronzo), Italiana del Nord (marmo), Incantesimo (legno) e due ritratti in terracotta; nel 1941, venti disegni, il cui titolo è dato dal loro numero progressivo; e, infine, nel 1942, due nature morte a olio e Figura (olio). Nel 1939 fu presente alla III Quadriennale di Roma con la terracotta L'eclissi e nel 1940 alla XXII Biennale di Venezia con un Ritratto in pietra. Questo stesso anno fu nominato titolare della cattedra di scultura presso l'Accademia di belle arti di Napoli, dove insegnò fino al 1943. Il suo impegno nella didattica è ulteriormente attestato dalla fondazione nel 1950 dell'istituto statale d'arte di Catania, che diresse fino alla morte.
Gli anni Quaranta lo videro impegnato nel tentativo di dare una svolta alla propria ricerca, recuperando un linguaggio essenziale e primitivo. Incominciò così, in scultura, a dar corpo a figure che nulla mantenevano della forma tradizionale, prive com'erano di qualunque compostezza, quale, per esempio, Testa del giocoliere, presentata nel 1941 a Milano in occasione della III mostra nazionale del Sindacato fascista di belle arti. Nel 1943 si presentò alla IV Quadriennale romana con Amazzone, due gessi e tre bronzetti. Nel 1948, alla XXIV Biennale di Venezia, dove espose il marmo Donna stregata, ebbe modo di meditare sulle opere di P. Picasso e di H. Moore, lì presenti con delle personali, giungendo a una progressiva accentuazione dell'astrazione formale e della stilizzazione.
Nel 1949 vinse il concorso nazionale bandito dalla diocesi di Messina per la realizzazione della statua dell'Apostolo Giuda Taddeo, da collocare nell'"Apostolato" del duomo, progettato nel XVI secolo da G.A. Montorsoli e gravemente compromesso dal bombardamento che aveva colpito la città nel 1943. Nel 1950, alla XXV Biennale di Venezia, espose la scultura in pietra Ciclope e, alla XXVI edizione del 1952, Trinacria (legno dorato), Fanciulla nel lago (legno) e Ladro di arance (bronzo). Nel 1953 realizzò tre doppi capitelli per il chiostro del duomo di Cefalù e l'imponente figura della Giustizia, collocata sul fronte principale del palazzo di Giustizia di Catania, che riproponeva l'iconografia dello stesso soggetto dipinto da Giotto nella cappella degli Scrovegni di Padova, letto attraverso A. Martini.
Negli ultimi anni il L. sperimentò nuovi materiali, quali il ferro e l'acciaio, ideali per dar consistenza materica alle sue fantasie astratte (per esempio, Forme, scultura in ferro presentata alla I mostra d'arti figurative del Sindacato regionale di belle arti di Palermo, nel 1955, riprodotta nel relativo catalogo).
Continuò anche negli ultimi anni di vita a partecipare a esposizioni, sia pur di ambito prevalentemente regionale: nel 1958 presentò alla II mostra d'arti figurative del Sindacato regionale di belle arti di Palermo Trinacria (bronzo) e, nel 1960, alla III edizione, Primo momento e Forme con ragnatela (bronzo).
Tra le commissioni pubbliche ricevute si ricordano i quattro altorilievi in bronzo per il monumento al cardinale G.B. Dusmet (1933), per piazza S. Francesco d'Assisi a Catania, e quelli in pietra ispirati a I Malavoglia (1939) per la piazza principale di Aci Trezza. Nel 1957 realizzò quattro candelabri bronzei per piazza Università a Catania.
Il L. morì a Catania il 16 marzo 1968.
Fonti e Bibl.: A. Corona, È morto lo scultore Mimì M. L., in La Sicilia, 17 marzo 1968; Arbiter, Quadri e sculture, in Gazzetta di Messina e delle Calabrie, 16 maggio 1926, p. 3; V. Brancati, Mimì M. L., in Terza esposizione del Sindacato regionale fascista belle arti di Sicilia. Catalogo, Palermo 1932, pp. n.n.; Mimì M. L. alla Biennale, in Il Popolo di Sicilia, 23 giugno 1938; E. Maselli, Artisti siciliani alla Galleria di Roma, in Lavoro fascista, 22 febbr. 1940; Una statua di Mimì M. L. nel duomo di Messina, in La Sicilia, 6 luglio 1949; R. Campanella, L. ha fermato il dolore nella pietra, in L'Isola, 9 luglio 1955; Una Giustizia rivoluzionaria senza la spada e la bilancia, in La Nazione, 8 nov. 1955; L. Guasco - S. Nicolosi - R. Leone, Mimì M. L., Catania 1978; F. T., Opere di L. alla New Gallery, in La Sicilia, 17 dic. 1978; A. Dall'Aglio, Retrospettiva di Mimì M. L., in Sintesi, luglio-agosto 1979; G. Frazzetto, Solitari come le nuvole. Arte e artisti in Sicilia nel '900, Catania 1988, p. 47 e passim; S. Troisi, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, 1900-1945, II, Milano 1991, p. 916; F. Grasso, Mimì M. L., suppl. a Kalós, III (1991), 5; C. Salaris, Storia del futurismo, Roma 1992, pp. 150, 152; A.M. Ruta, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, III, Palermo 1994, pp. 179 s.; L.: Opere 1927-1964 (catal., Marsala), a cura di S. Troisi, Palermo 2000; A.M. Ruta, in Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, II, Calenzano 2004, pp. 633 s.