MELLINI, Domenico
– Nacque a Firenze intorno al 1531 da Guido di Domenico, esponente di una famiglia originaria di Fiesole che acquisì la cittadinanza fiorentina solo agli inizi del Cinquecento. Non è noto il nome della madre.
Sulla formazione del M. non si hanno notizie precise, ma egli dovette compiere studi teologici e letterari di un certo livello, che gli permisero di entrare in contatto, ancora giovanissimo, con i circoli culturali fiorentini. Nel 1554 tenne una lezione nell’Accademia Fiorentina sul sonetto di Petrarca Tra quantunque leggiadre donne et belle (Canzoniere, 218). Ai medesimi anni deve essere ascritta la sua nomina ad accademico.
Di famiglia tradizionalmente vicina ai Medici, anche il M. si adoperò per entrare al loro servizio. Nel 1559 si rivolse al duca Cosimo I, direttamente e attraverso la mediazione di parenti e amici, per ottenere un posto nella famiglia di Giovanni de’ Medici, il figlio sedicenne del duca destinato alla porpora. In quell’occasione non mancò di vantare le benemerenze dei propri parenti nei confronti dei Medici: lo zio Pietro, in particolare, si era distinto come castellano di Rimini al servizio di Clemente VII e il padre Guido era stato fedele servitore del duca Alessandro. Le insistenze del M. sortirono i loro effetti e già dai primi anni Sessanta fu incardinato nella vita politica e cortigiana della Firenze medicea.
Il suo primo incarico degno di nota fu quello di segretario di Giovanni Strozzi, ambasciatore di Cosimo I al concilio di Trento dal 1562 al maggio 1563. Dopo la partenza di Strozzi, il M. rimase a Trento come unico rappresentante mediceo all’assise tridentina, anche se la sua posizione di semplice segretario non gli permetteva di prendere parte alle sedute. Sostituito il 21 luglio 1563 dal nuovo ambasciatore Girolamo Gaddi, al cui fianco fu lasciato fino alla fine dei lavori conciliari, mantenne una corrispondenza riservata con Cosimo I e il figlio Francesco. Il carteggio con i duchi non si occupava solo di questioni politiche, ma era intervallato dalle richieste di aiuto finanziario che il M. rivolgeva di continuo ai suoi padroni.
Nel corso della sua missione diplomatica ebbe occasione di occuparsi dell’espurgazione dei Capricci del bottaio di G. Gelli, esponente di rilievo dell’Accademia Fiorentina. Gelli stesso scrisse a Ludovico Beccadelli, membro della commissione conciliare preposta alla revisione dell’Indice dei libri proibiti, che della correzione dei Capricci poteva parlare in tutta confidenza «con messer Domenico Mellino […] perché è mio amicissimo, consapevole del tutto» (in De Gaetano, p. 403, 9 giugno 1562). Il periodo tridentino fu utile anche per i contatti che il M. riuscì a tessere in quell’occasione con figure di spicco della Chiesa postridentina, come il futuro vescovo di Verona Agostino Valier, cui dedicò in seguito una biografia di Matilde di Canossa, e il futuro arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti, con cui tenne contatti epistolari.
Al ritorno a Firenze il M. continuò a orbitare nella cerchia medicea, innanzitutto come precettore del figlio decenne di Cosimo I, Pietro. L’attività di pedagogo gli lasciò comunque il tempo per la sua fecondissima attività culturale. Nel dicembre 1565 collaborò con V. Borghini all’allestimento degli apparati trionfali per l’entrata ufficiale in Firenze di Giovanna d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando e novella sposa del primogenito di Cosimo I, Francesco. L’evento, che coronava la politica dinastica granducale, fu subito celebrato dal M. con la pubblicazione di un’accurata descrizione del corteo e delle invenzioni borghiniane (Descrizione dell’entrata della serenissima reina …, Firenze, Giunti, 1566). Il testo ebbe un immediato successo e raggiunse ben presto le quattro ristampe. Sempre tra il dicembre 1565 e il gennaio 1566 pubblicò a Firenze la Descrizione dell’apparato della comedia (Giunti) rappresentata a Palazzo ducale il giorno di S. Stefano in onore della coppia principesca. Anche questo secondo volume godette di un largo consenso di pubblico ed ebbe tre ristampe.
Nello stesso periodo rafforzò la sua posizione all’interno dell’Accademia Fiorentina: nel marzo 1566 fu inviato a Venezia come rappresentante dell’Accademia insieme con Mario Colonna, poeta e servitore dei Medici, per recuperare la nuova edizione espurgata del Decameron, di cui si paventava la pubblicazione a Venezia presso Paolo Manuzio. La partecipazione di Colonna alla missione non è casuale, ma corrisponde ai rapporti di amicizia che allora erano vivi tra i due. All’amico il M. dedicò un trattato intitolato Visione dimostratrice della malvagità del carnale Amore (Firenze, Giunti, 1566; la dedicatoria è datata 18 apr. 1565).
L’opera rappresenta la visione, avuta dal M., del suo angelo custode, ai tempi in cui amava, non corrisposto, «troppo bella Donna, leggiadra et gentile» (p. 4). L’angelo mostra al M. i pericoli dell’amore carnale e lo indirizza verso la scoperta della vera bellezza, quella che viene da Dio. Subito dopo l’apparizione dell’angelo, il M. ha una nuova visione: un tempio con l’eucarestia, che prende ad adorare. Al suo risveglio, finalmente pentitosi (sentì «una contrizione sì grande»), chiede perdono a Dio per mezzo della confessione e, avuta l’assoluzione da un reverendo e venerabile sacerdote, si mette a «soddisfare pienamente con ogni suo potere alle commesse colpe» (p. 80).
Alla cornice letteraria di stampo piuttosto tradizionale si aggiunge un insistito carattere controriformistico, che si fa sentire soprattutto nella parte finale, dedicata a sottolineare il valore essenziale dei sacramenti riaffermati a Trento (eucarestia e confessione auricolare). La provata ortodossia dello scritto è d’altra parte attestata anche dall’imprimatur inquisitoriale che chiude il volume a p. 83.
La frequentazione con Colonna proseguì anche negli anni successivi: Colonna compare come interlocutore con il M. e R. Bocca in un dialogo ambientato nei primi anni Settanta, il De vita alicuius viri conscribenda iudicium – edito all’interno della raccolta del M., Parva ac pauca quaedam opuscula (Firenze 1609) –, dedicato al tema della scrittura di biografie storiche.
L’opera prende le mosse dalla Vita di Filippo Scolari (Firenze, G. Marescotti, 1570) scritta dal M. sul celebre condottiero fiorentino del Quattrocento. Questa prima prova storica, dedicata al granduca Cosimo I, si pone all’interno della ricca storiografia celebrativa sulle glorie nazionali di Firenze: scopo primario del volume infatti è quello di mondare Scolari dalla macchia d’infamia che altri storici, tra cui Sabellico, gli avevano imputato. Sulla scorta dell’esperienza acquisita con la Vita di Scolari, il dialogo con Colonna e Bocca cerca di chiarire il ruolo da riservare al modello plutarcheo nella stesura di una biografia e si interroga sugli scopi del genere biografico. Le conclusioni della discussione fra i tre personaggi sottolineano il carattere didascalico delle biografie, i cui lettori dovevano trarre insegnamento, sia in negativo sia in positivo, dalle vicende umane del personaggio storico.
Probabilmente a quegli anni devono essere datate le rime dedicate al M. da Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, nel 1566 riammesso nell’Accademia Fiorentina. Nelle ottave A’ riformatori della lingua toscana, comunemente attribuite agli anni 1550-51 ma più ragionevolmente collocate da ultimo verso il 1572-73, il M. è accostato a V. Buonanni, ingegno stravagante irriso in più occasioni da Grazzini, che al M. riserva parole quasi sempre denigratorie: tacciato di essere il «re de’ pedanti» (Grazzini, Le rime burlesche, p. 414), il M. è ricordato più volte, spregiativamente, come amico dei frati e uomo devoto.
La fortuna del M. dovette ben presto decadere. Nel 1573 si rivolse con una lettera accorata a Francesco de’ Medici, reggente del Granducato di Toscana e granduca dal 1574, supplicandolo di accordargli un incarico presso la corte. Dichiarava inoltre che al momento poteva contare solo su una pensione mensile di 7 scudi accordatagli da Cosimo I in segno di gratitudine per i servizi resi. Le richieste del M. dovettero essere accolte perché qualche anno dopo lo si trova all’isola d’Elba come commissario e governatore di Portoferraio. Prima di lasciare Firenze nel 1578 per raggiungere la nuova sede, di cui in seguito avrebbe lamentato l’isolamento, pubblicò la sua opera più impegnativa, l’in folio di argomento teologico In veteres quosdam scriptores malevolos Christiani nominis obtrectatores libri quatuor (Firenze, G. Marescotti, 1577).
La lettera dedicatoria al granduca FrancescoI costituisce un’importante fonte per la biografia del M., poiché traccia un sintetico quadro della sua vita alla corte medicea. L’opera aveva come scopo di ribattere ai numerosi storici antichi che nei primi secoli del cristianesimo trattarono di Cristo e dei primi cristiani in modo malevolo o falso. Il tessuto argomentativo è formato da una serie imponente di dotte citazioni dagli autori classici confutati, tra cui Seneca, Tacito, Svetonio, Apuleio e molti altri minori; non mancano anche riferimenti ad autori moderni come Marsilio Ficino e soprattutto Girolamo Savonarola, «vir doctissimus, et ingenio prudentiaque acutissimus» (p. 43), di cui il M. cita espressamente il Trionfo della Croce. Anche l’In veteres quosdam apparve con approvazione ecclesiastica.
L’impegnativo incarico amministrativo a Portoferraio interruppe le frequentazioni letterarie del M., che in quegli anni dovevano essere intense. All’inizio del 1578 il filosofo platonico Francesco Vieri, detto il Verino secondo, aveva redatto un trattato Delle comete su richiesta dello stesso M. (copia manoscritta dell’opera in possesso del M. si trova in Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 2675). Il soggiorno a Portoferraio segnò quindi un netto cambiamento di clima: dal 1578 al 1581 il M. si occupò soprattutto di problemi commerciali, dei conflitti giurisdizionali con il signore di Piombino e della sorveglianza della costa toscana. La corrispondenza di quegli anni mostra inoltre come il M. non avesse abbandonato i rapporti di sudditanza che lo legavano a don Pietro de’ Medici, anche se ormai era passato al servizio del granduca.
Concluso il mandato, il M. tornò a Firenze, recuperando rapidamente il tempo che i compiti di governatore di Portoferraio avevano sottratto agli studi. Da allora il suo servizio a corte fu di natura prettamente letteraria. Nel 1583 pubblicò un Discorso… nel quale si prova contra l’oppenione di alcuni non si potere artifizialmente ritrovare, ne dare ad un corpo composto di materia corrottibile, un movimento, che sia continuo et perpetuo (Firenze, B. Sermartelli).
Unica opera scientifica nota del M., questo scritto di una cinquantina di pagine si oppone ai sostenitori della possibilità del moto perpetuo ed è dedicato al suo successore nella carica di governatore di Portoferraio, il nobile Francesco Barbolani di Montauto.
Nel 1588 il M. redasse il catalogo della biblioteca granducale per conto del nuovo granduca Ferdinando e del suo segretario P. Usimbardi. Vide quindi la luce una delle opere più note del M., lodata anche da A. Possevino, il Trattato dell’origine, fatti, costumi e lodi di Matelda, la gran contessa d’Italia (Firenze, F. Giunti, 1589), che ha il grande merito di basarsi sul manoscritto, probabilmente autografo, della prima biografia matildina, quella del monaco Donizone.
La vita di Matilde scritta dal M. rimanda ancora una volta ad ambienti ecclesiastici ed è marcata profondamente da esigenze religiose: il volume è dedicato a Valier e si rifà alla biografia del camaldolese S. Razzi, ricordato espressamente dal M.; la possibilità stessa di consultare il prezioso manoscritto di Donizone, conservato nella biblioteca del cardinale Guglielmo Sirleto, fu concessa al M. solo in virtù delle sue frequentazioni curiali. Inoltre, l’immagine della contessa di Canossa che il M. delinea è quella di una devota santa della Controriforma più che di una vivace figura politica. La pubblicazione di questo volume ebbe qualche conseguenza: nel 1592 il benedettino Benedetto Luchini pubblicò un’altra vita di Matilde senza citare il lavoro del M., che se ne adontò e per questo pubblicò una Lettera apologetica (Firenze, G. Marescotti, 1594). Alcuni studiosi segnalano un’altrimenti ignota edizione mantovana della lettera, ascrivibile al 1592 ed edita per i tipi di Francesco Osanna: in tal caso il M. avrebbe scritto di getto la sua replica e l’avrebbe fatta subito pubblicare dallo stesso stampatore di Luchini. In questo nuovo lavoro, dedicato alla famiglia Pucci, sosteneva le sue ragioni contro le interpretazioni dello storico benedettino. Nel 1609 il M. diede alle stampe una nuova edizione della vita di Matilde, aggiungendovi non solo la lettera apologetica del 1594, ma anche nuovi documenti e alcune note polemiche contro l’opera storica di Alessandro Canobbio sulle vicende dell’intera famiglia Canossa.
Gli ultimi anni del M. furono segnati soprattutto dalla revisione delle opere precedenti. Nel 1606 pubblicò un’edizione ampliata della Vita di Filippo Scolari e nel 1609 raccolse alcuni suoi scritti in un volume, Parva ac pauca quaedam opuscula, dedicato all’abate del monastero di Vallombrosa C. Mainardi e al ricordo del cardinale S. Antoniano, un altro prelato con cui fu in buoni rapporti. Gli scritti riuniti in questa silloge sono per la maggiore parte di carattere religioso e tra questi si segnala un breve Contra Origenem. L’ultimo incarico di corte che il M. ricevette venne dalla granduchessa Cristina di Lorena, che gli ordinò di scrivere una biografia di Cosimo I, composta intorno al 1611. Quest’opera non fu mai pubblicata in vita dall’autore e fu riesumata da Domenico Moreni ed edita a Firenze nel 1820 come Ricordi intorno ai costumi, azioni, e governo del serenissimo gran duca Cosimo I.
I repertori degli scrittori fiorentini segnalano anche una biografia manoscritta di Marsilio Ficino di mano del M., altrimenti del tutto ignota. Tra i fondi a stampa della Biblioteca nazionale di Firenze sono conservati alcuni volumi appartenuti e postillati dal M., come la Vita di Matilde di S. Razzi (Pal., [11].C.1.1.) e il Discorso del M. contro il moto perpetuo (Postillati, 131).
Il M. morì a Firenze il 28 marzo 1620 e fu tumulato nella chiesa di S. Maria Maggiore.
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M. Cavarzere