MICHELI, Domenico. –
Bolognese, non se ne conosce la data di nascita, da collocarsi, probabilmente, attorno agli anni Quaranta del Cinquecento, giacché il suo debutto editoriale, la più antica attestazione d’esistenza che di lui possediamo, è del 1564, anno del Primo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Gardano).
Sottoscritta a Bologna il 1° settembre, l’epistola dedicatoria che accompagna il volume si rivolge a Marc’Antonio Colonna Marsigli, del quale il M. si dice servitore «divotissimo» e «affettionatisimo», invocandolo a difesa e protezione dei suoi «bassi componimenti» che qualcuno potrebbe giudicare esser nati «ancora da poco dotti pensieri & non anco maturo giudicio»: espressione che sembra voler scusare una certa giovanile inesperienza.
Ciononostante, esattamente un mese dopo e sempre da Bologna, il M. licenziò, ancora per Gardano, il Secondo libro de madrigali a cinque voci (ibid.). Stavolta l’opera venne offerta ad Anselmo Dandini, giovane abate di S. Bartolomeo a Ferrara destinato a una brillante carriera ecclesiastica: verace sostenitore della musica, a quanto lasciano intendere sia la lettera di dedica sia il fatto che, in quello stesso giro di tempo, altre raccolte madrigalistiche ne ricercavano la tutela. Singolare, nella pubblicazione del M., l’aspetto del frontespizio dove, alla marca dello stampatore, si sostituisce lo stemma di Dandini che vi grandeggia quasi a piena pagina.
Nel 1567, per i tipi di quel multiforme protagonista della vita musicale cinquecentesca che fu Claudio Merulo (Merlotti) da Correggio, musicista egli stesso, e tra i maggiori del secolo, uscirono a Venezia i Madrigali a sei voci. Libro terzo del M., la cui laconica dedicatoria a Lorenzo Campeggi arcidiacono di Bologna, redatta a Venezia il giorno 25 maggio, ha un tono assai formale e purtroppo non fornisce indicazioni utili a ricostruire la biografia dell’estensore.
In tutti e tre i suddetti volumi il M. intona versi petrarcheschi, per la gran parte già abbastanza sfruttati dai madrigalisti, o comunque improntati al petrarchismo allora imperante. Quattro liriche di F. Petrarca si trovano nel primo, tre nel secondo, sei nel terzo; e, emergenti dalla fisiologica congerie di pagine adespote, ve ne sono anche di Bernardo Tasso, L. Ariosto, Girolamo Parabosco, Luigi Cassola, A. Caro, Antonio Placidi, Giampaolo Castellina, nonché della comica Vincenza Armani. Inoltre, la sezione finale del Secondo libro è occupata da Amor, se vuoi ch’io torn’al giogo antico di Luigi Tansillo, per le cui otto stanze il compositore confeziona una veste timbrica piuttosto immaginifica. Ciascuna, infatti, esige un organico differente dall’altra: le cinque voci della prima si riducono via via alle tre della terza; da lì in avanti la quantità di voci aumenta progressivamente, pezzo dopo pezzo, fino alle otto dell’ultima stanza. La canzone di Tansillo si estende su quasi un terzo dell’intera raccolta, poi definitivamente sigillata da un madrigale d’impianto dialogico ancora a otto voci. Va peraltro notato come, cavalcando una fortunata abitudine editoriale, questi libri del M. si chiudano sempre in crescendo con uno o due sontuosi dialoghi per molti cantori (sino a toccare l’inaudito numero di dodici parti) generalmente suddivisi in due cori. Sovente è il compositore, di sua personale iniziativa, a trattare un testo non dialogico come se invece lo fosse: per esempio È quest’il petto amor a cui mi resi e, di Parabosco, Ancor ch’io possa dire (entrambi a otto voci, Primo libro), Partomi donna e teco lascio il core (a otto, Secondo libro), Voglia mi sprona, Amor mi guida e scorge di Petrarca (a dodici voci distribuite in tre cori, Libro terzo). Talvolta è il testo stesso a suggerire una costruzione musicale a domanda e risposta: così il sonetto petrarchesco Liet’e pensose, accompagnat’e sole, colloquio tra il poeta e le donne ispiratore di parecchie intonazioni precedenti e successive al M., la cui versione (a dodici, Libro terzo) mira piuttosto a una sorta di integrazione che non a una vera e propria contrapposizione tra i due blocchi di voci.
Il 4 apr. 1567 il M. sostituì Gabriele Martinengo alla guida della cappella musicale del duomo di Udine; tra i suoi compiti vi era anche quello di istruire i chierici nel canto piano e figurato. Ma inspiegabilmente, a settembre, aveva già lasciato il posto.
Nel 1569 uscì a Venezia, per Gardano, il suo Quarto libro de madrigali (di cui si conservano soltanto due libri-parte) indirizzato al cavaliere gerosolimitano Lodovico Orsini. Della maggioranza dei testi non si conoscono gli autori, né altre intonazioni. Perlopiù concepiti per cinque voci, ve ne sono però, al principio e soprattutto alla fine, anche a sei, sette (il sonetto di P. Bembo, Amor che meco in quest’ombre ti stavi), a otto (il madrigale poetico Laura soave, vita di mia vita di Cassola reso alla maniera d’un dialogo musicale), a dieci.
Negli anni successivi opere del M. apparvero in antologie costituite prevalentemente da autori nati o attivi nell’area padano-veneta: il madrigale bipartito a cinque voci Margarita la cui beltà immortale sta nei Dolci frutti primo libro de vaghi et dilettevoli madrigali assemblati dal frate eremitano Cornelio Antonelli da Rimini detto il Turturino, con dedica al dottore e cavaliere ravennate Gasparo Pignatta (Venezia, Scotto, 1570); Siam tre vecchi gobi inamorà nel Secondo libro delle giustiniane a tre voci compilato dal trevigiano Giuseppe Policreti più che altro con pezzi propri (ibid., erede di G. Scotto, 1575); Questo benigno spirto nel Primo fiore della ghirlanda musicale a cinque voci con un dialogo a nove, a cura dell’udinese Giovanni Battista Mosto (ibid., erede di Scotto, 1577).
Nel medesimo 1577 il M. si candidò come maestro di cappella per S. Petronio, in luogo del defunto Stefano Bettini. Ma la supplica ai «Sig.ri offitiali» della basilica bolognese, vergata da Cesena il 30 aprile, non ebbe l’effetto desiderato, poiché a venire assunto fu Bartolomeo Spontoni. Tuttavia quelle righe di autopresentazione (riportate in Gaspari e in Gambassi) si rivelano di grande utilità per delineare il profilo biografico del M., che si dice sacerdote, felsineo di patria e istruito in S. Petronio, dove altre volte in passato si è mostrato desideroso di voler tornare a servire; pertanto ha pregato il conte Girolamo Pepoli di interessarsi alla questione anche prima della morte di Bettini. Inoltre racconta di «havere esercitato questa scientia e professione [della musica] tanti anni et in tanti luochi», e di trovarsi al momento, dopo un pellegrinaggio a Loreto, «assai accarezato e ben veduto» a Cesena, cittadina nella quale riferisce di essere stato trattenuto dal clero locale in occasione delle recenti festività pasquali.
Nel settembre 1580 il M. concorse al posto per maestro di cappella presso il duomo di Padova, resosi vacante dopo la breve permanenza di Baldassarre Donato. Ottenne 10 voti favorevoli sui 23 a disposizione, ma venne sopravanzato da Mosto, che ne ebbe invece 12.
Il 10 febbr. 1581 il M. licenziò da Ravenna la dedica a Innocenzo Malvasia, tesoriere del papa per la Provincia di Romagna, del Quinto libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Gardano).
Dapprima il M. rammenta «la longa servitù havuta con la felice memoria del Sig. Cornelio suo Padre & che tuttavia tengo con lei», poi decanta la passione di Malvasia per la musica, «la quale continuamente, in ogni genere fà essercitare nel suo palazzo quà in Ravenna»; e in più lo magnifica nel madrigale encomiastico che apre il volume Sì come bella et dolce primavera. Oltre a ciò, in segno di riconoscenza per gli innumerevoli benefici ricevuti, il M. offrì al presule pure il Missarum quinque cum quinque vocibus liber primus (ibid. 1584) concepito durante il suo impiego come musico e maestro di cappella a Cesena, gli estremi cronologici del quale, però, non sono precisati nella epistola prefatoria redatta a Venezia in dicembre. Anche per il Quinto libro, e anzi in numero molto maggiore che nel precedente, vengono prescelte liriche (adespote), quasi tutte ignorate da altri compositori. Singolare la presenza di Quivi sospiri, pianti ed alti guai dalla Commedia dantesca, assai significativa in quanto la fortuna di Dante Alighieri fra i madrigalisti cinquecenteschi è pressoché nulla. Difatti in tutto il secolo se ne conta soltanto una decina di intonazioni (tra il 1576 e il 1604), e più della metà proprio di questi versi. Il volume si conclude con il dialogo a dieci voci Cor mio! - Che fai? - Voresti saltar fuora (Nutter).
Con il madrigale Sol mirando vorrei (pubblicato in Piperno, pp. 148-153) il M. partecipò nel 1586 alla miscellanea dedicata a Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova, De floridi virtuosi d’Italia, il terzo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Vincenti e Amadino). Il 13 sett. 1588 il M. venne eletto per un triennio maestro di canto nella cattedrale di S. Pietro a Bologna; carica che, nel luglio successivo, si era tramutata in quella di maestro di cappella. Nel 1591 gli succedette il concittadino Paolo Magri. Da allora non si hanno ulteriori notizie del M., di cui si ignorano, dunque, il luogo e la data di morte.
Nel 1590 il suo madrigale a cinque voci Se pur offesa sei era stato accolto nell’antologia di «eccellentissimi musici della Città di Bologna» intitolata Le gemme (Milano, Francesco et heredi di Simon Tini, 1590). Rielaborazioni di madrigali del M. in chiave religiosa, con i testi volti in latino, si trovano successivamente in due sillogi curate da Geronimo Cavaglieri dell’Ordine di S. Basilio, Della nova metamorfosi de diversi autori. Libro secondo a cinque voci (Milano 1605) e Madrigali de diversi auttori, accomodati per concerti spirituali. Opera quinta (Loano 1616).
Fonti e Bibl.: G.O. Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica, a cura di C. Ruini, Firenze 1988, p. 111; G. Gaspari, Memorie riguardanti la storia dell’arte musicale in Bologna al XVI secolo, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie della Romagna, s. 2, I (1875), pp. 90-97; G. Vale, La cappella musicale del duomo di Udine dal sec. XIII al sec. XIX, in Note d’archivio per la storia musicale, VII (1930), p. 114; R. Casimiri, Musica e musicisti nella cattedrale di Padova nei sec. XIV, XV, XVI. Contributo per una storia, ibid., XVIII (1941), p. 112; XIX (1942), p. 70; D.A. Nutter, The Italian polyphonic dialogue of the sixteenth century, diss., University of Nottingham, 1978, passim; F. Piperno, Gli «eccellentissimi musici della città di Bologna». Con uno studio sull’antologia madrigalistica del Cinquecento, Firenze 1985, ad ind.; O. Gambassi, La cappella musicale di S. Petronio. Maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, Firenze 1987, pp. 452 s.; F.-J. Fétis, Biographie universelle des musiciens, VI, p. 134; Supplément et complément, II, p. 220; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, II, p. 98; Suppl., p. 533; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, V, pp. 468 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, V, p. 87; The New Grove Dict. of music and musicians, III, p. 834; XVI, p. 597; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Sachteil, II, col. 28; Personenteil, XII, coll. 168 s.
G. Moppi