MONTAGNANA, Domenico
MONTAGNANA, Domenico. – Nacque a Lendinara il 24 giugno 1686, da Paolo, artigiano, e Andriana Spinelli.
Secondo una tradizione costantemente riportata nella bibliografia liutaria, ma non suffragata dai documenti, egli si sarebbe trasferito a Venezia nel 1699, divenendo allievo e aiutante, insieme con un altro giovane apprendista, Francesco Gobetti, del grande liutaio veneziano Matteo Gofriller, e avrebbe avviato un’attività in proprio verso il 1711. Questa ipotesi, da qualche tempo ridimensionata al semplice riconoscimento dell’influsso di Gofriller sulla produzione del M., è stata di recente ulteriormente riveduta da S. Pio (p. 276), il quale ritiene che il giovane M., giunto a Venezia nel 1701-02, possa invece aver appreso la professione presso Matteo Sellas, mettendosi in proprio nel 1712. A ogni modo la sua presenza nella città lagunare è attestata da documenti solo a partire dal 1715, allorché, all’età di 28 anni, egli risulta maestro liutaio iscritto alla corporazione dei marzeri (merciai) con bottega in calle degli Stagneri contrassegnata (almeno dal 1719) dalla «insegna di Cremona».
Quest’ultimo particolare rende verosimile una permanenza del M. a Cremona, come confermerebbe qualche strumento menzionato nei repertori di liuteria, in particolare una chitarra del 1712 costruita nella città lombarda (cfr. Vannes), senza tuttavia che essa sia mai stata esibita o ricordata in tempi recenti. L’apprendistato del M. presso Sellas, la cui dinastia era specializzata nella costruzione dei liuti, rende infatti possibile che la prima fase della sua produzione sia stata rivolta alla costruzione di strumenti a pizzico, e che quelli ad arco siano venuti solo dopo l’eventuale visita di studio a Cremona, forse alla fine del suo periodo di istruzione a Venezia. In ogni caso non si conoscono suoi strumenti ad arco risalenti con certezza a prima del 1720. L’eventuale permanenza cremonese potrebbe avere altresì qualche relazione con l’arrivo a Venezia nel 1717 di Pietro Guarneri, fratello primogenito del più famoso Giuseppe Guarneri «del Gesù», che vi si trasferì da Cremona divulgando le tecniche costruttive proprie della città natale, pur senza mai aprire bottega in proprio, ma lavorando per Matteo Sellas, ancora strettamente legato al M. e insediato come lui nella calle degli Stagneri.
L’11 marzo 1717 il M. sposò Cattarina Berti, figlia del defunto Stefano Berti, anche lei residente nella parrocchia di S. Bartolomeo, andando ad abitare nelle vicinanze, poco distante dalla chiesa e dalla bottega. La prima figlia, Andriana Lodovica, nacque nel 1719, l’anno seguente venne alla luce Virginia Antonia, seconda delle sei figlie femmine avute dalla coppia (l’ultima nata nel 1728).
Nel periodo compreso tra i primi anni Trenta e il 1750, la fama e il successo del M. crebbero costantemente, tanto da consentirgli una vita piuttosto agiata e l’acquisto progressivo di svariate proprietà.
Tra i colleghi che più gli furono vicini, un liutaio poco noto, Giovanni Ongarato, che potrebbe aver svolto il suo apprendistato proprio nella bottega del M., come pure Angelo Sopran, quasi coetaneo del maestro, che potrebbe essere stato apprendista insieme con il M. presso Sellas, prima di insediarsi anche lui in calle degli Stagneri. Morto prematuramente quest’ultimo, nel 1734, il M. fu chiamato a redigere l’inventario della bottega del defunto nella quale si trovavano una grande quantità di violini «tedeschi» vecchi e nuovi, come pure chitarre, archetti e moltissime corde. Il rispettivo documento (cfr. R. Vianello, Precisazioni biografiche su D. M., in D. M. «Lauter in Venetia», pp. 127 s.) suggerisce che a Venezia venissero importati violini da Oltralpe, magari non ancora terminati, per essere qui messi a punto e venduti dagli artefici locali, giacché – stando almeno alla quantità di musica prodotta – il mercato liutario veneziano nei primi decenni del Settecento doveva essere davvero imponente (basti ricordare per tutti l’attività musicale di A. Vivaldi).
Il M. ebbe relazioni professionali anche con molti musicisti, tra i quali Antonio Farinato e Antonio Asioli «Martinelli», entrambi violinisti e suoi clienti, il primo amico e confidente e il secondo intermediario per le commesse di strumenti a corde da parte di uno dei quattro ospedali veneziani nei quali si istruivano musicalmente le giovani fanciulle. Le notizie archivistiche relative al M. si fanno più frequenti negli anni compresi tra il 1740 e il 1749, e si riferiscono tra l’altro al pagamento della tassa di «milizia e di taglione».
Il M. morì a Venezia il 7 marzo 1750.
Dopo la sua morte, la quarta figlia, Antonia Anna, sposò il 21 nov. 1751 il liutaio Giorgio Serafin, dal 1744 insediatosi anche lui in calle degli Stagneri. Di particolare interesse è un documento immediatamente precedente a questa unione (cfr. Pio, pp. 293-297), nel quale le sorelle Montagnana si impegnavano con lo stesso Serafin in una sorta di patto societario («compagnia di negozio») per la continuazione della bottega già appartenuta a loro padre. Serafin si dichiarava disposto a sposare Antonia fornendole la dote, e al tempo stesso accettava di gestire e condurre la bottega mantenendo l’intestazione «Domenico Montagnana» (il che spiega, tra l’altro, perché ancora 16 anni dopo la morte di quest’ultimo venissero firmate fatture col suo nome). Una società in accomandita, dunque, nella quale le sorelle svolgevano la mansione di capitaliste e Serafin quelle di accomandatario, con un minuzioso statuto che prevedeva finanche il lodo arbitrale in caso di dissidio tra i soci. Nell’inventario che venne stilato in quell’occasione, il 14 apr. 1751 (ibid., p. 300), si trovano citati anche gli strumenti che il M. teneva presso di sé e che le eredi consegnarono a Serafin affinché li vendesse: si tratta di alcuni violini di autori diversi (Antonio e Girolamo Amati, S. Serafin, F. Gobetti, C. Tononi, M. Costa di Treviso, la copia di uno J. Stainer, oltre a uno dello stesso M. ancora da finire), strumenti che fanno pensare a un vero e proprio campionario di opere dovute ai colleghi più ammirati dal maestro.
Per quanto concerne le caratteristiche costruttive dei suoi prodotti, il M. realizzò violini basandosi su almeno due differenti modelli. Il primo di dimensioni più piccole, ma con una bombatura più alta, sulla scorta degli strumenti di Stainer, all’epoca molto apprezzati e imitati. Questa sua produzione non indulge al perfezionismo estetico, che non fu anzi mai perseguito dal maestro, ma risulta comunque di notevole incisività e forza estetica. Violini più grandi, documentati a partire dal 1730, hanno una bombatura più piatta, che risente dell’influsso di P. Guarneri, e più in generale della scuola cremonese, come pure la forma e le caratteristiche delle rientranze laterali della cassa (le «C»), la costruzione interna e la fascia inferiore in un solo pezzo. Di particolare rilevanza è la scultura del riccio, che imprime a questi strumenti un’ulteriore cifra personale e distintiva (il M. era peraltro solito inserire le sue iniziali con un marchio a fuoco all’interno della cassa, marchi che sono stati poi spesso eliminati nel corso dell’Ottocento per attribuire tali strumenti ad autori più valutati e redditizi). Oggi l’apparenza fisica e la robustezza sonora di questo secondo gruppo di strumenti ne fanno strumenti da concerto di prima categoria, ammirati e ricercati come pochi altri. Per quanto concerne le viole, se ne conoscono solo un paio attribuite al M., una delle quali per molto tempo appartenuta al grande violista inglese Lionel Tertis che, pur essendo stata modificata nel profilo, servì come prototipo per il modello Tertis, che ha fatto scuola nella costruzione recente di questa taglia dello strumento.
Assolutamente superiori sono i violoncelli del M., considerati tra i migliori strumenti di questa categoria e posti alla stregua di quelli di A. Stradivari. Essi presentano una cassa piuttosto contenuta in altezza ma di larghezza particolarmente ampia, con uno spessore del legno superiore alla norma, caratteristiche che consentono a questi esemplari di superare in sonorità tutte le più esigenti richieste del concertismo, tanto da essere considerati al giorno d’oggi l’ideale per i solisti. Si tratta di un modello che deve sicuramente molto alle speciali condizioni della musica strumentale a Venezia, dove il principio concertante fu portato al più alto sviluppo, con la necessità conseguente di esemplari agili e potenti, in particolare proprio per il registro basso. D’altra parte non mancano nel catalogo del M. almeno due imponenti contrabbassi.
La scelta dei materiali da parte del M. è sempre molto accurata, con acero a larga marezzatura per il fondo, mentre per la tavola armonica egli usava abete con venatura fine al centro e sempre più ampia man mano che ci si avvicina ai bordi. Le vernici vanno dall’arancio-rosso fino al marrone scuro, e confermano, con la loro qualità, la posizione del M. tra i più grandi artefici della sua epoca. Come altri liutai veneziani, egli amava passare un secondo strato di vernice prima ancora che finisse di asciugare quello precedente, donde la tipica screpolatura (craquelure).
La produzione oggi conosciuta e a lui attribuita con una buona probabilità comprende, se si escludono eventuali chitarre, un’ottantina di violini, due viole, una ventina di violoncelli e due contrabbassi, tutti con quotazioni sempre molto elevate, ma che raggiungono vertici da record nel caso dei violoncelli.
Fonti e Bibl.: W.L. von Lütgendorff, Die Geigen- und Lautenmacher vom Mittelalter zur Gegenwart, I-II, Frankfurt a.M.-Berlin 1922, III, con supplemento e aggiornamento a cura di Th. Drescher, Tutzing 1990, p. 417; R. Vannes, Dictionnaire universel des luthiers, I, Bruxelles 1951, p. 246; A. Berr, Domenicus M., Venedig, um 1680 bis 1750, München 1953; S. Toffolo, Antichi strumenti veneziani 1500-1800. Quattro secoli di liuteria e cembalaria, Venezia 1987, pp. 132-134; Les violons: lutherie venitienne, peintures et dessins (catal.), Paris 1995, pp. 87-120; D. M. «lauter in Venetia» (catal.), Lendinara 1997, a cura di F. Cacciatori - B. Carlson, Cremona 1998; S. Pio, Liuteria veneziana 1640-1750, Venezia 2004, pp. 274-335; The New Grove Dict. of music and musicians, XVII, pp. 11 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XII, coll. 367-369.