ORSINI, Domenico
ORSINI, Domenico. – Nacque a Napoli il 23 novembre 1790 dal principe Domenico e dalla principessa Faustina Caracciolo di Torella.
Morto il padre pochi mesi prima della sua nascita, fu allevato dal nonno paterno, Filippo Bernualdo, XVI duca di Gravina. Fatti i primi studi a Napoli, nel 1806 si trasferì a Roma, dove studiò matematiche e scienze morali presso il gesuita Collegio romano.
Dopo una serie di viaggi in Italia e in Europa, il 6 febbraio 1823 sposò Maria Luisa Torlonia, figlia di Giovanni, dalla quale ebbe cinque figli: Giacinta, Teresa, Beatrice, Maria e Filippo. Il matrimonio fu decisivo perché con la cospicua dote ricevuta da Giovanni Torlonia gli fu possibile assolvere a una serie di gravi passività. L’anno seguente succedette quale XVIII duca di Gravina al ramo primogenito degli Orsini di Bracciano, divenendo così principe assistente al soglio pontificio, carica condivisa solo con il principe Colonna.
Tra i sostenitori di un’azione moderatamente riformatrice nei riguardi della situazione economica, finanziaria e amministrativa dello Stato della Chiesa, nel 1832 fu nominato da papa Leone XII direttore del Consiglio di liquidazione, con il compito di controllare e amministrare il debito pubblico e di pagare «tutte le pensioni e giubilazioni civili, militari, i sussidi stabili e temporanei, gli assegni ecclesiastici e caritativi, tanto ordinari che straordinari ed ogni altra passività perpetua e temporanea a carico del pubblico erario» (Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio, I, Roma 1834, p. 25).
Cercò di riordinare l’amministrazione chiamando a collaborare elementi di valore, ma i suoi tentativi trovarono decisa opposizione da parte dei cosiddetti zelanti, l’ala più conservatrice della Curia pontificia. «Tutte le cure che io adopero – scriveva il 20 maggio 1833 al consigliere aulico di Metternich Giuseppe Maria Sebregondi in missione a Roma – per servir meglio che so il governo fruttano assai meno di quello che dovrebbero perché si fa uno studio, parte per birberia e parte per incapacità, di avversare ogni operazione che conduce al bene. E così chi serve di buona fede senza idee secondarie e senza transazione cogli abusi, ottiene la guerra di tutti» (Nada, 1957, p. 101).
In evidente difficoltà, nel gennaio 1834 fu destituito dall’incarico ma, contemporaneamente, fu nominato dal nuovo papa, Gregorio XVI, senatore di Roma, antica carica municipale, che tenne fino al 1847.
La carica ormai rivestiva un carattere puramente onorifico, come con la consueta ironia sottolineò Giuseppe Gioachino Belli proprio a proposito dell’elezione di Orsini: non solo infatti la città di Roma fu esclusa dalle nuove normative sull’amministrazione locale emanate da Gregorio XVI, ma con editto del 13 maggio 1834 la competenza del tribunale cui faceva capo il senatore veniva ristretta alle cause non superiori ai 200 scudi. Per tentare di restituire dignità al ruolo, Orsini provò a rivendicare antichi diritti e franchigie municipali, anche se «è difficile distinguere quanto le richieste riflettessero consapevolezza e volontà di un più funzionale e diretto impegno e quanto invece di interessi particolari, quasi pretese di una classe, quella dell’alta aristocrazia, che cominciava ad essere tallonata dalla piccola borghesia provinciale e dal gruppo della borghesia emergente» (Bartoccini, 1985, p. 170).
Con l’elezione al soglio pontificio di Pio IX (1846), Orsini entrò a far parte di una commissione, presieduta dal cardinale Ludovico Altieri, con il compito di proporre le linee guida per una completa riforma del municipio romano, poi attuata con il motuproprio del 1° ottobre 1847 che abolì l’antico tribunale municipale.
In quegli anni Orsini aveva rivestito importanti ruoli anche nell’ambito dell’amministrazione provinciale. Nel 1831, in seguito all’editto di Gregorio XVI, entrò a far parte del ristretto corpo di consiglieri e collaboratori del preside di Roma e Comarca, che avevano il compito di esaminare le spese, le imposte e la loro ripartizione tra i Comuni. Con l’editto del 1850 il Consiglio allargò le sue prerogative, occupandosi di opere pubbliche, di strade provinciali, di agricoltura, commercio, alimentazione e sanità.
L’attività di Orsini si muoveva su più piani. Nel 1837 fu a capo di una delegazione per venire incontro ai disagi provocati, soprattutto nella popolazione più giovane, dall’epidemia di colera, che toccò il suo culmine a Roma nei mesi di agosto, settembre e ottobre. Fu tra gli organizzatori di un ospizio a Santa Galla in grado di ricoverare fino a 500 infermi al giorno ed egli stesso mise a disposizione la propria villa di Castel Gandolfo quale ricovero per i fanciulli i cui genitori erano morti a causa del morbo.
Nel 1840 la perdita della figlia Maria, nata appena due anni prima, gli procurò una forte crisi che lo tenne lontano per alcuni mesi dalla vita pubblica. Nello stesso anno, grazie alla garanzia di Alessandro Torlonia, ottenne un’estensione del credito da 12.000 a 58.000 scudi da parte della Cassa di risparmio di Roma, denaro che utilizzò per investimenti immobiliari nel Regno di Napoli. Orsini rimase comunque sempre debitore dell’istituto bancario, se ancora nel 1869 aveva un passivo di 134.000 scudi.
Con la carta costituzionale emanata da Pio IX nel 1848 entrò a far parte dell’Alto consiglio, nel quale ricoprì la carica di questore. Con un intervento del 18 novembre richiese all’assemblea l’immediata nomina di una commissione di contabilità e un dettagliato elenco di tutte le spese sostenute fin ad allora e delle somministrazioni di denaro fatte dall’Erario pubblico (Rapporto dei questori dell’Alto consiglio, 18 novembre 1848, [Roma] 1848, p. 2).
Poco prima della costituzione della Repubblica, si trasferì a Napoli, dove risiedeva un altro ramo della famiglia e dove vantava ancora cospicui possedimenti. Nel marzo 1849, in seguito a un decreto dell’Assemblea costituente, che prevedeva un prelievo in forma progressiva sui cittadini più abbienti, fu sottoposto al pagamento di un prestito forzoso di 747 scudi. Di tale cifra pretese la restituzione una volta restaurato il governo pontificio.
Caduta la Repubblica, nell’agosto del 1849 fu chiamato a ricoprire il delicato incarico di ministro delle Armi, nel quale il 16 febbraio 1850 fu surrogato dal generale Guglielmo De Kalbermatten, e che il 1° novembre fu richiamato nuovamente a ricoprire fino al luglio dell’anno successivo. I suoi criteri si ispirarono all’organizzazione di «una milizia essenzialmente atta a mantenere l’ordine interno» (A. Vigevano, La fine dell’esercito pontificio, Roma 1920, p. 1). Stabilì inoltre di annullare ogni atto emanato dopo il 16 novembre 1848, esonerando tutti gli ufficiali e graduati, guardie civiche e corpi franchi entrati dopo quella data. Avviò infine la procedura per l’arruolamento di 4000 soldati per completare i quadri dell’esercito.
Nel febbraio 1857 fu nuovamente nominato senatore di Roma, carica che tenne fino al novembre 1858. Nel gennaio 1860 manifestò pubblicamente, insieme a una deputazione di rappresentanti dell’alta nobiltà, la propria fedeltà a Pio IX, dopo la perdita delle legazioni.
Accettò quindi, nello stesso anno, di presiedere una commissione per la raccolta in Roma dell’obolo di S. Pietro, provvedimento che nasceva dal clima d’intensa propaganda cattolica a favore del dominio temporale della Santa Sede. La città rispose nei primi dieci giorni con 739 offerte, provenienti da persone di ogni età, sesso e ceto sociale, anche se la stampa dette molto risalto soprattutto alla partecipazione popolare.
Favorevole, intorno alla metà degli anni Sessanta, a una graduale apertura dello Stato della Chiesa verso il Regno d’Italia, per ragioni sia commerciali sia finanziarie, Orsini, che trascorreva alcuni periodi dell’anno a Napoli, diradò sempre più i suoi impegni, non tralasciando, nei momenti di ozio, di dedicarsi alla sua antica passione per l’intaglio e il tornio e di assistere, nello sferisterio di piazza Barberini, a incontri di gioco del pallone con il bracciale, attività che aveva molto praticato negli anni giovanili.
Dopo il 1870 e l’annessione di Roma al Regno d’Italia continuò ad assecondare i moniti di Pio IX, che esortava l’aristocrazia romana a non occuparsi della vita pubblica, non seguito in questo da suo figlio Filippo che invece si candidò, risultando eletto, al Consiglio comunale di Roma.
Morì nel suo palazzo romano il 18 aprile 1874, in seguito a una dolorosa malattia che lo aveva praticamente immobilizzato.
Fonti e Bibl.: L’archivio della famiglia Orsini si trova in parte presso l’Archivio storico Capitolino (Fondo Orsini, Serie I, Cartedel Principe Domenico Orsini senatore di Roma, bb. 394-396; 416-417; 419-477), parte presso il Department of Special Collections, Charles E. Young Research Library, University of California at Los Angeles (sulla questione si rinvia a F. Allegrezza, Formazione, dispersione e conservazione di un fondo archivistico privato: il fondo diplomatico dell’archivio Orsini tra Medioevo e Età moderna, in Archivio della Società romana di Storia patria, CXIV [1991], pp. 77-99). B. Barone, A D. O. principe assistente al solio pontificio duca 17. di Gravina … quando da Gregorio XVI era creato direttore e preside del pubblico debito, [Roma] 1832; La voce della verità: gazzetta dell’Italia centrale, n. 996,19 dicembre 1837; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, VIII, Venezia 1861, pp. 222 s.; LIX, ibid. 1862, pp. 73, 77; L. Pompili Olivieri, Fasti capitolini 1848-1860, Roma 1862, pp. 132, 153, 158; A. Cavallini, D. O., Roma 1879; F. Gregorovius, Diari romani, Milano 1895, p. 94; Le Assemblee del Risorgimento: Roma, Roma 1911 (Alto Consiglio, 18 novembre 1848); T. Torriani, Roma e comarca, Roma 1927, ad ind.; P. Dalla Torre, Materiali per una storia dell’esercito pontificio, in Rassegna storica del Risorgimento, 1941, pp. 67, 85; N. Nada, Metternich e le riforme dello Stato pontificio: la missione Sebregondi a Roma (1832-1836), Torino 1957, pp. 72, 101 s.; A. Chigi, Il tempo del papa-re:diario, Roma 1966, ad ind.; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana, III, Napoli 1967, pp. 17-20; F. Bartoccini, La “Roma dei romani”, Roma 1971, pp. 150, 195; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I-IV, Roma 1972-2009, ad indices; R. De Cesare, Roma e lo stato del papa, Roma 1975, pp. 27, 41, 608; S. Negro, Seconda Roma, Milano 1977, p. 429; E. Natali, Il ghetto di Roma, Bologna 1980, pp. 111 s.; C. Crocella, Augusta miseria, Milano 1982, p. 114; F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento, Bologna 1985, ad ind.; G.G. Belli, Poesie romanesche, a cura di R. Vighy, V, Roma 1990, nn. 1045, 1046; N. Del Re, La Curia capitolina e tre altri antichi organi giudiziari romani, Roma 1993, p. 87; M. Bocci, Il municipio di Roma tra riforma e rivoluzione (1847-1851), Roma 1995, ad ind.; Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX. Amministrazione, economia, società e cultura. Atti del convegno… Roma… 1995, a cura di A.L. Bonella - A. Pompeo - M.I. Venzo, Roma 1997, pp. 370, 441, 456; R. D’Errico, Una gestione bancariaottocentesca: la Cassa di risparmio di Roma dal 1836 al 1890, Napoli 1999, ad ind.; Il salotto nelle cartoline: acquerelli di F. Caetani, Roma 1999, pp. 124 s.; I pubblici spettacoli a Roma (1848-1870): inventario, a cura di A.M. Montano, Roma 2011, ad ind.; D. Bocquet, Rome ville technique (1870-1925), Roma 2007, pp. 65 s.; F. Jankowiak, La curie romaine de Pio IX à Pie X, Roma 2007, ad ind.; D. Felisini, “Quel capitalista per ricchezza principalissimo”: Alessandro Torlonia principe, banchiere, imprenditore nell’Ottocento romano, Soveria Mannelli 2004, ad indicem.