PAGHINI, Domenico
PAGHINI, Domenico. – Nacque con ogni probabilità a Venezia il 1° luglio 1777.
Il padre, Natale, di origine bergamasca, era di professione negoziante, e con la moglie Cattarina Piccinini si trasferì intorno al 1780 a Udine dove il giovane Domenico ebbe la sua prima formazione presso il Seminario arcivescovile.
Nel capoluogo friulano ricevette i suoi primi rudimenti artistici da Leopoldo Zuccolo, che lo nominò spesso nei suoi scritti e forse gli trasmise anche la passione per la musica. In seguito, dopo un breve passaggio presso l’atelier di Pietro Antonio Novelli, all’inizio degli anni Novanta attivo in Friuli, approdò da Giovanni Battista Tosolini. Nella scuola di disegno aperta dal maestro udinese incontrò Odorico Politi, con il quale strinse una forte e duratura amicizia. L’insegnamento di Tosolini, basato sui rigidi principi accademici dell’esercizio della copia dall’antico, fu rafforzato dalla frequentazione dell’Accademia di belle arti di Venezia, dove, almeno fino al 1803, il suo docente di pittura fu Giuseppe Diziani, attardato interprete della tradizione tiepolesca.
Dai suoi appunti sparsi nei numerosi taccuini di disegni conservati presso la Biblioteca civica di Udine, sappiamo che Paghini nei primissimi anni dell’Ottocento soggiornava spesso in una casa di Mirano di proprietà della famiglia, da dove poteva raggiungere Venezia per partecipare alle lezioni accademiche e dove poteva esercitarsi nel disegno e nello studio del violoncello e del canto.
Non è noto quando completò i suoi studi, verosimilmente intorno alla metà del primo decennio, visto che nel 1805 venne assunto come cantore dall’orchestra del duomo di Udine, e negli anni successivi sono spesso documentati suoi interventi canori nelle dimore delle principali famiglie cittadine, dove spesso dava anche lezioni di violoncello ai giovani nobili locali. È possibile che ai primissimi anni del nuovo secolo risalga anche il suo esordio nel campo della pittura murale: gli sono state infatti attribuite alcune decorazioni in palazzi di Cividale del Friuli (casa Bonessa, palazzo de Puppi, casino di Società dei Nobili) che dimostrano la conoscenza diretta del formulario tardorococò messo a punto da Francesco Chiarottini, morto proprio a Cividale nel 1797, ma la cui opera era continuata in loco dall’allievo Giuseppe Mattioni, che aveva anche accesso ai disegni del maestro conservati presso la famiglia De Portis. È molto probabile che anche Paghini avesse stretto amicizia con l’artista o con qualche membro della famiglia e avesse potuto così studiare la produzione grafica chiarottiniana, che tanta parte avrebbe avuto nella sua produzione successiva. A una congiuntura così articolata si può far risalire il vasto intervento decorativo in casa Gera a Conegliano Veneto, con i cui proprietari Paghini aveva da tempo familiarizzato: su alcune pareti di quella sede riprodusse infatti fedelmente alcuni disegni chiarottiniani.
Nella casa dei Gera Paghini ebbe modo di lavorare anche su altri registri decorativi, passando da finte nicchie con cornicioni decorati da motivi fitomorfi arrichiti da inserti rovinistici di gusto preromantico, a più ‘moderni’ paesaggi, che riprese più volte anche in seguito.
Tutti i suoi numerosi interventi successivi furono quindi frutto di queste esperienze giovanili, strutturate su di un accurato bilanciamento tra decorativismo di matrice tardosettecentesca, ben integrato negli anni da soluzioni di matrice schiettamente neoclassica, e sempre più ampi riquadri paesaggistici. Rispondono a queste caratteristiche gli affreschi di alcune sale del castello di Valvasone, riscoperti dopo una scialbatura novecentesca, dove Paghini inserisce anche scene tratte dal repertorio teatrale di Chiarottini, come quella relativa a un Accampamento militare. Numerose citazioni chiarottiniane e riprese dal repertorio di Giambattista Canal si possono rilevare negli affreschi eseguiti tra il 1814 e il 1817 per il palazzo Polcenigo-Garzolini di Udine, articolati intorno a complesse costruzione prospettiche, dove peraltro compaiono anche numerosi inserti legati al suo amore per la musica, come strumenti e spartiti perfettamente leggibili.
Dopo questi primi interventi, l’omogeneità del suo stile, specie nella fase più matura, rende piuttosto difficile seriare la sua cospicua produzione decorativa per case e ville friulane, mentre ha maggiore consistenza documentaria la sua attività nel campo dell’arte sacra, che pare però più attardata nella scelta delle strutture compositive e confinata in realtà decisamente provinciali.
Per quanto riguarda le prove profane, si fanno risalire all’inizio degli anni Venti gli affreschi della casa Partistagno di Ronchi di Faedis, mentre di poco successivo fu l’intervento nella grande residenza di campagna della famiglia Florio a Persereano, dove l’intervento decorativo interessa il salone passante al pianterreno della villa e si limita a quattro riquadri con paesaggi lacustri e fluviali racchiusi in semplici cornici in stucco e a due coppie di sovrapporte che presentano gruppi di giocosi amorini. Di tenore analogo sono gli inserti paesaggistici della villa della Torre Valsassina di Ziracco, di qualche anno successivi. Attingono invece al repertorio decorativo neoclassico le pitture murali di casa Ieronutti in via Aquileia a Udine, mentre nel quasi contemporaneo intervento nella loggetta in palazzo Lovaria, sempre nel capoluogo friulano, l’artista torna a utilizzare soluzioni quadraturistiche di matrice chiarottiniana.
In una serrata serie di opere scalate tra il 1825 e il 1830 Paghini ebbe poi modo di decorare nel capoluogo lo studiolo di casa Di Prampero con un tondo a soggetto allegorico apertamente ispirato alla pittura di Giambattista Canal, il salone del palazzo Susanna-Caratti detto La Nave e la villa dei Beretta a Lauzacco, dove intervenne sullo scalone con sfondati paesaggistici incorniciati da riquadri a finto marmo in cui campeggiano motivi decorativi dichiaratamente neoclassici, gli stessi che si ritrovano anche nei due palazzi cittadini. Chiude idealmente questa sequenza l’affresco del salone di palazzo Montegnacco Berghinz a Udine, databile intorno al 1839 e che sembra essere l’ultima sua grande impresa decorativa.
In tutte queste opere, sempre gradevoli nelle scelte compositive e negli accordi cromatici, spesso i gruppi di figure appaiono piuttosto sgrammaticati dal punto di vista anatomico. Imprecisioni nel trattare gli snodi figurali si possono avvertire soprattutto in interventi minori come le sovrapporte della villa Florio a Persereano, dove gli amorini paiono trattati con pennellate quasi compendiarie.
Nel campo della decorazione sacra, che può essere distinta dalla contemporanea attività a sfondo profano, si evidenzia ancor più la difficoltà del pittore nel trasportare su scala monumentale le ben più convincenti prove grafiche documentate dai taccuini udinesi. In questo specifico campo, concentrato nella seconda parte della sua carriera e limitato all’area del circondario udinese, Paghini intervenne nella parrocchiale di Povoletto (1824), in quella di S. Martino vescovo di Ravosa (1829), nella chiesa di S. Martino a Nespoledo (1830-31), in S. Maria Maggiore a Visco (1834 circa), e in rapida sequenza nelle parrocchiali di Orzano (1834), Scodovacca (1835), Bicinicco (1836) e Villa Vicentina (1837).
A questi brani, realizzati generalmente ad affresco, si possono aggiungere le pale d’altare con S. Giorgio e il drago della chiesa omonima di Arcano Inferiore; i Ss. Pietro e Paolo a Giavons di Rive d’Arcano (1820), la Sacra Famiglia con santi e le Ss. Caterina d’Alessandria, Brigida e Lucia per la parrocchiale di Villacaccia (1821), la Via crucis per quella di Bicinicco (1836). Per il capoluogo friulano Paghini eseguì invece la tela con la Vocazione di s. Pietro per il duomo (1825) e la Deposizioneper la chiesa di S. Quirino, nei pressi della sua abitazione.
Morì il 28 marzo 1850, «fornito di distinto merito nella sua professione di pittore», come annotano i registri della parrocchia udinese di S. Quirino.
Nonostante gli evidenti limiti come figurista, Paghini conobbe una notevole fama tra i contemporanei, ma venne presto dimenticato dopo la morte. Solo dagli inizi del Novecento sono ripresi gli studi sulla sua figura e sulla sua produzione, che attendono ancora una sistemazione organica.
Fonti e Bibl.: M. Saccomani, Il ristauro della loggia comunale di Udine e gli artisti friulani (Note critico biografiche), Udine 1878, p. 35; G. Costantini, Friulani poco noti o dimenticati, Udine 1904, p. 43; F. Venuto, P. D., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1990, p. 943; G. Bergamini, Per D. P. Appunti, in Udine. Bollettino delle Civiche Istituzioni culturali, III (1996), pp. 73-104; M. De Grassi, Appunti sulla fortuna critica di Francesco Chiarottini: affreschi inediti di D. P., in Arte in Friuli Arte a Trieste, XVI-XVII (1997), pp. 99-118; R. De Feo, Presenze e relazioni artistiche nel Miranese tra fine Sette e Ottocento, in Civiltà e cultura di villa tra ‘700 e ‘800 a Mirano e nella terraferma veneziana (catal.), a cura di M. Esposito, Venezia 2000, pp. 87-93; D. Nobile, D. P. Un protagonista della decorazione neoclassica in Friuli, in Neoclassico, XX (2001), pp. 52-75; L. Bracchi, 1777-1850. D. P. un pittore friulano tra Neoclassicismo e Romanticismo, s.l. 2008; P. Pastres, P. D., in Nuovo Liruti dizionario biografico dei Friulani, III. L’età contemporanea, Udine 2011, pp. 2506-2509.