PECORI, Domenico
PECORI, Domenico. – Nacque intorno al 1475 ad Arezzo da Pietro di Vanni e dalla sua prima moglie, Sandra di Cosma di maestro Pietro, ultimo di tre figli maschi.
Nella città, che faceva parte del dominio fiorentino, la famiglia Pecori, attestata nella contrada di Porta di Foro, rivestiva un certo rilievo sociale a motivo della discreta ricchezza fondiaria, incrementata con il commercio di lane, attività cui si sarebbero dedicati anche i due fratelli di Domenico, Francesco e Salvatore – e, in ultimo, Domenico stesso – e che veniva svolta presso una bottega nella Ruga Maestra (attuale corso Italia).
Perlomeno dai primissimi anni Settanta del Quattrocento, al tempo della nascita di Pecori, si era stabilito ad Arezzo il pittore e monaco camaldolese don Piero Dei, meglio noto, anche a motivo di una biografia dedicatagli da Giorgio Vasari in entrambe le edizioni delle Vite, come Bartolomeo della Gatta (Vasari, 1550, 1986, pp. 452-457; Id., 1568, III, 1878, pp. 213-225; in ultimo: Baldini, 2004; Martelli, 2014). Questi, formatosi a Firenze, sua città natale, nella bottega di Andrea del Verrocchio, cominciò a svolgere ad Arezzo, unitamente al suo ministero monastico, l’attività artistica. Nella bottega di Dei, come ricorda sempre Vasari (1550, 1986, pp. 455 s.; 1568, III, 1878, pp. 219-223), si formarono e furono attivi Matteo Lappoli (padre del più noto Giovann’Antonio), un «frate de’ Servi» ora riconosciuto in fra Mariano di Giovanni da Civitella (Baldini, 2004, pp. 70-76) e, almeno dalla fine degli anni Ottanta del XV secolo (oltre ad Angelo di Lorentino, figlio dell’aiuto di Piero della Francesca al ciclo della Vera Croce), Pecori, che poté collaborare già nel decennio successivo a opere editate dal maestro quali, forse, il Cristo crocifisso fra le Marie e i ss. Giovanni Evangelista, Egidio, Arcano e inginocchiati Francesco e Romualdo nella cattedrale di San Sepolcro (Baldini, 2004, pp. 120-123; collaborazione non accolta però da Martelli, 2014, pp. 318 s.).
All’estate del 1499 e al primo periodo dell’attività autonoma di Pecori sono stati ricondotti gli affreschi per la cappella del Beato Giovanni del complesso conventuale della Verna (Salmi, 1915) che, staccati nel 1961 e ora conservati nella cappella dell’Adorazione, rappresentano Cristo crocifisso fra il beato Giovanni inginocchiato con la croce in mano, la Madonna, s. Antonio da Padova, s. Giovanni Evangelista e un santo francescano (mutilo); la Presa di possesso del Sacro Monte della Verna da parte di due religiosi mandati da s. Francesco; S. Francesco fa sgorgare l’acqua per consentire ad un contadino di dissetarsi; e tre tondi con scene di apparizioni di angeli e santi al beato Giovanni (Baldini, 2004, pp. 130-134; 2009 e 2014).
Sebbene i documenti della fondazione francescana parlino genericamente di un «dipintore d’Areço» (Convento della Verna, Arezzo, Archivio storico, 37, c. 84r) quale realizzatore non solo delle pitture, ma anche di ventidue braccia di finestre in vetro e di un S. Antonio e di un S. Sebastiano (perduti) di cui non è specificato su quale supporto eseguiti, il nome di Pecori è ben spendibile per motivi di carattere stilistico: le opere, infatti, mostrano consonanze con quanto prodotto da Della Gatta, ma non meno da Luca Signorelli, che del pittore camaldolese fu lungamente sodale. Ed è alla polivalenza della bottega di Dei che Pecori fu debitore alla Verna e poi per tutto il tempo della sua vita artistica, dedicandosi alla realizzazione di drappelloni processionali, di organi e, appunto, di finestre istoriate, il che induce fra l’altro a ritenere che egli avesse avuto, nella natia Arezzo, anche un’esperienza presso il maestro nell’ars fenestraria Fabiano di Stagio Sassoli, particolarmente celebrato da Vasari nella biografia di Guillaume de Marcillat (Vasari, 1550, 1986, p. 644; Id., 1568, IV, 1879, p. 422).
Altre opere eseguite da Pecori, perdute o al momento non riconosciute, sono di questi medesimi anni. Sempre all’ultimo decennio del secolo doveva rimontare una tavola con «Santa Apollonia» realizzata per il canonico Presentino Bisdomini (prima del testamento dettato da quest’ultimo il 26 giugno 1500) e posta all’altare della cappella di S. Andrea nella pieve aretina di S. Maria (Baldini, 2004, pp. 136-138), edificio per il quale Pecori venne chiamato, nello stesso torno di tempo, a eseguire «unam filzam» di drappelloni in seta secondo il legato testamentario (4 ottobre 1499) di Raniero de Vespis, opera che i documenti ricordano come quasi completamente portata a termine il 12 ottobre 1503 (Baldini, 2004, pp. 139 s.).
In quei medesimi anni in cui l’artista non fu presente con costanza ad Arezzo, è ipotizzabile che si recasse a Orvieto presso Signorelli – allora impegnato ad affrescare la cappella di S. Brizio in Duomo –, non in veste di collaboratore, ma semplicemente per aggiornare il proprio linguaggio, come appare da certe sue opere successive (ibid., pp. 141-143).
L’anno 1502, in cui si assisté (fra il 4 giugno e il 25 agosto) all’ultima ribellione di Arezzo a Firenze, coincise con la morte di Dei, di cui Pecori ereditò, unitamente alla bottega (posta al tempo nella badia di S. Maria in Gradi: Baldini, 2004, p. 160), le opere che, commissionate al maestro, erano rimaste incompiute al momento della morte.
È il caso della Madonna col Bambino fra i ss. Fabiano e Sebastiano che, allogata a Dei prima dell’estate del 1499 dal mercante di lane Paolo di Buono de’ Bonucci per una sua cappella nella chiesa aretina di S. Pier Piccolo, si trova ora nel locale Museo diocesano di arte sacra (Baldini, 2004, pp. 160-167; Martelli, 2014, pp. 333 s.); di un prezioso baldacchino commissionato sempre a Dei il 16 febbraio 1501 dalla Fraternita dei Laici di Arezzo e che Domenico portò a compimento qualche anno dopo, nel 1506 (Baldini, 2004, pp. 180-184); come pure di «una cappella de’ Magi in fresco» (Vasari, 1568, III, 1878, p. 222) nella chiesa di S. Giustino (distrutta nel XVIII secolo), cappella che, stando all’edizione torrentiniana delle Vite, Pecori avrebbe realizzato per messer Antonio di Giovanni Roselli su disegni giustappunto di Dei (Vasari, 1550, 1986, p. 456; Baldini, 2004, pp. 167 s.).
Il primo decennio del XVI secolo fu dunque di fervida attività per l’artista. È probabile che, sempre intorno al 1505, egli ricevesse la commissione di una «Crocifissione» nella sala capitolare della badia aretina delle Ss. Fiora e Lucilla di cui restano un S. Giovanni Evangelista e la testa di un S. Benedetto (Arezzo, Museo nazionale d’arte medievale e moderna; Brizi, 1838, p. 105; Salmi, 1921, p. 39; Pasqui - Viviani, 1925, p. 180; Baldini, 2004, pp. 169-175); inoltre, in quello stesso 1505, con il fratello Salvatore – che doveva in qualche modo coadiuvarlo nella gestione della bottega a quel tempo posta nelle case della famiglia Pecori in Vallelonga – venne pagato per aver affrescato una perduta «Madonna col Bambino e santi» nella cappella di Giovanni Ghiselli in S. Francesco ad Arezzo (Baldini, 2004, pp. 177-179).
Dalle poche opere giunte fino a noi di una produzione che dovette essere piuttosto vasta e variegata si evince come Pecori, dopo la morte del maestro il solo pittore – con Lorentino d’Andrea e la sua bottega – ad andare incontro alle necessità della committenza cittadina, si riferisse certo al vocabolario che era stato di Dei, ma tenendo tuttavia sempre ben presente il portato, imprescindibile, di Signorelli.
A partire dal secondo lustro del secolo, segnatamente dal 1506, Pecori ricevendo la commissione di una Circoncisione per la chiesa aretina di S. Maria della Misericordia (ora in S. Agostino), opera editata successivamente (e i cui pagamenti giungono fino al 1511: Baldini, 2004, pp. 185-189, 208-219), cominciò a circondarsi di collaboratori provenienti anche da altre aree geografiche; nello specifico, si giovò del contributo dei pittori Niccolò Soggi, cui venne richiesto il disegno dell’opera, e dello spagnolo Fernando de Coca (Salmi, 1941; Baldini, 2004, pp. 208-219). Le novità fiorentine introdotte ad Arezzo da Soggi, già allievo a Firenze del Perugino, unitamente alle sollecitazioni prodotte da Coca, aggiornarono parzialmente il vocabolario di Pecori che, sempre stando al Vasari, nello stesso torno di tempo realizzò con l’artista iberico (le cui opere, manifestamente legate a quelle aretine, si trovano nell’isola di Mallorca, in partic. l’Allegoria della fondazione della Certosa di Valldemosa, Palma di Maiorca, Museo de arte) una Madonna della Misericordia per la Compagnia della Madonna nella pieve aretina (ora Arezzo, Museo nazionale d’arte medievale e moderna), di cui era membro il già ricordato Bisdomini (Vasari, 1568, III, 1878, p. 222; Baldini, 2004, pp. 219-227), e un affresco perduto con un «Noli me tangere» (Vasari, 1568, III, 1878, p. 222) per «una loggetta nell’orto» della badia delle Ss. Fiora e Lucilla (ancora in loco, sebbene guasto, nel XIX secolo: Arezzo, Biblioteca della città di Arezzo, ms. 98, c. 197r; Brizi, 1838, p. 107).
Nel 1508 Pecori sposò l’aretina Elisabetta di Giovanni di Conte de’ Marsuppini, esponente di un’illustre famiglia cittadina dalla quale ebbe, nel 1511, il primo (e unico) figlio maschio, Donato (Baldini, 2004, pp. 194 s., 209). Nello stesso 1511 prese avvio in città la sua attività di realizzatore di finestre invetriate: gli Operai della cattedrale di Arezzo gli allogarono infatti l’esecuzione del perduto oculo della facciata con la figura del patrono di Arezzo, S. Donato (A. Pasqui - U. Pasqui, 1880, p. 194; Baldini, 2004, pp. 209 s.).
A partire da queste date Pecori sembra già, più che semplice esecutore di commissioni di opere pittoriche, l’accentratore di varie allogagioni alla cui esecuzione egli provvedeva sempre coadiuvato da altri artefici; una situazione, questa, che divenne ancora più manifesta nel 1512, quando, con la morte del fratello Salvatore (l’altro fratello, Francesco, era come il padre Vanni deceduto nel 1504), Domenico divenne capofamiglia, trovandosi a svolgere, oltre all’attività di pittore, quella di commerciante di lane, e prendendo sotto la propria tutela anche i figli minori dei suoi fratelli defunti (Baldini, 2004, pp. 227 s.). Durante lo stesso 1512 a Pecori venne commissionato l’ornamento dell’organo della pieve di S. Maria di Arezzo (ibid., pp. 226 s.), mentre nel medesimo anno gli Operai del duomo della città, dopo aver richiesto a Signorelli il disegno per la finestra centrale dell’abside di quell’edificio (e dopo un primo tentativo di realizzazione affidato a Pierantonio di Angelo di Upacchio e a Stagio di Fabiano Sassoli), si rivolsero per l’esecuzione a Pecori, unitamente a Stagio, l’anno successivo (Baldini, 2004, pp. 228-232, 235-239); nel 1515 le due finestre laterali furono allogate solo a Pecori: quella verso la sacrestia, pagatagli nel 1517, e l’altra verso la cappella del Sacramento, nel 1519 (A. Pasqui - U. Pasqui, 1880; Baldini, 2004). Le vetrate, di cui ci sono giunte le laterali (parzialmente), sono la sola importante commissione che Pecori ebbe nel secondo decennio del secolo: essa, come detto, presuppose la collaborazione di una bottega – ubicata nella Ruga Maestra presso la chiesa di S. Michele e di cui fecero parte per certo Giovann’Antonio Lappoli e Antonio di Ambrogio, detto Scaramuccia (Baldini, 2004, pp. 196-198, 243-245) – ma anche e soprattutto di altre maestranze che affiancarono sempre questo petit maître e che, con il tempo, gli subentrarono nelle commissioni più prestigiose. Così, se la sua attività nell’ars fenestraria si interruppe per lo stabilirsi ad Arezzo in questi stessi anni di Marcillat, intorno al 1520 Domenico realizzò con l’aiuto del senese Agnolo Capanna e di Soggi la Sacra Conversazione (ora Arezzo, Museo nazionale d’arte medievale e moderna) commissionata da Donato Marinelli per la cattedrale aretina (Vasari, 1568, III, 1878, p. 223; Baldini, 2004, pp. 259-265) e portò a compimento una Madonna col Bambino fra i ss. Donato, Lorentino, Pergentino, Satiro (o Antonio) che nel 1497 era stata allogata a Dei dalla Compagnia di S. Antonio di Arezzo (oggi Arezzo, Museo diocesano di arte sacra; Baldini, 2004, pp. 269-271).
Come l’attività artistica di Pecori fosse sempre più marginale ad Arezzo per la presenza di Marcillat, di Soggi e poi del suo allievo Giovann’Antonio Lappoli, aggiornatosi a Firenze sulle novità di Andrea del Sarto, del Pontormo e del Rosso, lo si vede dalla documentazione pervenuta, in cui Pecori appare sempre più impegnato nella compravendita di case e terreni in città e nel contado aretino.
Nel proprio testamento, dettato il 24 maggio 1527, lasciò la dote per la sola figlia femmina sopravvissuta, Camilla (erano morte infatti Giulia e Maddalena), sistemò le questioni dotali della consorte ed elesse unico erede dei propri beni il figlio Donato che, come la madre, testò il 12 agosto di quello stesso anno (Baldini, 2004, p. 281).
Pecori morì ad Arezzo, a causa della peste, il 28 maggio 1527 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1550), a cura di L. Bellori - A. Rossi, Torino 1986, pp. 452-457, 644 s.; Id., Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 213-225, IV, 1879, pp. 422 s.; A. Del Vita, Nuovi documenti sui pittori Bartolomeo della Gatta, Lorentino d’Andrea, Angelo di Lorentino e D. P., in Rassegna d’arte, XI (1911), pp. 168 s.; G. Degli Azzi, Documenti su artisti aretini lavoranti in Arezzo, in Il Vasari, IV (1931), pp. 49-69.
O. Brizi, Nuova guida per la città di Arezzo, Arezzo 1838, passim; A. Pasqui - U. Pasqui, La cattedrale aretina e i suoi monumenti, Arezzo 1880, passim; M. Salmi, Il pittore della cappella del Beato Giovanni della Verna, in Studi francescani, II (1915), pp. 133-135; G.F. Gamurrini, I pittori aretini dall’anno 1150 al 1527, in Rivista d’arte, X (1917-1918), pp. 88-97; U. Pasqui, Pittori aretini vissuti dalla metà del sec. XII al 1527, ibid., pp. 32-87; M. Salmi, Catalogo della Pinacoteca comunale di Arezzo, Città di Castello 1921; U. Pasqui - U. Viviani, Guida illustrata… di Arezzo, Arezzo 1925, passim; Mostra delle opere di Bartolomeo della Gatta… (catal.), a cura di M. Salmi - A. Aretini - A. Del Vita, Arezzo 1930, passim; M. Salmi, Contributi aretini alla storia dell’arte, II, Manuel Ferrando ad Arezzo, in Atti e Memorie della R. Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, XXX-XXXI (1941), pp. 78-88; M. Salmi, Civiltà artistica della terra aretina, Novara 1971, passim; A. Tafi, Immagine di Arezzo, Arezzo 1978, passim; N. Baldini, Niccolò Soggi, Firenze 1997, passim; Ead., La bottega di Bartolomeo della Gatta. D. P. e l’arte in terra d’Arezzo fra Quattro e Cinquecento, Firenze 2004; Ead., Testimonianze pittoriche del culto del Beato Giovanni alla Verna fra XV e XVI secolo, Firenze 2009; N. Baldini, ‘In luogho molto sterile et molto salvaticho’. La pittura alvernina durante i primi decenni del XVI secolo: D. P., Gerino da Pistoia e alcuni anonimi artefici, in Altro monte non ha più santo il mondo… Atti del Convegno di studi, Convento della Verna, Arezzo… 2012, a cura di N. Baldini, Firenze 2014, pp. 251-278; C. Martelli, Bartolomeo della Gatta, Firenze 2014, passim.