CERONE, Domenico Pietro
Nacque a Bergamo nel 1566, come si ricava dalla scritta "D. Petrus Ceronus-Bergomum-Anno Aetatis Suae XXXXVII" che incornicia il ritratto che lo raffigura nella sua opera El Melopeo y Maestro, stampata a Napoli nel 1613.
La data di nascita, comunemente indicata in base a questo solo elemento, potrebbe essere anticipata anche di cinque anni in quanto nel 1608, il libro era già stato consegnato allo stampatore, come riferisce lo stesso C. a pagina 1160 ("que es por causa que la estampa se detuuo circa a cinco años") e come ribadisce alla fine dell'altro suo trattato, Le regole più necessarie per l'introduzione del canto fermo, ed. a Napoli nel 1609: "Sappi (discreto lettore) che quivi non ho posto tutte le regole particolari ... contuttociò se qualc'uno per gusto suo desiderasse saperle (tenendo cognitione della lingua spagnuola) potrà ad agio e commodità sua vederle nelli XXII libri della opera mia che si stà stampando intitolata il Melopeo..."(G. Gaspari, I, p. 174).
Il C. apparteneva a una nobile famiglia oriunda, pare, di Cerinalta in Val Brembana (G. Donati Petteni, p. 32). Lo stemma gentilizio che appare nel Melopeo, raffigurante un cervo accosciato ai piedi di un albero, è quello della famiglia Ceroni (è così registrato in Stemmi delle famiglie bergamasche e oriunde della provincia di Bergamo di C.de' Gherardi Camozzi Vertova, in F. A. Gallo, p. V n. 2). Il C. studiò musica nella città natale e forse fu allievo della cappella di S. Maria (A. Geddo, p. 52); all'età di quindici anni si sarebbe già ripromesso di scrivere un trattato di musica (questa notizia, insieme a pochissime altre che si riferiscono alla prima parte della sua vita, ce le fornisce lui stesso nel "Preambulo" del Melopeo). Pronunciati i voti, fu inviato ad Oristano in Sardegna; aspirava tuttavia a un trasferimento in Spagna, progetto che realizzò nel 1592, avendo così l'opportunità di visitare varie città spagnole, e soprattutto le librerie e le biblioteche che vi si trovavano al fine di "buscar les artes de musica" (ibid., p. 92). Dopo un periodo di tempo non accertato ottenne l'incarico di cantore nella cappella reale di Madrid al servizio del re Filippo II, il quale, ancor più di Carlo V, era un vero mecenate per i musicisti che, in gran numero e dei più insigni, si raccolsero presso la sua corte. Alla morte di Filippo II (1598), il C. mantenne lo stesso ufficio anche durante il primo periodo di regno di Filippo III. Durante la sua permanenza la cappella reale, o "Capilla Flamenca" come era chiamata, era retta dall'olandese P. Roger e poi, dal 1596 da M. Romero, chiamato "El Maestro Capitán" (H. Anglès, 1968, p. 407); questo dimostra, come sottolinea lo stesso Anglès (in Die Musik in Gesch. u. Gegenwart, II, col. 970), che il C. non la diresse come si era talvolta creduto.
Nel 1603 ritroviamo il C. a Napoli dove, nel gennaio del 1604, divenne prete ordinario e voce tenore nella Casa dell'Annunziata: la notizia è testimoniata da alcuni documenti scoperti da U. Prota Giurleo negli archivi della chiesa e che G. Pannain ha parzialmente trascritti in Istituzioni e monumenti dell'arte musicale italiana (V,Milano 1934, p. XX).
In una delibera del governatore della Casa si legge: "Il Reverendo don Pietro Ceroni [sic] si assenta da noi per maestro d'insegnare a cantare il canto fermo alli Jaconi [diaconi] della chiesa di questa Santa Casa in quondam reverendo don Martino Garofano, venendoci fatta fede la sua habilità a tale carico. Al quale stabilimo per detto officio la solita provisione di docati dui al mese, ecc. 28di gennaio 1609"(XIV, f. 32). Nella Casa dell'Annunziata in quell'epoca erano occupati non meno di centodiciassette cappellani, di cui sessantasette, ogni giorno, dovevano partecipare agli esercizi di coro (Cfr. H. Hucke, p. 11). Scrive il Pannain: "È ammissibile la voce raccolta dalla tradizione che il Cerone sia stato tra i primi ad insegnare musica negli antichi conservatori..." (La musica a Napoli).
Da un successivo documento apprendiamo che il musicista si dimise dall'incarico: "Con la occasione della licenza presa per don Pietro Girone [sic] dal servitio di questa Chiesa, oltre il luogo che viene a vaxare di sacerdote ordinario resta anco da provedere il carico d'insegnare ai clerici di esso il canto fermo ecc." (XIV, f. 61). Il C. aveva lasciato la Casa dell'Annunziata per divenire - grazie alla protezione di cui godeva presso il viceré Pedro Ferdinando de Castro - tenore della cappella reale di Napoli, incarico che mantenne fino alla morte, avvenuta a Napoli nel 1625.
Tutta l'opera conosciuta del C. si può considerare compendiata nel Melopeo, in quanto il secondo lavoro, Le regole più necessarie per l'introduzione del canto fermo, non è che un rifacimento elementare di un tema già ampiamente trattato nel primo. Le rispettive date di stampa, 1609 per Le regole e 1613 per il Melopeo, non devono trarre in inganno in quanto è confermata dallo stesso C. la priorità della stesura del Melopeo.
Per quanto riguarda l'opuscolo edito (s.l., ma Napoli) nel 1609, esso è diviso in due parti, la prima di trentasette capitoli e la seconda di quindici, che complessivamente coprono trentanove facciate. La dedica al rev. Francesc'Antonio Falco, a tergo del frontespizio, comincia con queste parole: "Più volte la R. V. m'ha esortato che à laude d'Iddio, utilità de' poveri ecclesiastici, ed altresì de li desiderosi di tenere i principii de la Musica piana con fondamento, douessi ordinare alcune breui regolette, le più utili e più necessarie: acciò molti, che s'esercitano in quella come ciechi, vengano ad essere illuminati, ecc." (Gaspari, p. 174). Il Fétis, dopo averlo considerato "debole", aggiunge che se si paragona "ce traité avec l'excellent travail sur la même matière renfermé dans le livres 3e,4e o 5e du Melopeo on aura peine à comprendre que deux choses si differentes aient pu sortir de la même main ..." (p. 238).
Seguì la stampa di El Melopeo y Maestro, Tractado de musica theorica y practica: en que se pone por extenso, lo que uno para hazerse perfecto Musico ha menester saber: y por mayor facilidad, y claridad del Lector, esta repardido en XXII. Libros. "Compuesto por el R. D. Pedro Cerone: Musico en la Real Capilla de Napoles, por Juán Bautista Gargano - Lucrecio Nucci, impressores MDCXIII". Nel 1616 apparve inoltre a Brescia, per i tipi di Bartolomeo Tombone, un suo Trionfodi Cristo, tradotto dallo spagnolo (A. Geddo, p. 53). Inoltre, secondo quanto afferma l'Anglès, il C. avrebbe scritto anche un libro di mottetti, come risulta da un passo del Melopeo; altre sue composizioni sarebbero state in possesso della Biblioteca dell'Escorial ancora nel XVIII secolo, e ciò in base alla testimonianza di A. Soler riportata nella sua Carta critica del 1776 (cfr. Die Musik in Gesch. und Gegenwart, II, col. 971).
Il Melopeo consta di millecentosessanta pagine ed è diviso in ventidue libri. Il primo tratta della formazione morale del musicista e formula numerose regole sul suo comportamento sia come artista sia come uomo. Il secondo viene dedicato alla tradizione della musica come conquista culturale, alla sua classificazione, ai primi uomini che la praticarono, ai primi strumenti musicali e alla distinzione tra cantore e musico. Il terzo, il quarto e il quinto libro sono dedicati al canto piano, mentre il sesto e il settimo al canto misurato. L'ottavo tratta dello stile e degli abbellimenti e col successivo comincia quella che si può considerare la parte fondamentale del Melopeo, che si protrae fino al diciannovesimo libro, cioè le regole della composizione, l'esemplificazione delle varie forme di contrappunto, la definizione dei tempi, la struttura delle varie forme musicali e numerosi frammenti musicali. Il ventesimo libro è interamente dedicato all'analisi della messa L'homme armé di G. Pierluigi da Palestrina. Gli ultimi due libri sono dedicati rispettivamente agli strumenti musicali e alla spiegazione di alcuni enigmi, cui segue una conclusione generale dell'opera con riferimenti critici ad alcuni musicisti nei diversi periodi storici.
Nel suo lavoro il C. dimostra ampiamente la serietà della sua preparazione negli studi condotti sulle varie forme della espressione musicale contemporanea dimostrandosi, come osserva l'Anglès, uomo colto, esigente e acuto osservatore, nonché vero maestro di contrappunto tanto nella enunciazione delle regole, quanto nella chiarezza degli esempi. Non per nulla il Fétis insinua il dubbio che la parte più valida del Melopeo non sia opera del C., cui spetterebbero sicuramente solo quei brani a carattere moralistico, "écrites d'un style prolixe et fastidieux. Il semble que deux hommes ont travaillé au même ouvrage: l'un, doué de jugement et de savoir, l'autre, un de ces erudits..." (p. 237); egli ipotizza che il C. abbia adoperato parte del materiale preparato da G. Zarlino per la sua opera, che avrebbe avuto lo stesso titolo di Melopeo se non fosse rimasta inedita. Questa ipotesi viene formulata per aver il C. citato oltre ai tre libri pubblicati dal musicista veneziano anche quello rimasto inedito. Il Fétis aggiunge, però, che non si può considerare l'opera del C. come una semplice trasposizione in lingua spagnola del lavoro di Zarlino, in quanto "tout annonce que Cerone a au moins le mérite de la rédaction" e che molte parti gli appartengono (p. 239). F. A. Gallo (pp. XVI s.) osserva invece che "durante il periodo in cui il Cerone scriveva in Spagna il Melopeo, ilmanoscritto zarliniano si trovava in Italia in possesso di G. M. Arturi, il quale stava ordinandolo per darlo alle stampe. D'altra parte di molte pagine del Melopeo sono state già sicuramente individuate le fonti ed analogamente di molte altre sarebbe possibile stabilire la provenienza".
Il Fétis ha inoltre perplessità, non condivise da altri studiosi che accettano i dati forniti dallo stesso C. sul fatto che il Melopeo sia stato scritto in Spagna, in quanto manca in esso qualsiasi riferimento alle forme musicali tipicamente spagnole. Comunque sia, è certo che la stesura di questa opera è anteriore al 1611 in quanto vi si parla di T. de Victoria (morto in quell'anno) come vivente; del resto, sebbene il C. avesse trascorso relativamente pochi anni in Spagna, si può affermare che il suo Melopeo è un compendio, dell'esperienza sia umana sia artistica maturata in quel paese. Se lo spagnolo fu la lingua usata nella stesura del testo, non si può tuttavia giustificare ciò con la sola intenzione da parte dell'autore di accattivarsi le simpatie del suo protettore reale per ottenere i sussidi necessari all'edizione del ponderoso volume. Inoltre l'atteggiamento del C. nei confronti dell'ambiente musicale spagnolo di cui egli, per aver "praticado con muchos de la profession", poteva ben stigmatizzare i difetti e le carenze rispetto al contemporaneo panorama musicale italiano, era talmente libero, ironico, addirittura pungente, da far seriamente dubitare di una qualche volontà di cortigianesca adulazione nel confronti della corona. Tuttavia, come afferma R. Hannas, "His criticism of the Spanish people is not the criticism of a fawner. Frankness and integrity speak forth from every page", ilche ci conferma che i veri motivi della scelta dello spagnolo sono dovuti alla consapevolezza, dal C. raggiunta durante il suo soggiorno in Spagna, della insufficienza della trattatistica locale, all'intenzione di liberare la classe dominante dai falsi pregiudizi che essa nutriva nei confronti della musica ed al deliberato proposito di stimolare gli artisti spagnoli, allora soddisfatti della normale routine, al perseguimento dell'ideale rinascimentale della perfezione dell'arte riproposto, nello spirito controriformistico contemporaneo, come manifestazione di un ordine spirituale da raggiungere nell'osservanza di una seria formazione morale.
Quest'ideale pedagogico che aveva animato il C. nel riprendere il lavoro, già interrotto dal trasferimento in Sardegna, spiega così, oltre alla scelta della lingua dettata da chiari intenti divulgativi di una poetica tipicamente italiana, anche le disparità e le ambiguità che compaiono nel corso della trattazione e rende comprensibile la coesistenza di "une excellente doctrine" esposta con "beaucoup de méthode" (Fétis, p. 238) e le lungaggini retoriche sugli argomenti topici delle opere didascaliche a sfondo moraleggiante allora in uso; inoltre la dichiarata intenzione dell'autore di fornire all'allievo un completo panorama dell'arte musicale giustifica il metodo del C. che, nonostante l'ampiezza del disegno e la completezza delle fonti raccolte, si serve di criteri del tutto personali nelle scelte degli autori da citare e nelle esemplificazioni dei brani musicali attingendo sia alle sue conoscenze dirette, sia a notizie ricavate da altre fonti, ma sempre con una manifesta tendenza a sottovalutare, tacendone la maggior parte dei rappresentanti, quell'ambiente spagnolo cui il volume è diretto. Vediamo così come coesistano, nell'ambito della trattazione, motivi apparentemente contraddittori per cui possiamo notare come a una perfetta conoscenza della trattatistica spagnola dal XV secolo fino ai suoi giorni corrisponda una sprezzante avversione nei confronti della cultura locale; basti ricordare che il solo collega di cui il C. riconosca il valore in assoluto è T. de Victoria, mentre lo stesso C. Morales, per quanto lodato, viene inserito tra quei compositori la cui opera non è esente da critica: "Verdad es que en las composiciones deste postrero ay cosas buenas, mas mezcladas con tanta malas, que pierden la dulcura" (El Melopeo, I, p. 89). Diblanda considerazione godono F. Guerrero, il cui nome è citato più volte senza però alcun riferimento alla sua opera, e don Ferdinando de Los Infantas, entrambi "degni di essere studiati"; oltre a quelli nominati, troviamo nel Melopeo la semplice citazione del nome di pochi altri spagnoli, mentre, per quanto riguarda il panorama musicale iberico, assai scarse sono le delucidazioni fornite dall'A. per quanto esso fosse allora notoriamente ricco di notevoli personalità.
La disparità di valutazione tra i musicisti iberici e quelli italiani, questi ultimi sempre ammirati, ha forse generato nel campo della critica un'analoga disparità di giudizio sull'opera del C.; infatti se H. Anglès ne loda il valore storico come introduzione alla teoria musicale che si inserisce nel genere che vede impegnati in Italia N. Vicentino e G. Zarlino ed in Spagna J. Bermudo, T. Numantino ed F. de Montanos, il Bukofzer non risparmia all'"ultra conservatore" C. la critica di essersi limitato, nella sua opera teorica, a utilizzare solo esempi di musica antica e rinascimentale trascurando lo stile musicale barocco. Mentre il Fétis mette in dubbio l'attendibilità del C. come teorico musicale, il Martini riproduce, citandone la fonte, nella sua Storia della musica (pp. 170, 181), l'esempio musicale "delle lettere frapposte alle linee" che si trova nel Melopeo e cita anche il brano in cui il C. spiega le differenze che si riscontrano tra la musica moderna e quella degli antichi. Per il Burney "the next in the list of writers of eminence, who denies harmony in our sense of the word to the ancient, is Cerone, author of an excellent treatise upon music in Spanish" (I, p. 120); il Bussi (IV, p. 21) in un suo studio su Pedro de Valenzuela trova "perfino logico che il filo-italiano Cerone, nella quasi, collettiva repulsa dei musicisti spagnoli, alla quale sfuggono personalità come Victoria, Guerrero, Morales, dimentichi il minore, ormai lontano cantore dell'Annunziat" (cioè il Valenzuela). Infine per F. A. Gallo l'ampiezza del disegno volto a comprendere tutti gli aspetti dell'arte musicale e la completezza delle fonti raccolte a sostegno, della trattazione giustificano certamente il motto "Quid ultra quaeris" che compare in testa al frontespizio del Melopeo. Molti musicisti spagnoli che si occuparono di didattica come A. de Monserrate (1614), J. de Guzmán (1709), J. Salado (1730), B. Comes (1739), D. de Roxas (1760) e altri si servirono dell'opera del Cerone.
Si ricorda particolarmente J. de Guzmán per aver pubblicato le Curiosidades del Cantollano socadas de las obras del reverendo don Pedro Cerone de Bergamo, y de otros Autores, Madrid 1709 (R. Eitner, erroneamente, considera la data di stampa 1709 sbagliata e quindi suppone che il lavoro sarebbe stato datato 1609).
Per quanto riguarda il Melopeo, esso fu ben presto soppiantato in Spagna dall'opera a carattere più razionale di A. Lorente, dal titolo El porqué de la Música, e la sua conoscenza fu ostacolata dalla scarsa diffusione avuta per il numero oltremodo limitato di copie stampate e dalla loro rapida dispersione. Il Fétis ci narra delle sue difficoltà di reperire il trattato e di quelle di Ch. Burney che viaggiò per mezza Europa nella sua vana ricerca. Il Martini riuscì a ottenerne una copia per cento ducati, dopo un'affannosa indagine durata anni, come testimoniano la lettera scrittagli da Lionardo Leo da Napoli in data 23 maggio 1741, quella da lui spedita da Bologna il 15 luglio 1747 a Girolamo Chiti e le lettere di Gaetano Maria Schiassi da Lisbona che vanno dal 14 sett. 1744 al 14 ag. 1752. Lo Eitner dà un elenco delle biblioteche dove si trovavano i dieci esemplari a lui noti: in Francia (quattro copie), in Inghilterra (una copia), in Germania (tre copie), in Belgio (una copia dal fondo Fétis), e in Italia (una copia). In Italia gli era nota solo la copia esistente presso la Biblioteca del liceo musicale di Bologna, e cioè quella acquistata dal Martini; ma presso la Biblioteca Casanatense di Roma esiste un altro esemplare che proviene dal Fondo G. Baini. La Hannas, attraverso una attenta ricerca su vecchie pubblicazioni del 1855 e del 1896, segnala l'esistenza in Spagna di altre copie del Melopeo e, per, informazione diretta, di quattro copie che si trovano negli Stati Uniti d'America. Nel catalogo della Bibl. naz. di Madrid figurano due copie ed altrettante nel catal. del British Museum.
Fonti e Bibl.: G. Martini, Storia della musica, Bologna 1757, 1, pp. 170, 181; Ch. Burney, A General History of Music, London 1789, I, p. 120; II, p. 96; III, p. 537; G. B. Martini, Carteggio ined. ... coi più celebri musicisti…, a cura di F. Parisini, Bologna 1888, p. 265; G. Gaspari, Catal. del Liceo music. di Bologna, Bologna 1890, p. 174; H. Anglès-J. Subirà, Catal. music. della Bibl. naz. di Madrid, Barcellona 1949, pp. 133 ss., 230-233; G. Pannain, Le origini della scuola musicale napoletana, Napoli 1914, pp. 39-55; G. Donati Petteni, L'arte della musica in Bergamo, Bergamo 1930, p. 32; G. Pannain, L'oratorio dei filippini e la scuola music. di Napoli, in Istituz. e mon. dell'arte musicale, Milano 1934, I, pp. 20 s.; R. Hannas, C., philosopher and teacher. in The Musical Quarterly, XXI(1935), pp. 408-22; M. F. Bukofzer, Music of the Baroque era, New York 1947, pp. 177-370; A. Einstein, The Ital. Madrigal, I,Princeton, N. J., 1949, p. 199; G. Reese, Music in Renaissance, New York 1954, pp. 618 s.; A. Geddo, Bergamo e la musica, Bergamo 1958, pp. 52 s.; H. Hucke, Napoli nella storia della musica, in Il San Carlo, III(1961), 5-6, pp. 11 s.; F. Bussi, Il cantore spagnolo Pietro Valenzola...,in Collectanea historiae musicae, Firenze 1966, p. 21 s.; F. Abbiati, Storia della musica, Milano 1967, I, pp. 413; H. Angès, Later Castilian Masters in The New Oxford History of Music, IV,London 1968, p. 407; F. A. Gallo, Introd. alla rist. anast. del Melopeo, Bologna 1969, pp. V-XX; G. Pannain, La musica a Napoli, in Storia di Napoli, VIII, Napoli 1971, p. 920; F. J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, pp. 237-239; R. Eitner, Quellen Lexicon, II, pp. 392 s.; IV, p. 431, sub voce Guzmán; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 320; Grove's Dictionary of Music, II,p. 141; A. Della Corte-G. M. Gatti, Dizion. dimusica, Torino 1955-56, p. 126; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, II, coll. 969-973.