PINELLI, Domenico
PINELLI, Domenico. – Nacque a Genova nel 1541 da Paride e Benedetta di Giorgio Spinola, esponenti del migliore patriziato cittadino. Paride aveva ricoperto numerosi incarichi di governo nonché quello di senatore della Repubblica, vantava inoltre importanti aderenze presso la Curia romana, in quanto nipote di Battista, arcivescovo di Cosenza (1491-95), imparentato con papa Innocenzo VIII Cybo (1484-92).
Si colloca in questo quadro il trasferimento a Roma di Domenico (1563), già dottore in utroque e membro del collegio dei giureconsulti di Padova, e il suo avvio alla carriera ecclesiastica. Cursus che non tardò a farsi denso e brillante e che variamente incrociò l’ascesa finanziaria e politica del fratello Giovanni Agostino (m. 1595), agente della Repubblica ligure, banchiere in Roma, tesoriere generale (1573) e infine depositario della Camera apostolica (1585-90). Poco più che ventenne, Domenico divenne referendario di Segnatura (1563), quindi chierico di Camera, incaricato della Fabbrica di S. Pietro, sostituto del cardinale camerlengo Alvise Corner, uditore di Rota (delegato alla riforma dei tribunali pontifici) e infine, sebbene non ancora ordinato sacerdote, vescovo e principe di Fermo (1577). Si tratta della diocesi (in quegli stessi anni elevata alla dignità metropolitana) con cui Pinelli instaurò i legami più intensi, ove istituì due nuovi collegi (oratoriani e gesuiti) e cui lasciò una collezione di ritratti (oggi ospitati nel palazzo dei Priori) ricevuta in dono dal cardinale Alessandro de’ Medici (futuro Leone XI). Vi rinunciò nel 1585, unitamente all‘incarico di legato in Spagna, per vestire la porpora conferitagli dal nuovo pontefice Sisto V (1585-90), suo predecessore a Fermo.
Frattanto il fratello Giovanni Agostino assumeva il controllo delle finanze pontificie assieme al connazionale Giuseppe Giustiniani. Tornato a risiedere stabilmente a Roma, Pinelli ricoprì per la seconda volta l’ufficio di governatore della nazione ligure (così già nel 1570), rinsaldando in tal modo il tradizionale vincolo che univa la sua famiglia alla confraternita di S. Giovanni Battista de’ Genovesi in Trastevere e al relativo ospedale. Governarono la nazione genovese di Roma anche Giovanni Agostino (1573-77 e 1580-82) e Castellino (1593-94), fratelli di Domenico. Quest’ultimo ne diverrà in seguito anche protettore (1593-1611).
Nel corso del pontificato sistino, Pinelli fu insignito del titolo di S. Lorenzo in Panisperna (1586) e nel luglio dello stesso anno fu inviato nunzio in Romagna, con il compito di ultimare la repressione dei seguaci del ribelle conte Giovanni Pepoli. Seguì la nomina di arciprete di S. Maria Maggiore, basilica romana che Pinelli volle restaurata e abbellita di nuovi cicli pittorici (1587-1611), fra cui quelli di Orazio Gentileschi (artista cui commissionò anche lavori destinati alla sua personale quadreria). Dal 1587, assieme ad altri porporati, tra i quali Ippolito Aldobrandini e Girolamo Mattei, fu incaricato di sovrintendere alla nuova edizione dei Decretali, ufficio che gli meritò fama di valente canonista. Lo stesso anno venne nominato legato a latere in Umbria, con il compito di dirimere la controversia sui confini delle giurisdizioni di Narni e Terni, e in seguito di riorganizzare lo studium perugino, assieme al cardinale Benedetto Giustiniani.
Tornato a Roma, colpita da una violenta carestia (1589), coadiuvò il fratello Giovanni Agostino nel tentativo di riorganizzare la congregazione dell’Abbondanza. Nel 1590 fu quindi nominato prefetto della Sacra Consulta (di cui era membro dal 1588, anno in cui era divenuta congregazione permanente) e assunse il comando nominale della flotta pontificia (in luogo del connazionale, cardinale Antonio Sauli) in qualità di prefetto dei triremi e legato per l’allestimento della flotta antiturca. Ottenne poco dopo il titolo di S. Crisogono (1591) e con l’inizio del pontificato di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605) fu membro permanente delle congregazioni del Concilio e del S. Uffizio.
Il contrasto alle devianze di fede, che lo aveva occasionalmente impegnato in passato (nel 1589 aveva inquisito Giovan Francesco Morosini, vescovo di Brescia), divenne pertanto il suo ufficio primario. In questa veste Pinelli si occupò dell’eresia molinista e del processo istruito contro Tommaso Campanella; con Camillo Borghese (futuro Paolo V) fu inoltre tra i giudici di Giordano Bruno, di cui sottoscrisse la condanna al rogo (1600). Nei medesimi anni, promosse la nascita di una congregazione dei carmelitani scalzi indipendente dai confratelli spagnoli, così come era nelle attese del pontefice (1597-1600), che quindi lo nominò protettore dell’ordine. In luogo del papa, Pinelli inaugurò e concluse l’anno giubilare 1600, presiedendo alla cerimonia della porta nella basilica di S. Maria Maggiore (di cui era stato arciprete), e fu da questi ancora beneficato con la prebenda di S. Maria in Trastevere (1602), poco dopo ceduta in favore della diocesi di Albano (1603), rassegnata a sua volta per assumere la guida di quella di Frascati (1603).
Sebbene nella coeva relazione segreta sui cardinali del Sacro Collegio elaborata da Girolamo Frachetta per conto dell’ambasciatore spagnolo Juan Fernández Pacheco de Villena, Pinelli fosse definito uomo molto ricco, ma di mediocre ingegno («e non indotto nella materia delle leggi, di natura stretto e troppo affezionato a’ suoi consanguinei, perciò è poco amato e poco stimato in generale da’ cardinali e meno dal Papa», Baldini, 1981, p. 101), il suo peso politico crebbe ancora nel corso del pontificato Borghese (1605-21). Durante lo scontro diplomatico tra la S. Sede e la Repubblica di Venezia (1606-07), Pinelli si adoperò in sostegno dell’emissario pontificio Orazio Mattei, suo protetto (cognato del fratello Giovanni Agostino), consacrato pochi anni prima vescovo di Gerace per sua stessa mano. Divenuto frattanto vicedecano del Sacro Collegio (1605), ricevette il titolo di Porto e S. Rufina (1605-07), quindi quello di Ostia e Velletri (1607-11) al momento della sua elevazione a decano. In qualità di prefetto della congregazione dei Riti (1607-11), di cui era da anni membro, si pronunciò in favore della canonizzazione di Luigi Gonzaga (1605) e di Carlo Borromeo (1610).
Con l’elezione al dogato di Agostino di Alessandro Pinelli (1609-11) divenne il massimo referente in Curia della Repubblica ligure, che proprio nei decenni del suo cardinalato tornava a interrogarsi sull’opportunità di avere un residente stabile presso il pontefice. Prevalsero infine gli strumenti tradizionali della mediazione con Roma: le ambascerie straordinarie, i governatori e gli ufficiali di nazione, i cardinali liguri, soprattutto, in massima parte confluiti, come Pinelli, nella congregazione del Concilio (così nel caso di Alessandro Riario, Filippo Spinola, Benedetto Giustiniani, Antonio Sauli, sulle orme dei predecessori Giovanni Battista Cicala e Benedetto Lomellini, fra gli altri).
Morì a Roma il 9 agosto 1611 e fu sepolto in S. Maria Maggiore.
Scrisse un breve trattato sulle potestà papali (Causae, casus et tempora) dedicato a Paolo V, di cui si conserva una copia manoscritta nei fondi vaticani (Pastor, 1930, p. 689), e due Relationes sui concistori segreti dell’aprile 1608 e dell’agosto 1610, relativi alla canonizzazione di Carlo Borromeo, rispettivamente edite a Roma e a Milano, nei medesimi anni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Roma, 2343, Lettere ai Collegi (Gio. Agostino Pinelli, 1590); S. Burone, Vita Dominici cardinali Pinelli, Romae 1609; S. Pastine, Oratione del Sig. Stefano Pastine, nobile genovese, Genova 1609; F. Ughelli, Italia sacra sive de Episcopis Italiae (Romae 1644), I, Venetiis 1717, p. 82; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, I, Roma 1667, pp. 194 s.; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle Chiese di Roma, a cura di B. Contardi - S. Romano, Roma 1675, Firenze 1987, I, p. 139; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XVI, Venezia 1842, pp. 123, 183; A. Neri, Saggio della corrispondenza di Ferdinando Raggi, agente della Repubblica Genovese a Roma, in Rivista Europea, V (1878), p. 689; L. von Pastor, Storia dei papi, IX, Roma 1925, pp. 918 s., X, 1928, pp. 51, 77, 165-167, 240-248, 265 s., 273, 507-517, 666, XI, 1929, pp. 13, 80, 464, 487, 693, 711 s., 765 s., XII, 1930, pp. 6-13, 142, 179 s., 221, 689; M. Mombelli Castracane, La confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi in Roma, Firenze 1971, pp. 192 s., 201-203, 207, 209; A.E. Baldini, Puntigli spagnoleschi e intrighi politici nella Roma di Clemente VIII, Milano 1981, pp. 101-104; C. Bitossi, Il governo dei magnifici. Patriziato e politica a Genova fra Cinque e Seicento, Genova 1990, pp. 50, 52; C. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio, 1550-1809, Roma 1994, p. 845; L. Spruit, Tommaso Campanella e l’Inquisizione. Note sulla nuova documentazione dall’Archivio del Sant’Ufficio, in Laboratorio Campanella. Biografia, contesti, iniziative in corso. Atti del convegno della fondazione Camillo Caetani… 2006, a cura di G. Ernst - C. Fiorani, Roma 2007, p. 98.