REA, Domenico
REA, Domenico. – Nacque l’8 settembre 1921 a Napoli da Giuseppe, ex carabiniere, e da Lucia Scermino, sua seconda moglie e ostetrica. In casa c’erano già la sorellastra Concetta (n. 1905), figlia illegittima di Giuseppe, e le sorelle Raffaella (n. 1917) e Teresa (n. 1919).
Nel 1924 la famiglia si trasferì a Nocera Inferiore, dove Rea frequentò le elementari e le tre ‘complementari’. Si avvicinò poi alla lettura grazie al frate francescano Angelo Iovino, per il quale nel 1940 scrisse il suo primo testo edito: la prefazione a un libro di versi, firmata con lo pseudonimo Bartolo Cristiano.
Da tempo aveva preso a scrivere bozzetti, impressioni e poesie: materiali che riempiono 14 quaderni (1937-40) e centinaia di fogli sparsi (1943-46), conservati presso il Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, da cui emerge la personalità di un ragazzo diviso tra slanci spirituali e confessioni peccaminose, affidate talora alla scrittura stenografica.
Marco Levi Bianchini, direttore dell'ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore, e lo scultore Luigi Grosso, confinato politico a Nocera dal 1938 al 1943, lo incoraggiarono a continuare. Tra il 1941 e il 1943 Rea fece le prime esperienze giornalistiche al settimanale salernitano Il Popolo fascista e al quindicinale del GUF (Gruppo Universitario Fascista) Noi Giovani. Al 1942 risale l’incontro con la futura moglie Annamaria Perilli, figlia di un avvocato di Napoli sfollato a Nocera Superiore; l’anno dopo conobbe Michele Prisco, i cui genitori erano pure sfollati a Nocera. Dopo l’8 settembre trovò lavoro come dattilografo presso un ufficio del ministero degli Esteri a Salerno, e prese a collaborare con Libertà, organo del Comitato provinciale del Fronte nazionale di liberazione (FNL). Si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI), fu eletto segretario della sezione di Nocera e, dall’ottobre 1944, lavorò brevemente come operaio alle Manifatture cotoniere meridionali (MCM). A Napoli conobbe Francesco Flora che patrocinò la pubblicazione nel settembre del 1945, nella rivista Mercurio, della novella La figlia di Casimiro Clarus. Fallì invece il progetto di pubblicare quattro poesie sulla rivista Aretusa, per il quale aveva chiesto aiuto a Benedetto Croce. Rea frequentò inoltre il gruppo dei giovani che nel novembre del 1945 fondarono la rivista Sud (fra cui Luigi Compagnone, Luigi Incoronato, Raffaele La Capria, Antonio Ghirelli e Anna Maria Ortese), ma a quell’esperienza restò estraneo, preferendo tentare la fortuna a Milano, dove giunse nel novembre del 1945 e dove Grosso lo presentò a molti artisti, tra cui Giacomo Manzù, di cui fu ospite, e Aligi Sassu che radunava in casa un cenacolo animato da Salvatore Quasimodo, Leonida Repaci ed Enrico Emanuelli. Conobbe Carlo Bo, Eugenio Montale, Luciano Anceschi, Carlo Emilio Gadda, Luigi Santucci, Ottiero Ottieri. Alberto Mondadori gli fece firmare un contratto per un libro ancora da scrivere intitolato (per scelta dell’editore) Spaccanapoli.
Nei primi giorni del 1946 fece ritorno a Nocera. Ottenuto il diploma magistrale, si iscrisse all’Università con l’intenzione di laurearsi in pedagogia, ma senza terminare gli studi, anche perché impegnato nella stesura dei racconti di Spaccanapoli, complicata da un ricovero in ospedale per vaiolo. Il libro uscì di lì a poco (Milano 1947), ma nonostante le ottime recensioni che segnalavano la novità di una scrittura insieme popolare e barocca, capace di descrivere in modo del tutto inatteso la realtà di un Sud periferico e ferino raccolto intorno all’immaginario paese di Nofi, deluso per le scarse vendite, Rea si risolse a tentare la via dell’emigrazione, accettando l’invito di una zia materna a trasferirsi a Campinas, nello Stato di São Paulo, in Brasile. Partito nell’aprile del 1948, in America fece vari mestieri e scrisse per il quotidiano paulista Folha da Manhã; ma già in agosto rientrò in Italia, e in novembre pubblicò la commedia Le formicole rosse (Milano). Poco dopo sua madre si ammalò gravemente e, dopo molte pene, morì il 6 maggio 1949. Ottenuto un impiego alla Soprintendenza alle Gallerie di Napoli, il 28 ottobre Rea si sposò a Napoli con Annamaria, avendo Vasco Pratolini e sua moglie per testimoni. Un nuovo libro di racconti, intitolato Gesù, fate luce, uscì nell’ottobre del 1950, accolto da recensioni ancora una volta positive: l’anno dopo si piazzò secondo al premio Strega (in una cinquina che comprendeva, oltre al vincitore Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Carlo Levi e Mario Soldati), e vinse a sorpresa il Viareggio (Giambattista Vicari salutò la scelta come una vittoria della vitalità contro il «ritegno spesso infecondo e fin troppo cauto delle nostre lettere», «Il Momento», 18 aprile 1951).
Nel febbraio del 1953 uscì Ritratto di maggio, racconto lungo in cui Rea riandava agli anni delle elementari. In estate scoppiò il caso Ortese, provocato dalla pubblicazione de Il mare non bagna Napoli, il cui ultimo capitolo conteneva una spietata rappresentazione dei letterati partenopei. Rea, che vi viene dipinto come un narcisista uso a maltrattare la moglie, pensò di sporgere querela, ma desistette. Nel 1954 nacque sua figlia Lucia. A quel tempo risale uno scambio epistolare con Italo Calvino (ritenuto con Rea il più interessante esponente del neorealismo).
Pur tra abissali differenze di carattere, Calvino aveva un’alta considerazione di Rea, e alla domanda «Quale narratore contemporaneo predilige? E quale di quelli più giovani la interessa maggiormente?», postagli nel gennaio del 1956 in un’intervista apparsa nella rivista Il Caffè, rispose: «Tra noialtri più giovani che cominciammo a lavorare su un modulo di racconto tough, movimentato, plebeo, chi è andato più avanti di tutti è Rea».
Malgrado le continue richieste di un romanzo, Rea diede a Mondadori un altro libro di racconti, Quel che vide Cummeo (Milano 1955) con in appendice il saggio Le due Napoli, da Rea definito «il mio manifesto letterario». Nel 1956 si staccò dal PCI. C’erano state incomprensioni con Paese sera, cui collaborava attivamente, ma occasione dello strappo fu la repressione della rivolta ungherese. Rea iniziò a scrivere su altri quotidiani, soprattutto il Corriere della sera. Pungolato e finanziato da Mondadori (da poco si era trasferito nella nuova abitazione a Posillipo), finalmente intraprese la stesura del romanzo che narrava la straziante agonia della madre e che uscì con il titolo Una vampata di rossore (Milano 1959). L’accoglienza critica fu tiepida e dopo quel libro, in cui aveva riposto grandi aspettative, per lo scrittore si aprì una lunga fase di ripiegamento. Tra le cause che la determinarono vi è anche l’incidente occorsogli alla fine del 1958 mentre, tornando in auto da Roma a Napoli, investì e uccise un giovane e, in preda al panico, si diede alla fuga. Arrestato e recluso per dieci giorni nel carcere di Latina, fu rilasciato su cauzione, e dopo molti anni dovette pagare un gravoso risarcimento.
Confinatosi in una dimensione ‘locale’, dedito a scrivere centinaia di articoli su Napoli, Rea si sentiva estraneo alle nuove correnti della letteratura sperimentale.
Nel 1960 pubblicò, sempre per Mondadori, Il re e il lustrascarpe e fu impegnato nella redazione della rivista napoletana Le ragioni narrative, con Incoronato, Prisco, Mario Pomilio, Leone Pacini Savoj e Gian Franco Venè. Animata da un’«irriducibile fiducia nella narrativa come operazione portata sull’uomo», la rivista reagiva polemicamente ai nuovi indirizzi letterari. Nel gennaio del 1965, salutata da ottime recensioni e dal conferimento del premio Settembrini, uscì la raccolta definitiva dei Racconti. Alla fine di quell’anno uscì anche un composito volume di poesie, saggi e racconti, L’altra faccia: il saggio eponimo è una spietata autoanalisi in cui, rivedendo prospetticamente il proprio lavoro, Rea ammette di ritrovarlo «ingenuo, semplicistico», e scrive: «Il nuovo […] ci ha colto di sorpresa» (ibid., p. 73), trasformando in folklore sia la letteratura ‘sociale’, sia quella intimistico-psicologica.
Pur avverso alla neovanguardia, definita «Arcadia di ritorno», Rea provò a imprimere una svolta ‘borghese’ al suo stile con il racconto lungo La signora è una vagabonda (Napoli 1968), ma con scarso esito. Nel suo esilio dorato, diventò sempre più ‘personaggio’. Nel 1971 uscì la raccolta di brevi scritti Diario napoletano (Milano). In quel periodo si dedicò a promuovere, nella libreria Guida, una serie di incontri con protagonisti della cultura, tra i quali Jack Kerouac. Passato alle dipendenze del Centro RAI di Napoli, diventò giornalista; nel contempo assunse il ruolo di critico teatrale per Il Mattino e pubblicò Fate bene alle anime del Purgatorio (Napoli 1973), riunendo il meglio della sua produzione saggistica degli anni precedenti. Nel 1979 uscì l’altra sua commedia Re Mida, messa in scena al festival Settembre al Borgo di Casertavecchia, mentre nel 1982 debuttò al teatro San Ferdinando di Napoli Le formicole rosse.
Il nuovo direttore del Mattino, Roberto Ciuni, gli affidò una serie di grandi reportage su ‘tutte le Napoli del mondo’, ma tra giugno e settembre del 1980 Rea fece solo le tappe di Bangkok, Hong Kong e Bombay.
Nel 1985 uscì Il fondaco nudo (Milano), raccolta di prose narrative nate dal confronto tra il passato e il presente, secondo un’impostazione cui non era estranea l’ammirazione di Rea per l’opera di Piero Camporesi: accolto con grande favore, il libro fu considerato la prova che il ‘silenzio di Rea’ era finito. Sulla prima pagina del Mattino avviò i Pensieri della notte, poi raccolti in volume per Rusconi (Milano 1987) e lodati, tra gli altri, da Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Nel 1990 pubblicò il piccolo, incantevole racconto natalizio Crescendo napoletano (Milano, premio Nonino-Risit d’Aur), preludio al suo secondo romanzo Ninfa plebea (Milano 1992), in cui, narrando la favola di una ragazza di provincia che attraversa un mondo di degrado e abiezione, ma riesce a presentarsi vergine alle nozze, riannodava i fili della sua ispirazione originaria nel mondo di Nofi. Il romanzo vinse il premio Strega, e Lina Wertmüller ne ricavò il film omonimo (1996, cosceneggiato da lei e da Ugo Pirro e musicato da Ennio Morricone), con un cast che comprendeva l’esordiente Lucia Cara e, tra gli altri, Stefania Sandrelli e Raoul Bova.
La notte dell’8 gennaio 1994, in un albergo di Benevento, Rea fu colpito da un ictus. Ricoverato nell’ospedale di quella città e poi a Napoli, morì la mattina del 26 gennaio. Fu sepolto nella cappella di famiglia dell'amico di infanzia Giuseppe Angrisani nel cimitero di Nocera Inferiore.
Opere. Il Meridiano Mondadori delle Opere, a cura di F. Durante e con uno scritto di R. Guarini (Milano 2005), riunisce la produzione narrativa di Domenico Rea, ma compendia, al tempo stesso, la produzione saggistica, poetica, teatrale e giornalistica dell’autore presentando anche pagine difficilmente reperibili e meno note.
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