Ronzoni, Domenico
Sacerdote e insegnante di materie letterarie (Almenno S. Salvatore 1868 - Bergamo 1933). Compiuti gli studi nel seminario vescovile di Bergamo, frequentò la R. Accademia Scientifico-Letteraria di Milano, presso la quale, seguendo i corsi dello Scherillo e del Novati, concepì un vero culto per Dante.
D. fu argomento costante delle sue ricerche, a partire dal 1897, anno in cui pubblicò nella " Biblioteca delle Scuole italiane " una nota intitolata Di un passo disputato nel De vulgari Eloquentia: ‛ Divinam curam expectare noluerunt ' I, II, 3. Sullo stesso passo tornò l'anno successivo (Ancora sul ‛ divinam curam ' del De vulgari Eloquentia, in " Giorn. d. " VI [1898] 509-513) e, uscita l'edizione critica del trattato a cura del Rajna, ne trasse motivo per varie osservazioni (Leggendo il De vulgari Eloquentia nell'edizione critica di Pio Rajna, Monza 1898). Seguirono altre pubblicazioni in riviste e periodici, raccolte poi in Pagine sparse di studi danteschi (Monza 1901): La concezione artistica della Commedia e le opere di S. Bonaventura (1900); Le pecore matte (1900); Leggende medievali e la pianta dispogliata; La corda; D. fu ascritto ai frati de poenitentia?
Alla questione della struttura della Commedia dedicò il lavoro suo più importante, Minerva oscurata. La topografia morale della D.C. (Milano 1902), in cui negava la fonte aristotelica della classificazione dell'Inferno, e riduceva a due le male disposizioni (incontinenza e malizia), escludendone la bestialità; e negava inoltre che D. nell'ordinare i beati delle sfere avesse seguito un criterio astrologico. Dello stesso anno sono due note, rispettivamente su L'umile capestro (in " L'Ateneo letterario artistico " XXIV [1902] 3) e su L'apologia di Antonio Raudense e la fortuna di D. nel Quattrocento (in " Giorn. d. " X [1902] 1-3): quest'ultima è integrazione di altra nota precedente intitolata Per la storia della fortuna di D. nel Quattrocento (ibid. VII [1899] 172-173).
Il R. fu poi animatore di una vivace polemica all'uscita del primo volume de I significati reconditi della Commedia di D., del Flamini: pubblicò La scena dell'azione fittizia della D.C. secondo Francesco Flamini (Napoli 1903) e in seguito I fondamenti dell'Ordinamento morale della D.C. ed una variante del c. IV del Paradiso: replica a Francesco Flamini (Monza 1906), e Ancora dell'ordinamento morale dell'Inferno (in " Giorn. d. " XIV [1906] 218-243). La polemica, a cui prese parte anche il Busnelli, ebbe il merito di portare nella vexata quaestio della struttura morale della Commedia osservazioni e notizie utili e servì a veder meglio a quali fonti D. attingesse le sue dottrine e come le rielaborasse secondo la necessità del poema.
Per tacere di altre postille e chiose, come Tradizionalismo dantesco (in " Fanfulla della Domenica " 6 dic. 1903), I due paradisi nel Paradiso dantesco (ibid., 26 febbr. 1909), Perché nella D.C. c'è il Paradiso terrestre (in " Giorn. d. " XXI [1913] 258-263), La povertà di D. (in Albo dantesco, Roma 1921), vale far parola degli ultimi scritti, in cui il R. sostiene una tesi affatto personale: si tratta dei saggi La scomunica di D. e la sua lettera ad Arrigo VII. D. frate regolare de Poenitentia tertii ordinis S. Francisci (Gubbio 1926), e La scomunica di D. e una profezia di Beatrice (in Annuario del R. Liceo-Ginnasio ‛ P. Sarpi ', Bergamo 1928), preannunziati nel 1922 dalla nota Il concilio di Vienna e la D.C., apparsa su " Ars Italica ".
Secondo il R., D. fu ascritto all'ordine dei frati regolari, fu con essi colpito da scomunica nelle condanne emanate dal concilio di Vienna del 1311, visse con essi la magna tribulatio lamentata nella lettera a Enrico VII e finalmente fu con essi assolto nel 1319 da papa Giovanni XXII. Per il R. quindi la Commedia sarebbe, tra l'altro, una solenne apologia dei terziari ingiustamente accusati di professare idee ereticali sulla dottrina della somma felicità in terra e perciò scomunicati, immeritamente privati dell'hereditas pacis intesa come " godimento dei beni spirituali riservati a chi vive nella comunione della Chiesa ". Con tale interpretazione il R. riteneva di presentare il poema come il canto della riforma religiosa, morale, politica, che " doveva riposare sulle basi dell'accordo tra la Monarchia e il Papato e sulla vera povertà francescana che doveva togliere tanti abusi della Chiesa e spegnere tanti odi e tante cupidigie ".
Bibl. - I. Negrisoli, D.R., in " Giorn. d. " XXXV (1934) 231-236.