SCALA, Domenico
SCALA (La Scala), Domenico. – Nacque a Messina nel 1632 da Salvatore e da Grazia.
Sin da giovane mostrò un talento negli studi, tanto da addottorarsi in medicina all’età di 22 anni. Fu in contatto con gli ambienti culturali più importanti della città dello Stretto, dove esercitò la professione nell’ospedale Maggiore, e la sua notorietà crebbe tanto da fondare una scuola medica, che prese il nome di Scalistica. Divenne anche priore del Collegio medico messinese.
Nel 1665 gli fu chiesto di raggiungere Madrid per unirsi a un consesso di medici che dovevano curare Filippo IV re di Spagna, ma sfortunatamente il sovrano morì ancor prima che Scala potesse lasciare la Sicilia. Intanto, da più parti d’Italia (Roma, Napoli, Venezia) gli vennero richiesti diversi consulti medici e, proprio per la fama della sua dottrina, l’Università di Padova gli offrì, nel 1686, di insegnare pubblicamente medicina. Dopo l’elezione di papa Innocenzo XII, nel 1691, gli fu proposto anche di entrare nel collegio dei medici papali e poi di succedere al suo amico Marcello Malpighi, morto nel 1694; inviti che Scala rifiutò sentendosi legato fortemente all’attività di medico che svolgeva a Messina.
Il rapporto con Malpighi nacque durante il soggiorno siciliano del celebre anatomista bolognese (1662-66), ma quella che si stabilì tra i due fu un’amicizia «strana» (Dollo, 1984, p. 176), sia perché i riferimenti scientifici di Scala erano Paracelso e Johannes Baptista van Helmont, dunque la tradizione iatrochimica, mentre Malpighi privilegiava una visione iatromeccanica, sia per la condanna da parte di Scala dei salassi e delle scarificazioni nella curativa. Tale pratica fu, invece, molto apprezzata da Malpighi nella cura delle febbri e, forse non a caso, Scala pubblicò la sua unica opera, la Phlebotomia damnata (Padova 1696), solo due anni dopo la morte di Malpighi (Malpighi, 1975, p. 157). Queste convinzioni sui salassi maturarono in Scala negli anni Sessanta, tant’è che Giovanni Alfonso Borelli, scrivendo a Malpighi nel 1664, lo incitò a portare il suo amico sulla buona strada allontanandolo da alcune posizioni mediche poco scientifiche (ibid., 1975, p. 204).
Nella Phlebotomia damnata Scala, per difendere le sue tesi, prese le mosse da una serie di considerazioni di carattere filosofico, teologico e medico, facendo ampiamente ricorso al principio d’autorità. L’assunto filosofico di fondo era la tesi che «anima est sanguis» (p. 7) e per dimostrare questa proposizione fece ampio uso di citazioni bibliche, in particolare un passo del Levitico (10, 11) dove si dice che «anima est in sanguine», di testi patristici e di opere di esegeti, tra cui il gesuita Cornelius a Lapide, che vennero interpretati erroneamente da Scala. È evidente che questa identificazione dell’anima con il sangue espose Scala a una condanna per eresia, non solo perché postulava l’esistenza di due anime separate, sensitiva e razionale, ma perché il sangue non è l’anima, ma il suo vehiculum, secondo la teologia scolastica tradizionale. La cosa passò inosservata ai ‘refformatori’ dello Studio di Padova (dove il libro fu edito), ma non fu lo stesso per l’Inquisizione siciliana che richiese immediatamente degli interventi correttivi su tre specifiche proposizioni presenti nell’opera e tutte riguardanti l’identità tra il sangue e l’anima. Così si ebbe una prima versione della Phlebotomia damnata, con una dedicatoria di Marco Navarra al patrizio veneto Vincenzo Gussoni e con l’imprimatur concesso il 23 luglio 1696, e una seconda versione (stampata sempre nel 1696 a Padova) in cui sparì la lettera dedicatoria (compresa l’indicazione nel frontespizio) e l’imprimatur, e fu inserita una Protestatio haeredis authoris nella quale, su mandato dell’Inquisizione del Regno di Sicilia, si specificò l’interpretazione autentica delle tre proposizioni incriminate e si ribadì che per Scala non esistevano due anime, ma soltanto una, così come insegnato dalla Chiesa cattolica.
Le ragioni mediche addotte da Scala contro la pratica del salasso poggiavano su quegli autori che, fin dall’antichità, ne avevano messo in discussione l’utilità. Tra i più citati c’è certamente Erasistrato di Ceo soprannominato, non a caso, l’emofobo, che nella cura dei malati preferiva il digiuno al salasso. A questo Scala aggiunse una critica dei sistemi di Ippocrate e di Galeno, e una serie di esperienze, come l’uso di un laccio emostatico per bloccare la circolazione del sangue in un arto o il taglio di un’arteria giugulare in un animale, che dimostrerebbero che il sangue è l’anima del corpo. Inoltre, coerentemente con la sua visione iatrochimica, Scala affermò che dalla fermentazione del sangue derivano il calore animale e la stessa circolazione sanguigna. Secondo Scala, infatti, esistevano due tipi di spiriti, quelli animali, che si trovavano nei nervi e nelle fibre, e quelli vitali, che erano presenti nel sangue e mediante la fermentazione trasmettevano la loro forza elastica al sangue determinando il suo movimento. Si comprende allora che l’uso dei salassi provocherebbe un ammanco degli spiriti vitali procurando ulteriori danni alla cagionevole salute del malato. Inoltre, secondo Scala, non il cuore, ma il sangue era al centro dell’universo del vivente ed era attraverso la chimica del sangue che si poteva comprendere la fisiologia animale poiché «chimicae scientiarum reginae» (Phlebotomia damnata, cit., p. 28). Questo ci fa comprendere le ragioni per le quali Scala tenne in grande considerazione la medicina chimica di van Helmont e riprese ampiamente le critiche del medico fiammingo al salasso. La iatrochimica di Scala si fondò sul corpuscolarismo e, dunque, su una natura in cui esiste necessariamente il vuoto (pp. 23-40).
La Phlebotomia damnata suscitò immediatamente delle reazioni; primo tra tutti a rispondere fu Matteo Giorgi che se da un lato riaffermò l’importanza del salasso nella curativa, dall’altro sottolineò le arbitrarie interpretazioni di Scala di alcuni testi medici, tra cui quelli di Ippocrate e Galeno (Giorgi, 1697). A questa prima reazione si aggiunsero, un ventennio dopo, quella di Domenico Bottone e, quasi un secolo più tardi, quella di Albrecht von Haller che non esitò a definire lo stile dell’opera «verbosus et longus in repetitionibus» (von Haller, 1788, p. 202).
Le immediate repliche negative, tuttavia, non impedirono a Scala di continuare a esercitare la professione di medico, anche dopo aver abbracciato l’abito religioso a seguito della dipartita della moglie.
Morì a Messina il 7 settembre 1697 e fu sepolto nel sacello della confraternita di S. Basilio di cui era membro.
Opere. Phlebotomia damnata à Dominico La Scala Messanensi, Sive Anidij, Chrisippi-Cnidij, Aschlepiadis, Erasistrati, et Aristogenis contra sanguinis missionem doctrina e vetustatis tenebris in lucem sibi debitam revocata, et luculentius enucleata juxta leges motus humorum in orbem. In qua singula rationum momenta, quae sanguinis eductioni adversantur, aequa veritatis lance expenduntur, Patavii 1696.
Fonti e Bibl.: M. Giorgi, Phlebotomia liberata, siue Apologia pro sanguinis missione in febribus, alijsque morbis magnis, qua respondetur Dominico La Scala, Genuae 1697; La galleria di Minerva overo Notizie universali di quanto è stato scritto da letterati di Europa non solo nel presente secolo, ma ancora ne’ già trascorsi, II, Venetia 1697, p. 362; M. Malpighi, Opera posthuma, Venetiis 1698, pp. 24, 313; A. Mongitore, Bibliotheca sicula sive de scriptoribus siculis, I, Panormi 1708, pp. 168 s.; Giornale de’ Letterati d’Italia, XIX, Venezia 1714, pp. 241-245; D. Bottone, Animavversioni apologetiche, ove con principj filosofici, e medici si discorre, che il sangve non sia anima, e che l’uso del salasso sia necessario alla salute de’ corpi umani, Messina 1717; N.F.J. Eloy, Dictionnaire historique de la médecine ancienne et moderne, IV, Mons 1778, pp. 193 s.; A. von Haller, Bibliotheca medicinae practicae, IV, Basileae 1788, p. 202; C.D. Gallo, Annali della città di Messina capitale del Regno di Sicilia, III, Messina 1804, pp. 495 s.; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV, Napoli 1846, pp. 388 s.; G.M. Mira, Bibliografia siciliana ovvero Gran dizionario bibliografico, II, Palermo 1881, p. 336; A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Aerzte aller Zeiten und Völker, VII, Wien-Leipzig 1887, p. 195; M. Del Gaizo, Contributo allo studio della vita e delle opere di G.A. Borelli, in Atti dell’Accademia Pontaniana, XX (1890), p. 21; H.B. Adelmann, Marcello Malpighi and the evolution of embryology, I, Ithaca-New York 1966, pp. 211, 216, 236, 529 s.; M. Malpighi, The correspondence of Marcello Malpighi, a cura di H.B. Adelmann, I-V, Ithaca-London 1975, pp. 155-157, 203-205, 461 s., 1395 s.; C. Dollo, Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia spagnola, Napoli 1984, pp. 176, 189, 194, 220 s., 224, 241, 256.