SPINOSA, Domenico
– Nacque a Napoli il 15 agosto 1916 da Nicola e da Giovanna Aliberti.
Il padre, libraio, morì disperso nel primo conflitto bellico durante una battaglia sul Carso; rimasto orfano a soli quattro mesi, visse nella casa materna napoletana a Porta Capuana, dove la madre aveva allestito una piccola sartoria.
Nel 1927 si iscrisse alla scuola di avviamento professionale e nel 1930, spinto dalla passione per il disegno, fece domanda di ammissione al liceo artistico, dove si diplomò nel 1934; nello stesso anno partecipò al concorso per il pensionato di Roma e proseguì gli studi presso la scuola di pittura dell’Accademia di belle arti di Napoli, che terminò nel 1938. L’anno successivo vinse la borsa di perfezionamento in pittura della Fondazione Biennale d’arte napoletana 1921 (Napoli, Archivio storico, Accademia di belle arti di Napoli, fascicoli personali ex-alunni, b. 7122).
Sin dai primi anni di accademia, prese parte ai dibattiti che alla metà degli anni Trenta segnarono l’istituto napoletano, volti a individuare nuove strade di ricerca che tenessero insieme modernità e tradizione, nel recupero del naturalismo. Conobbe, tra gli altri, i più anziani pittori Vincenzo Ciardo e Carlo Brancaccio, e fu segnato dagli insegnamenti della storica dell’arte Costanza Lorenzetti e dei maestri Pietro Gaudenzi, Manlio Giarrizzo e Carlo Siviero, l’ultimo dei quali egli riconobbe come «insostituibile» per la sua formazione (Domenico Spinosa: opere recenti, 2000, p. 19).
Con l’entrata in guerra dell’Italia, si arruolò e dal 1941 fu militare in Grecia; rientrò in Italia nel 1942, anno in cui sposò Lucia Squitieri, giovane allieva del liceo artistico, conosciuta quando ancora era studente. Dalla loro unione nacquero Nicola nel 1943, Giovanna nel 1946, Gaetano nel 1947, Aurora nel 1949 e Carla nel 1950.
Nell’estate del 1943, mentre si trovava a Cormons, prima di essere destinato al fronte russo, poté rientrare in Campania, a Sarno, dove era stata sfollata la famiglia, per la nascita del primogenito; nel settembre tornò a Napoli e si trasferì nella casa dei nonni paterni in via De Pretis, dove aprì un primo studio per tenere lezioni private di pittura. Riprese a frequentare i compagni di accademia, in particolare Armando De Stefano e Guido Tatafiore, cui si aggiunse lo storico dell’arte Raffaello Causa, con il quale strinse una profonda e duratura amicizia.
Nel 1944 ebbe il primo incarico d’insegnamento di ornato disegnato al liceo artistico di Napoli; l’anno successivo fu nominato assistente di figura disegnata nello stesso istituto, ruolo che tenne sino al 1956, quando fu chiamato come docente della Scuola libera del nudo presso l’Accademia di belle arti di Napoli.
Nel 1945, in un contesto che offriva ancora poche occasioni espositive e di aggiornamento, partecipò al premio Forti, istituito dall’omonima galleria napoletana del pittore Giuseppe Spirito, vincendo il primo premio. Consapevole della necessità di guardare al di là dell’ambiente artistico che lo circondava, e pur deciso a trattenere in sé l’eco di quel legame che a Napoli, nella pittura, aveva tenuto insieme l’uomo e la natura, iniziò presto ad aggiornarsi sulle istanze nazionali e internazionali.
Assiduo frequentatore di musei e chiese, fu profondamente suggestionato dalle rassegne organizzate dall’Istituto Grenoble nel 1946 sulla pittura francese e nel 1948 su Pablo Picasso, come mostrano le opere grafiche dei primi anni Cinquanta – si vedano, tra tutte, Figura e Nudo del 1955 e Figura a fondo verde del 1956 (Napoli, collezione privata, pubblicate in Le carte di Domenico Spinosa..., 2016), cariche di deformazioni picassiane, testimonianza della sua attività di docente e di una profonda conoscenza dell’antico) – e dipinti come Figure del 1949-50 (collezione privata, pubblicata in Domenico Spinosa. Una vita per l’arte, 2016, testo a cui si rimanda per le riproduzioni dei dipinti citati).
Nel 1948 Spinosa partecipò alla I Mostra nazionale d’arte a Cava dei Tirreni e al premio Michetti a Francavilla al Mare. Da quel momento la sua attività espositiva s’intensificò: il circuito di riferimento fu subito di ambito nazionale e internazionale, ed egli preferì lavorare «isolato» dal contesto napoletano, allora contrassegnato dal dibattito tra realisti e astrattisti (Vergine, 1965, p. 36).
Per tutti gli anni Cinquanta partecipò alla maggior parte dei premi nazionali, tra cui il Michetti (quasi tutte le edizioni, vincendo nel 1957 il primo premio), il Golfo della Spezia, il Morgan’s Paint, lo Spoleto e il Lissone; fu presente al Maggio di Bari, alla Quadriennale di Roma (1951, 1955), alla Biennale di Venezia (1954, 1956, 1958) e, tra tutte, a L’arte nella vita del Mezzogiorno (Roma, 1953), alla Mostra permanente d’arte figurativa (Firenze, 1953) e ai Peintres d’aujourd’hui France-Italie (Torino, 1955, 1957). Sempre negli anni Cinquanta, i lavori di Spinosa varcarono i confini nazionali e si presentarono a Londra (1955), Arden, Glasgow e Manchester (1956, in una collettiva con Afro Basaldella, Pietro Consagra, Renato Birolli, Bruno Cassinari, Osvaldo Licini, Mauro Reggiani, Emilio Vedova e Lorenzo Viani) e Bruxelles (1958). Tre personali si organizzarono a Napoli (Mostra d’oltremare, 1953), a Roma (galleria Alibert, 1956) e a Torino (galleria Galatea, 1958).
Nelle opere degli anni Cinquanta – messi in discussione i principi postcubisti (Macchina da cucire, Napoli, Museo del Novecento, e Figura, collezione Spinosa, del 1953) – Spinosa volse verso una pittura che trovava contiguità con la temperie estetica europea che il critico francese Michel Tapié definì «Art autre», e, nel contesto italiano, con gli artisti che Francesco Arcangeli designò nel 1954 «Gli ultimi naturalisti». Soggetti tratti dalla quotidianità, ricchi di memoria ed evocativi della dimensione del tempo e «di una nuova epica domestica» (A. Tecce, in 9cento..., 2010, p. 28) – il ferro da stiro, la macchina da cucire, il manichino da sarta, l’avvolgitrice tessile, il proiettore, la cinepresa, la fisarmonica, il torchio tipografico – affioravano nelle tele di Spinosa come segni di un mondo fenomenico e puri palinsesti cromatici, in un «processo di totale riassorbimento della forma entro l’impasto materico» (Corbi, 2002, pp. 117 s.), che suggestionò presto critici e storici dell’arte, come, tra tutti, Arcangeli, Carlo Barbieri, Luigi Carluccio, Giulio Carlo Argan, Lea Vergine, Marco Valsecchi e Cesare Vivaldi.
Un anno cruciale fu il 1960, momento in cui la XXX Biennale di Venezia riservò a Spinosa un’intera sala, nella quale presentò quindici tele della fine degli anni Cinquanta e del 1960, che segnavano «una della più delicate e indicative fasi della sua poetica» (Vergine, 1960, p. 19) e il momento di maggior vicinanza con gli esiti astraenti dell’informale europeo (tra tutte, si citano le opere Tempo grigio ed È nata una larva, 1969, Napoli, Museo di Capodimonte). Di lì in poi l’attività espositiva in Italia e all’estero s’intensificò sempre più. Tra le altre, Spinosa partecipò alle rassegne Ventisette pittori e l’Ecole de Paris presso la galleria Charpentier di Parigi (1960) e Peintres d’aujourd’hui France-Italie (Torino, 1961); vinse, ex aequo con Alberto Ziveri, il premio Villa S. Giovanni (1963); gli furono organizzate personali presso le gallerie Il milione di Milano (1961), il circolo del Tigullo di Rapallo, la Rava di Rimini (1962) e La strozzina di Firenze (1963). Intanto continuava l’attività di docente presso il liceo artistico e la scuola di nudo dell’Accademia, dove, nel 1962, per i troppo «avanzati indirizzi artistici» della sua pittura, gli fu respinta la richiesta di comando per la cattedra di decorazione (Napoli, Archivio storico, Accademia di belle arti di Napoli, fascicoli personali ex alunni, b. 7122, c. n.n.).
A quel tempo, il naturalismo di Spinosa si era chiaramente distinto da quello degli ‘ultimi naturalisti’ di Arcangeli, giacché lontano da quel «senso di dramma esistenziale (a volte un po’ teatrale) di tanta pittura informale italiana» e intriso, invece, di «un sentimento profondo della vita e del suo esistere» (Evangelisti, in Domenico Spinosa. Una vita per l’arte, 2016, p. 27).
Il 1964 fu per Spinosa un anno particolarmente significativo, sia per la vicenda biografica, poiché perse la madre, sia per la vita artistica, che fu segnata dal trionfo della pop art alla Biennale di Venezia e dalla conseguente, repentina, messa in discussione della soggettività emozionale della pittura. Spinosa lasciò lo studio che ancora manteneva nella casa di Porta Capuana e smise di dipingere fino all’anno successivo, quando vinse il concorso per la decorazione della corte interna del Politecnico di Napoli, misurandosi con il mosaico e con un lavoro di vastissime dimensioni (240 metri quadrati circa). Da allora, i suoi lavori si contraddistinsero per il rinnovarsi della materia pittorica – divenuta più fragile e preziosa – e per una nuova oggettività del colore; volle cimentarsi con le grandi dimensioni (L’aggressione, 1965, collezione Spinosa, opera con la quale vinse, nel 1970, il premio Mauro Leone, ex aequo con Alberto Biasi); ma soprattutto incominciò una nuova esplorazione della natura (tra tutti, Fondo marino e Paese, 1965, collezione Spinosa) e dette avvio alle serie di opere dedicate ad animali e a forme zoologiche spesso in lotta e sempre in movimento – soprattutto ragni, libellule e farfalle, cui seguirono, nei decenni successivi, gabbiani, galli e, infine, cavalli –, che adoperò per rappresentare il «senso fortissimo della mutevolezza della realtà fenomenica» (Pomilio, in Spinosa, 1974, s.p.). Gli anni Sessanta si chiusero con due personali a Milano (galleria Il milione) e a Firenze (La strozzina). Nello stesso anno, giunse l’atteso incarico all’Accademia di belle arti di Napoli, dove gli fu affidata la cattedra di pittura, prima con richiesta di comando, poi come titolare dal 1973 al 1986.
Per tutti gli anni Settanta Spinosa proseguì nella ricerca informale della materia e del segno, mostrandosi sempre però pronto ad accogliere nuovi temi e motivi (ad esempio, le serie dedicate a Pendoli, Strutture e Muri), che risolse sia in chiave astratta, sia sinteticamente figurativa. Sul finire del decennio giunse a un lirismo più disteso e atmosferico (tra tutti, il Grande rosso, 1977), che Vitaliano Corbi (1979) lesse come particolarissima rimeditazione sull’opera di Mark Rothko. Fra le molte mostre cui Spinosa prese parte in quegli anni – tra cui «I pittori italiani dopo il Novecento» (Milano, Palazzo Reale 1970) e la X Quadriennale di Roma – si ricordano in particolare le personali organizzate a Bologna nel 1971 (galleria S. Luca), a Londra nel 1974 (Square Gallery) e a Napoli nel 1978 (galleria Lo spazio). Nel 1979 si tenne una prima vasta rassegna antologica presso il Museo di Villa Pignatelli.
In quell’occasione, Spinosa presentò dodici tempere dedicate ai Muri di Napoli, traducendo in pittura informale, polverizzata, i muri scrostati, il giallo del tufo e «squarci improvvisi di luce calda e mediterranea» (Scotto di Vettimo, in Le carte di Domenico Spinosa, 2016, p. 21), e suggestionando molto la critica, che ritornò a riflettere sul suo «riaggancio alla tradizione della pittura napoletana», dal barocco di Luca Giordano a Giacinto Gigante e la Scuola di Posillipo, di cui egli stesso affermò di voler cogliere «la parte più profonda e nascosta [...] per riportarla in una visione attuale» (Domenico Spinosa 1953-2000, 2000, p. 20; per i critici, tra tutti, Di Genova, 1982, e, precedentemente, Carluccio, in Domenico Spinosa, 1958, e Barbieri, 1960).
Nei decenni successivi – mentre si rimarcava la sua centralità nella vicenda dell’Informale in Italia in mostre quali «L’informale in Italia» (Bologna, Galleria d’arte moderna, 1982, e Lucerna, Kunstmuseum, 1987), «Fuori dall’ombra» (Napoli, Castel Sant’Elmo, 1991) o «Napoli 1950-59» (Ferrara, palazzo dei Diamanti, 2000) – Spinosa proseguì la sua personale ricerca sul colore e sulla luce (ad esempio, Quanta luce! 1985, ubicazione ignota) e continuò a far emergere dalla materia pittorica il suo vasto universo zoologico e vegetale (tra tutti, Rosso pieno, 1988, collezione Spinosa; Rosso pieno, 1989, collezione Spinosa, Scontri nel sole, 1992, collezione privata; Gli ulivi nel Cilento, 1993, collezione Napoli, Peppe Morra). Si cimentò pure nel bianco e nero nel ciclo dei Gabbiani – che presentò nel 1984 nelle personali presso le gallerie A come arte di Napoli e La roggia di Pordenone – e si dedicò a un’importante impresa a tema religioso, la Via Crucis (1983-85, Museo diocesano di Patti), su cui meditò a lungo accanto al gesuita Mario Casolaro, che insieme ad Augusto Perez e Michele Sovente fu tra i colleghi di accademia con cui ebbe un legame di amicizia profondo.
Nel 2000, a Napoli, presso la Fondazione Pagliara dell’istituto Suor Orsola Benincasa, si organizzò una vasta antologica con opere dal 1953 al 2000, a cura di Maria Teresa Penta, con testi di Angelo Trimarco e Corbi, critico che a lungo aveva seguito il lavoro di Spinosa e che già nel 1993 aveva curato un’ampia personale organizzata dallo studio Morra di Napoli. Nel catalogo si pubblicò un ampio itinerario critico sull’artista, con testi, tra tutti, di Barbieri, Carluccio, Causa, Valsecchi, Vivaldi, Michele Bonuomo, Sandra Orienti, Gino Grassi e Giorgio Di Genova.
Negli ultimi lavori, come in un testamento spirituale, Spinosa dipinse numerosi paesaggi «intrisi di un senso panico della natura» (Starita, in Domenico Spinosa. Una vita per l’arte, 2016, p. 54), si dedicò a una serie sui Cavalli e la loro libera corsa e ritornò sul tema già ricorrente del Pendolo, che assurse allora a metafora del tempo e del suo scorrere.
Morì a Napoli il 15 febbraio 2007.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia e per la ricostruzione del percorso artistico e biografico di Spinosa si fa riferimento, principalmente, al volume D. S. Una vita per l’arte 1916-2007, a cura di V. Lanzilli - A. Spinosa, Milano 2016 (con testi di R. Caragliano, M. Casolaro, S. Evangelisti, C. Rossetti, L. Starita, A. Tecce, A. Trimarco e schede e apparati di V. Lanzilli). Contributi principali pubblicati prima e dopo tale testo sono: D. S. (catal.), testo di C. Barbieri, Roma 1956; O. Ferrari, Modernità di Spinosa, in Il taccuino delle arti, ottobre 1958, p. 6; D. S. (catal.), testo di L. Carluccio, Torino 1958; C. Barbieri, I pittori italiani al bivio nella XXX Biennale veneziana, in Il mattino, 29 giugno 1960; L. Vergine, Il napoletano S. alla Biennale, in Il Popolo, 30 giugno 1960; Una mostra personale del pittore D. S. (catal.), testo di M. Valsecchi, Milano 1961; L. Vergine, Inchiesta sulla cultura a Napoli, in Marcatrè, maggio-giugno 1965; Una mostra personale di D. S. (catal.), testo di M. Valsecchi, Milano 1969; D. S. (catal.), testo di C. Vivaldi, Roma 1970; S. Olii e tempere. 1955-1971 (catal.), testo di R. Causa, Bologna 1971; D. S. (catal.), a cura di G. Grassi, Napoli 1972; D. S. (catal.), testo di M. Pomilio, Padova 1972; S. (catal.), a cura di C. Vivaldi - M. Pomilio, Torino 1974; S. (catal.), a cura di C. Vivaldi, Napoli 1978; V. Corbi, Materia e luce nella pittura di S., in Il mattino, 3 febbraio 1979; G. Di Genova, Generazione anni Dieci, Rieti-Bologna 1982; Il volo del gabbiano (catal.), testo di M. Sovente, Napoli 1982; V. Corbi, Il lavoro del pittore nel tempo, in Paese sera, 3 febbraio 1987; Fuori dall’ombra: nuove tendenze nelle arti a Napoli dal ’45 al ’65 (catal.), a cura di N. Spinosa, Napoli 1991 (in partic.: F. Alfano, D. S., pp. 157 s.; A. Tecce, 1955-1965. Un decennio di impazienza, pp. 63-90); D. S.: opere recenti, a cura di V. Corbi, Napoli 1993; D. S. 1953-2000 (catal.), a cura di M.T. Penta, Napoli 2010 (con testi di V. Corbi e A. Trimarco); V. Corbi, Quale avanguardia?, Napoli 2002; D. S. In piena luce (catal., Ercolano), a cura di L. Grossi, Napoli 2002; M. Picone Petrusa, La pittura napoletana del ’900, Sorrento 2005 (in partic. M. Cuozzo, D. S., pp. 517 s.); 9cento. Napoli 1910-1980 per un museo in progress, a cura di N. Spinosa - A. Tecce, Napoli 2010 (in partic. O. Scotto di Vettimo, D. S., p. 296); D. S. (catal.), a cura di A. Spinosa, Napoli 2010 (con testi di G. Cassese, A. Spinosa, R. Barilli, A. Tecce, M. Sovente, M. Franco, e schede e apparati di F. De Rosa); Le carte di D. S. Tempere, disegni e stampe (catal.), a cura di F. De Rosa - O. Scotto di Vettimo, Napoli 2016.
Si ringrazia, per le notizie relative alla biografia di Spinosa, la figlia Aurora.