TATA, Domenico
– Nacque a Cercepiccola in territorio molisano il 28 novembre 1733 da Francesco e da Barbara Vairetta.
Coltivò da giovanissimo studi scientifici e letterari, prima di entrare in seminario dove concluse il suo percorso con l’ordinazione sacerdotale.
A metà degli anni Cinquanta si trasferì a Napoli dove ottenne una cattedra di matematica e fisica presso la Regia Università; si specializzò quindi in discipline naturalistiche e in vulcanologia. Probabilmente un ruolo decisivo fu giocato dalla lettura del Racconto storico-filosofico del Vesuvio. E particolarmente di quanto è occorso in quest’ultima eruzione principiata il dì 25 Ottobre 1751 e cessata il dì 25 Febbraio 1752 (Napoli 1752), prodotto dall’abate Giuseppe Maria Mecatti, destinato a esercitare con i suoi scritti un’influenza notevole sulle successive riflessioni di Tata (sugli scritti vesuviani di Mecatti e di altri osservatori della seconda metà del Settecento, v. P. Palmieri, Dal terremoto aretino alle eruzioni vesuviane: letture religiose della catastrofe in età rivoluzionaria, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2013, n. 2, pp. 223-246). Nel 1772 Tata pubblicò la sua prima ricerca, il Catalogo di una raccolta di pietre dure native di Sicilia. In quegli stessi anni divennero sempre più stretti i suoi contatti con gli ambienti massonici della capitale e fu incaricato di partecipare alla costruzione di una loggia di liberi muratori a Catania denominata L’Ardore. Ebbe l’opportunità di visitare diversi luoghi in Sicilia e, a Messina, conobbe Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, iniziando con lui un proficuo scambio di conoscenze e ricevendo in dono diversi scritti che avrebbe portato con sé a Napoli. Partecipò a un’esplorazione dell’Etna avvicinandosi al cratere e rischiando la vita. Conobbe anche il poligrafo e antiquario Andrea Gallo, con il quale intrattenne una fitta corrispondenza fra il 1776 e il 1778. Nel viaggio di ritorno si fermò a Lipari per tre giorni e visitò le isole Eolie.
A Napoli ebbe modo di frequentare l’ambasciatore inglese e vulcanologo Sir William Hamilton e a lui dedicò la Lettera sul monte Vulture (1778), analizzando le origini geologiche, le acque e i minerali del sito. L’impatto accademico dell’opera fu notevole. Trovò un importante interlocutore su alcuni temi cruciali (primo fra tutti proprio il monte Vulture) nell’abate Ciro Saverio Minervini, originario di Molfetta, impegnato proprio dal 1773 al 1779 al fianco di Gian Francesco Conforti al collegio della Nunziatella. All’inizio degli anni Ottanta Tata riuscì a guadagnare ulteriore prestigio grazie all’eco creata dalle sue pubblicazioni e all’influenza esercitata dai suoi protettori, fra i quali Giuseppe Caracciolo principe di Torella. A quest’ultimo fu dedicata la Descrizione del grande incendio del Vesuvio (1779).
L’opera si discostava in maniera significativa da altri scritti contemporanei di argomento vesuviano, non prendendo in considerazione le tradizionali letture devozionali che connettevano l’evento eruttivo con i peccati umani, ma fondandosi quasi esclusivamente su rilevazioni empiriche.
Tata viaggiò a lungo per gli Stati dell’Italia settentrionale. Risale probabilmente al 12 luglio 1785 l’incontro con Girolamo Tiraboschi a Modena, propiziato dal canonico Girolamo Saladini (che insegnava matematica all’Università di Bologna). In seguito a quell’esperienza produsse una Memoria [...] sulle acque di Modena, sostenendo che queste ultime traessero alimento da correnti sotterranee originate dalle Alpi e dagli Appennini: le nuove teorie smentivano le accreditate tesi di Bernardino Ramazzini, che nel 1691 aveva pubblicato il trattato intitolato De fontium Mutinensium admiranda scaturigine, sostenendo l’idea di un’origine marina.
All’inizio degli anni Novanta si concentrò nuovamente sul Vesuvio, che iniziò a mostrare segni di attività che destarono inquietudini e curiosità fra gli osservatori, fra i membri del governo e fra la popolazione. In una delle escursioni sul vulcano incontrò il diplomatico inglese Frederick Augustus Harvey. L’eruzione del mese di settembre del 1790 fu raccontata nella Breve relazione dell’ultima eruttazione del Vesuvio (1790).
L’opera testimonia in maniera eloquente il metodo adottato da Tata, fondato quasi esclusivamente sull’osservazione diretta dei fenomeni e dei siti, ma anche la sua attenzione ai quadri teorici elaborati nei dibattiti internazionali. Scriveva per esempio l’abate: «In tutto il corso di queste giornaliere osservazioni io non ho mai fatto la menoma parola dell’elettricismo; motore principale de’ più ammirevoli fenomeni meteorologici, che di continuo si osservano in natura; poiché fino a tutto il giorno 5 di novembre la corrente di questo fluido fu sempre regolare, così che non vi fu mai cosa di straordinario in tutte le descritte esplosioni; sieno di fumo, di cenere, di materiale ignite, o di lava corrente; ed in oltre perché è troppo risaputo quanto contribuisca il fluido elettrico agl’incendiamenti volcanici» (p. 20).
Una delle opere più importanti di Tata è legata a un singolare evento che interessò il territorio di Siena nel 1794. La sera del 16 giugno ci fu infatti un violento temporale accompagnato da una caduta di pietre, che furono fatte raccogliere dalle autorità. Alcuni abitanti dei luoghi, soprattutto nel centro abitato di Cosona (che fu fra i più colpiti dal fenomeno), si impossessarono dei curiosi oggetti caduti dal cielo per venderli ai viaggiatori inglesi. I membri del mondo accademico iniziarono a interrogarsi sul fenomeno. L’abate Ambrogio Soldani, professore di matematica, cominciò a collezionare i sassi caduti dal cielo e sviluppò delle analisi, riuscendo a pubblicare nel giro di soli tre mesi un trattato di 288 pagine, in cui si interrogava sul loro aspetto cristallino e sulla loro forma (li descriveva talvolta come piramidi imperfette). Soldani coinvolse nello studio il mineralogista William Thomson che si trovava a Napoli. In una delle sue lettere a Soldani, Thomson faceva riferimento a una teoria accreditata in quegli anni, costruita principalmente sulle idee del musicista e astronomo tedesco residente in Inghilterra William Herschel, che aveva ricevuto diverse onorificenze dal re Giorgio III dopo la scoperta di Urano avvenuta nel 1781. Secondo Herschel le piogge di pietre dovevano essere riconnesse alle interazioni fra la Luna e la Terra, e in particolare alla caduta sul suolo terrestre di residui provenienti dall’eruzione di vulcani lunari.
Tata venne in possesso di uno degli oggetti caduti sul suolo senese: riconobbe delle similitudini con altre pietre ricevute quattro decenni prima e raccolte dopo una pioggia che aveva colpito le tenute del principe di Tarsia in territorio calabro. Da queste osservazioni nacque un trattato di 74 pagine intitolato Memoria sulla pioggia di pietre avvenuta nella campagna senese (1794). Pur riconoscendo i progressi che «la nuova scienza» aveva compiuto, l’autore riteneva ancora insufficiente la capacità degli osservatori di individuare «il numero delle cause in proporzione degli effetti conosciuti» (p. 7). Tata condivise con Thomson l’ammirazione per Soldani: in onore di quest’ultimo, il materiale proveniente dalla pioggia senese fu denominato soldanite.
La data e il luogo della morte dell’abate sono sconosciuti (diversi studiosi lo hanno confuso con un omonimo avvocato molisano). Alcuni indizi inducono tuttavia a pensare che egli non sopravvisse di molto alla pubblicazione della sua opera intitolata Relazione dell’ultima eruzione del Vesuvio della sera de’ 15. Giugno (1794). Si legge infatti nelle ultime righe: «Avrei dovuto dare, dopo questa breve relazione, un’analisi ragionata di tutte le materie eruttate dal Vesuvio in questo avvenimento. Ma il tempo, l’età, i mezzi, e le mie strettissime finanze, che ognun sa, e vede, mi hanno interdetto anche il pensarci» (p. 42). Seguì infatti solo una Lettera al signor D. Bernardo Barbieri, che portava la data del 21 agosto dello stesso anno.
Opere. Catalogo di una raccolta di pietre dure native di Sicilia esistenti presso l’abate d. Domenico Tata, Napoli 1772; Lettera sul monte Vulture a Sua Eccellenza il signor D. Guglielmo Hamilton, Napoli 1778; Descrizione del grande incendio del Vesuvio successo nel giorno otto di agosto del corrente anno 1779, Napoli 1779; Breve relazione dell’ultima eruttazione del Vesuvio, Napoli 1790; Memoria dell’abbate Domenico Tata sulle acque di Modena, s.n.t. [1790?]; Lettera dell’abate Domenico Tata al signor D. Bernardo Barbieri, Napoli 1794; Memoria sulla pioggia di pietre avvenuta nella campagna senese il dì 16 di giugno di questo corrente anno, Napoli 1794; Relazione dell’ultima eruzione del Vesuvio della sera de’ 15. giugno, Napoli 1794.
Fonti e Bibl.: Una biografia di Tata fu elaborata nel XIX secolo da T. Maglieri, D. T. da Cercepiccola, in P. Albino, Biografie e ritratti degli uomini illustri della provincia di Molise, II, Distretto di Campobasso, Campobasso 1865, pp. 53-59; si veda anche D. Mastropietro, Biografia dell’abate D. T. da Cercepiccola, Bagnacavallo 1898. Un profilo elaborato in anni più recenti e aggiornato sul piano bibliografico è in R. di Castiglione, La massoneria nelle due Sicilie e i “fratelli” meridionali del ’700, II, Roma 2014, nota 4, pp. 422-424. Indicazioni documentarie anche in C. De Lisio, Scienziati del Molise: nuovo compendio storico, Campobasso 2016. Le principali indicazioni sulle frequentazioni massoniche di Tata sono in M. D’Ayala, Vite degl’Italiani benemeriti della libertà e della patria. Uccisi dal carnefice, Torino-Roma-Firenze 1883, p. 637; Id., I Liberi Muratori di Napoli nel secolo XVIII, in Archivio storico per le province napoletane, XXII (1897), pp. 810-811. Sui rapporti fra Tata, Thomson e Soldani, si veda The history of meteoritics and key meteorite collections: fireballs, falls and finds, a cura di G.J.H. McCall - A.J. Bowden - R.J. Howarth, London 2006, pp. 37-38.