TESTA, Domenico (in religione Teofilo). – Nacque a San Paolo (dopo l’Unità, San Paolo Bel Sito)
, casale di Nola, il 12 settembre 1631 da Giambattista e da Caterina Capobianco.
Nel 1647, poco meno che sedicenne, vestì l’abito dei minori osservanti in Gaeta, assumendo il nome di fra Teofilo, in memoria del padre Teofilo Maccarone da Nola, amato dai confratelli e il cui ricordo era in lui molto vivo. Compì il tirocinio di studi teologici nei conventi della Ss. Annunziata ad Avella e di S. Maria la Nova a Napoli e fu ordinato sacerdote il 18 dicembre 1655. Fu lettore di filosofia e teologia per breve tempo nel convento di Sepino (Campobasso) nella provincia minoritica di Sant’Angelo, quindi primo lettore presso lo studio napoletano di S. Maria la Nova fino al conseguimento del giubilato nel 1669. Nel frattempo rivestì diverse cariche per la provincia osservante di Terra di Lavoro: definitore provinciale nel 1661 e commissario provinciale nel 1664 e 1667, assisté (grazie al ruolo di primo lettore di S. Maria la Nova e al privilegio di cui questa figura godeva nei regi studi) al concorso di alcune cattedre di legge e medicina presso l’Università di Napoli tra il 1667 e il 1668, come lui stesso ricorda nei suoi manoscritti Serafici Fragmenti della Provincia osservante di Terra di Lavoro.
A quel tempo, mancando il custode di Terrasanta padre Francesco Maria Rini da Polizzi, partito per intervenire al capitolo generale dell’Ordine a Valladolid, fra Teofilo fu nominato preside di Terrasanta. Lasciò così l’Italia imbarcandosi alla fine di marzo del 1669, giungendo a Beirut e quindi a Gerusalemme nel successivo mese di maggio. Eletto padre Rini ministro generale dell’Ordine, Testa gli subentrò quello stesso anno come custode di Terrasanta e commissario apostolico per l’Oriente (con giurisdizione sui conventi e santuari dell’Ordine in Palestina, Siria, Egitto, Cipro e con il ruolo di protettore dei cristiani latini nelle regioni mediorientali). Si distinse per l’intensa attività diplomatica in difesa dei diritti della Chiesa cattolica sui Luoghi Santi e per il riordino dell’Archivio della Custodia.
La preoccupazione per la conservazione della memoria come dovere pastorale emerse in tutta la sua vita: del periodo del custodiato lasciò, in particolare, una sua Relatione de travagli ch’ha patito la Serafica Religione del N. P. S. Francesco in Gierusalemme da Turchi, e dalli Greci l’anno M.DC.LXX. e M.DC.LXXI., stampata a Innsbruck e a Milano nel 1673 e dedicata al conte Eugen Alexander di Thurn und Taxis, maestro generale di Posta del Sacro Romano Impero, consigliere reggente dell’Austria Superiore e del Tirolo per Leopoldo I d’Asburgo, nonché cavaliere del Santo Sepolcro e benefattore dell’Ordine francescano. Nella memoria, Testa ricorda le persecuzioni subite dai suoi frati a opera delle autorità ottomane di Gerusalemme, in particolare il cadì, giunto in città nel febbraio del 1670, e dei religiosi greco-ortodossi rappresentati dal loro giovane patriarca, il greco Dositeo, in carica a Gerusalemme dal 1669 al 1707. Nei rapporti con le autorità turche le principali controversie, ogni volta placate con donativi per migliaia di ‘piastre’ alla giustizia locale e con vesti di raso, seta e panno per il pascià e la sua corte, riguardarono l’imposizione dell’editto che colpiva il consumo di vino, che il cadì pretese di estendere anche ai franchi (nome comune dei latini d’Oriente) e dunque ai frati minori, e l’estorsione a questi ultimi di diritti per il restauro di chiese e conventi sottoposti alla Custodia, per le sepolture dei frati sul monte Sion, per la costruzione del nuovo dormitorio nel convento di S. Salvatore. In particolare, nell’ottobre del 1670 il cadì e il governatore della città vennero con comitiva di soldati a ispezionare il convento nell’ora di compieta, bastonando gli interpreti della Custodia e rompendo gli otri del vino, di cui si formò un fiume nella via antistante il convento. Solo dietro l’esborso di 1400 piastre i frati convinsero il cadì a spedire un memoriale al Gran Signore, in cui spiegavano di non poter compiere i loro sacrifici senza il vino e supplicavano l’esenzione dall’editto. Il nuovo governatore, giunto a Gerusalemme da Istanbul alla fine dello stesso mese con la nomina del nuovo pascià (governatore provinciale che sostituiva il precedente – recita la memoria – «ucciso dagli Arabi»), impose una tregua alle vessazioni contro i francescani, dicendo che egli non voleva inimicarsi i franchi e passare per tiranno agli occhi del sultano: «ma – notava fra Teofilo – qui non vi è amore senza Piastre» (p. 6).
Più aspri conflitti il custode Testa dovette affrontare con gli ortodossi. L’arrivo del patriarca Dositeo, che veniva ad affiancare e sostituire l’anziano patriarca Nettario, diede man forte alle pretese dei monaci greci contro la giurisdizione cattolica sul Santo Sepolcro. Nel tentativo di sottrarla ai frati minori a proprio vantaggio, il nuovo patriarca trovò sostegno politico nel cadì e nei suoi dottori della legge. Sconfinamenti di spazi nel Santo Sepolcro (la piazzetta e la portella di accesso) a danno dei francescani, le cui funzioni venivano così interrotte, diedero seguito a episodi da parte dei monaci greci di bastonature dei frati e del loro sagrestano, il quale in particolare si era fatto portavoce delle proteste del custode. Nel giugno del 1671 Dositeo portò il caso, con false accuse, presso la corte del cadì, chiedendo per sé la giurisdizione del Santo Sepolcro (disse che erano stati i francescani a bastonare i suoi monaci). La giustizia turca convocò allora padre Testa, nonostante questi fosse gravemente ammalato e quasi moribondo, sotto minaccia di accusarlo di ribellione al sultano se non si fosse presentato: il custode ottenne almeno di andarci a cavallo, sorretto dai confratelli. In sua presenza, Dositeo aggiunse altre accuse: che i francescani ospitassero religiosi maltesi, italiani e spagnoli nemici della Sublime Porta con lo scopo finale della riconquista di Gerusalemme da parte di qualche principe occidentale; esibì poi scritture imperiali sulla cui base pretendeva che tutti i cristiani – compresi i latini – e le chiese di Terrasanta fossero sottoposti alla giurisdizione ortodossa. Ottenne così una sentenza favorevole. Ma dietro la determinazione dei francescani di recarsi a Costantinopoli per chiedere giustizia al sultano, di cui si dichiaravano fedeli sudditi, fu annullata la precedente sentenza, decretando il nihil innovetur e tacciando di falsità le prove di Dositeo. L’amministrazione ottomana adottò ancora una volta la politica dell’appianamento di contrasti che rischiassero di travalicare il contesto locale: nel racconto di Testa, il cadì avrebbe ammonito il patriarca riottoso con questa massima di buongoverno: «che il Cristiano, come il Turco, è buono quando è in pace» (p. 14).
Nonostante i momentanei successi, stanco di una responsabilità in continua emergenza, Testa diede le dimissioni da custode nel 1673. La sua memoria (datata Gerusalemme, 12 ott. 1671) indirizzava precisi ammonimenti ai successori nella Custodia e in generale alla Chiesa romana, per non apparire pastore negligente: i «greci» odiavano i «latini» per più ragioni, non da ultime le conversioni di ortodossi al cattolicesimo e l’ammirazione a suo dire esercitata tanto sui turchi quanto sui greci dalle ordinate funzioni dei francescani al Santo Sepolcro; pertanto non bisognava dare aiuti economici ai religiosi greci che studiavano diritto e teologia in Italia, Spagna, Francia, Germania e che poi, tornati in Oriente ed eletti a importanti sedi, facevano guerra ai latini. La preoccupazione per l’organizzazione della memoria divenne tratto distintivo del suo ministero. Testa compose ancora numerosi necrologi di confratelli morti nell’ambito della Custodia, come archivio vivente della congregazione. La creazione di un Archivio della Custodia, con la compilazione di nuovi registri, si deve al suo operato: egli lasciò, tra l’altro, un elenco dei pellegrini e una cronaca di Terrasanta dal XV secolo ai suoi tempi, continuata poi da altri.
A lui è attribuita, ma con dubbi sull’autenticità, la stesura di una Relazione dell’andata alla Missione d’Etiopia del padre Giovanni dell’Aquila e compagni, riferita dal venerabile religioso Fra’ Ludovico da Benevento (edita nel 1918), che si inquadra nel periodo della sua Custodia (precisamente nel 1668-71) e negli stessi anni, dal 1634 in avanti, in cui la congregazione romana di Propaganda Fide assegnò ai minori l’evangelizzazione delle impenetrabili regioni sul mar Rosso occidentale (a Suakin) e nel Corno d’Africa (a Gondar e in altre località dell’Etiopia), dopo il fallimento delle precedenti missioni di gesuiti e cappuccini. Anche le missioni riformate ebbero tuttavia esito cruento, con il martirio di diversi frati o con l’avventuroso scampo alla morte, in particolare nel racconto etiopico sopra citato.
Accanto alla conservazione della memoria, l’intensa attività diplomatica da lui promossa, attraverso numerose lettere al papa e ai principi occidentali (l’imperatore, i re di Spagna e di Polonia tra questi), ebbe tra i principali riscontri che fosse inserito nel trattato di rinnovo delle capitolazioni tra il Regno di Francia e l’Impero ottomano, del 5 giugno 1673, il mantenimento della giurisdizione dei minori sui Luoghi Santi in Gerusalemme e in Oriente già in loro possesso. Anche se le vicende religiose della Terrasanta negli anni immediatamente seguenti andarono in una direzione affatto diversa, all’insegna dell’instabilità e dello scontro confessionale.
Non ancora rientrato a Napoli, dove giunse dopo un lungo viaggio per mare e per terra, il 9 maggio 1674 il capitolo della provincia osservante di Terra di Lavoro lo aveva eletto a pieni voti ministro provinciale, incarico che tenne fino al 1677. Subito dopo fu eletto commissario visitatore della provincia romana, lacerata da discordie: le sue capacità umane e diplomatiche ebbero nuovamente a imporsi in situazioni complicate se di lì a poco, per intervento dello stesso papa Innocenzo XI, gli venne assegnato l’incarico di ministro provinciale di quella stessa provincia, che resse dal 1679 al 1683. Da Roma fu inviato nel 1681 a Genova dal cardinale Alderano Cibo Malaspina, allora segretario di Stato e cardinale protettore della Regolare Osservanza, nella veste di pacificatore delle dispute che dividevano anche quella provincia minoritica, da cui numerosi ricorsi giungevano presso la Curia romana. Nel 1682 Testa intervenne al capitolo di Toledo che per poco non lo elesse generale (la sua candidatura era sostenuta dal papa e dal cardinale Cibo). Lo stesso anno fu nominato consultore della congregazione dei Sacri Riti.
Dal 1684 al 1685 fu nuovamente incaricato dal cardinale Cibo di portare l’ordine nella provincia di Messina, dove il capitolo del 1683 aveva sancito una rottura con la Curia romana circa le materie da trattare e tra le diverse correnti interne, oltre che con l’autorità secolare del viceré Francisco de Benavides, conte di Santo Stefano, che si era spinto ad arrestare il provinciale padre Placido da Jaci nel giorno di Natale. Accettò con riluttanza l’incarico di nuovo ministro provinciale con ampia autorità su tutta l’isola, redigendo, con l’accordo di quei frati, una riforma delle circoscrizioni e degli statuti dell’Osservanza siciliana che mandò a Roma all’approvazione del pontefice (dove tuttavia, con sua amarezza, la pratica non ebbe seguito).
Delicatissimo compito il cardinal segretario intese ancora affidargli per appianare i contrasti sorti tra il provinciale e gli osservanti della provincia di Milano e i conventi dell’Ordine appartenenti al Ducato di Mantova, che con provvedimento del 1683 erano stati distaccati dall’antica appartenenza alle province minoritiche di Bologna e di Venezia per essere aggregati alla provincia lombarda. Il conflitto religioso contro Milano era caldeggiato dal duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers e si era spinto fino all’espulsione del nuovo ministro e dei frati milanesi dai conventi e dai confini del Ducato. Queste ragioni, che lo esponevano a un complesso scontro politico-diplomatico, spinsero Testa a rifiutare la missione, evidentemente determinando la sua caduta in disgrazia presso la Curia. Una macchinazione anonima (forse facente capo a suoi ex allievi dello Studio napoletano) lo fece credere autore di una lettera offensiva per l’autorità della S. Sede e del segretariato di Stato, che gli valse l’allontanamento da Roma e un processo criminale per il quale tuttavia egli si appellò, con una dotta difesa, alla congregazione dei Vescovi e regolari che, infine, nel 1691 lo prosciolse imponendo il silenzio al Fisco: la sentenza a lui favorevole fu raccolta nell’appendice documentaria ai Serafici Fragmenti.
Questi ultimi, composti da Testa negli anni 1690-91 in questo forzoso periodo di isolamento, si confermano, oltre che come memoriale dei religiosi illustri (di cui ricostruiscono un ampio medagliere) e delle cose della Congregazione osservante, anche come memoria apologetica del suo operato a servizio di quest’ultima e dei Luoghi Santi, sostenuto da un apparato erudito di citazioni dei santi padri, delle Scritture, dei classici latini e da una corposa appendice documentaria.
Segno evidente della sua riabilitazione presso la S. Sede, gli giunse nel giugno del 1692 la nomina a vescovo di Tropea (diocesi di giuspatronato regio, da cui dipendeva anche l’antica chiesa di Amantea), per volontà di papa Innocenzo XII (il napoletano Antonio Pignatelli dei marchesi di Spinazzola), eletto l’anno prima al soglio pontificio, e su presentazione di re Carlo II d’Asburgo.
Succedendo allo spagnolo Francisco de Figueroa, morto nell’ottobre del 1691, Testa resse la cattedra tropeana fino al 1695, anno della sua morte, quando pochi mesi prima, gravemente ammalato, si era trasferito a Napoli per ricevere le cure mediche nel convento di S. Maria la Nova, dove si spense il 21 ottobre e nella cui chiesa venne seppellito.
La notizia della sua morte giunse a Tropea il 29 ottobre e subito il capitolo cattedrale dispose l’apertura del suo testamento, già dettato al notaio tropeano Francesco Antonio Polito. Testa disponeva che i suoi beni si applicassero nella costruzione di una nuova sagrestia o nella commissione di «tanti candelieri di argento per l’altare maggiore» della cattedrale. Il capitolo deliberò quindi l’inventario e la vendita delle derrate che si trovarono presenti nel palazzo vescovile (grano, orzo, vino, mosto) per le spese e per «cantare una messa coll’intervento del capitolo e clero» (così negli Atti capitolari).
Opere. Relatione de travagli ch’ha patito la Serafica Religione del N. P. S. Francesco in Gierusalemme da Turchi, e dalli Greci l’anno M.DC.LXX. e M.DC.LXXI. Fatta dal Reverendissimo P. F. Teofilo Testa de Nola lettore giubilato, Padre della Provincia Osservante di Terra di Lavoro, Guardiano del Sant.mo Sepolcro, e del Sacro Monte Sion, Commissario Apostolico nell’Oriente, Insprucho 1673, Milano 1673; Serafici Fragmenti della Provincia Osservante di Terra di Lavoro del Sagro Ordine di Frati Minori del Patriarcha S. Francesco raccolti dal P. Teofilo Testa da Nola religioso della medesima Provincia (1690-91), ms. già custodito nel convento di S. Francesco al Vomero, poi a S. Maria la Nova, oggi nell’Archivio storico della provincia del Sacro Cuore di Gesù dei frati minori di Napoli, sez. Cronache, presso il monastero di S. Chiara, Napoli (stralci dell’opera editi in G. Mascia, Confraternite francescane a Napoli in una cronaca inedita del Seicento, Napoli 1979).
Fonti e Bibl.: Tropea, Archivio storico diocesano, Atti capitolari, vol. II (1663-1787), cc. 184r, 197rv.
G. Remondini, Della Nolana ecclesiastica storia, III, Napoli 1757, p. 447; V. Capialbi, Memorie per servire alla storia della Santa Chiesa Tropeana, Napoli 1852, pp. 90-92; A. Cirelli, Gli Annali di Terra Santa, editi dal P. Saturnino Mencherini e Bibliografia di Terra Santa del medesimo editore, Quaracchi 1918, pp. 61-89; L. Lemmens, Collectanea Terrae Sanctae ex Archivio Hierosolymitano deprompta, in G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente francescano, n.s., Documenti, XIV, Quaracchi 1933, pp. 245, 255-271; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, V, Patavii 1952, p. 392; G. D’Andrea, P. Teofilo Testa da Nola O.F.M. custode di Terra Santa e vescovo di Tropea, Napoli 1962.