TIBALDI (de' Pellegrini), Domenico
TIBALDI (de’ Pellegrini), Domenico. – Fu battezzato a Bologna il 18 aprile 1541 (Archivio generale arcivescovile di Bologna, d’ora in poi AGABo, Atti di Battesimo della cattedrale, reg. 15 (1541), c. 115v), dove era nato, secondo di cinque figli di Tibaldo Tibaldi (1503-1563).
Il padre, originario di Puria di Valsolda, era divenuto nel 1561 cittadino di Bologna, poiché qui risiedeva da cinquant’anni praticando l’arte muraria. Apparteneva al «casato dei Pellegrini» (Merzario, 1893, p. 268), una famiglia di mastri muratori da tempo attivi, oltre che nell’area comacina, a Bologna, ove la loro presenza è documentata sin dalla prima metà del Quattrocento nei cantieri di S. Michele in Bosco, S. Petronio, collegio di Spagna e Ss. Gregorio e Siro (Gualandi, 1841; Malaguzzi Valeri, 1899; Zucchini, 1943, pp. 40, 55 s., 66; Fanti, 1958; Cortese 1979).
Domenico, seguendo le orme del fratello maggiore Pellegrino (v. la voce in questo Dizionario), fu educato all’arte del disegno, insegnamento che mise a frutto dapprima nella pittura e nell’incisione e, in seguito, soprattutto nell’architettura (per un inquadramento generale: Marchi - Terra, 1983-84; Terra, in La Sala Bologna..., 2011).
Per gli anni di formazione si può ipotizzare un impegno a fianco dei parenti, e in particolare di Pellegrino, a Bologna, in Lombardia e forse anche nelle Marche. Paolo Morigia (1595) incluse Domenico nel novero dei maggiori pittori e architetti attivi a Milano, precisando che «fu molto stimato in Bologna, dove si veggono molte sue fabbriche, e pitture» (p. 287).
Le poche opere pittoriche oggi note preludono alla sua futura maggiore attività, mostrando interesse per il trattamento dello spazio architettonico; si tratta di quattro Storie di s. Paolo dipinte a olio nel 1565 sugli sportelli di un armadio della sagrestia di S. Michele in Bosco, e di due tele, l’Allegoria della Pace (descritta nell’inventario testamentario dei suoi beni: Archivio di Stato di Bologna, d’ora in poi ASBo, Notarile, Camillo Bonasoni, 1583, gennaio 21) e la Sacra Famiglia e i ss. Caterina e Paolo (Benati, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011, p. 316).
Per il collegio di Spagna Domenico realizzò nel 1570 le pitture a fresco per una volta della chiesa e disegnò nel 1579 gli ornati in ferro della cisterna (Cortese, 1979, pp. 138 s., 154).
Riguardo all’incisione si registra una maggiore continuità di pratica, anche come editore, avvalorata dalla presenza, nel citato inventario testamentario, di rami, di disegni, di stampe e di un torchio. Sono note le sue collaborazioni con artisti coevi, tra i quali Agostino Carracci, che tenne tirocinio presso la sua bottega (1578-81). Incise trasposizioni di soggetti architettonici – il Palazzo di Alfonso II d’Este a Ferrara (1566) su disegno di Galasso Alghisi e la Fontana del Nettuno a Bologna (1570) su disegno di Tommaso Laureti – o pittorici, da Samacchini, Tiziano, Muziano, Passerotti, Calvaert, Sabatini, Peruzzi, fra i quali spicca il Ritratto allegorico di Gregorio XIII (1572) su invenzione di Bartolomeo Passerotti (De Grazia, 1984; Ceccarelli, 1999; Tumidei, 2002; Faietti, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011; Ghirardi, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011; Tuttle, 2015).
L’attività nell’ambito delle arti figurative garantì a Domenico una solida base di formazione e un progressivo consolidamento professionale e sociale, testimoniato dall’ascesa di ruolo nella Compagnia dei pittori, alla quale fu iscritto nel 1566, eletto poi nel Consiglio dei trenta (1571) e assunto infine (1579) alla carica di massaro (Bettini, 2009).
La prima opera certa nell’ambito dell’architettura è legata per Domenico alla più importante e duratura prova della sua carriera. Dal 1570 sino al 1582, anno della sua morte, si dedicò alla ricostruzione della cattedrale di Bologna e dell’attiguo palazzo vescovile per incarico del cardinale Gabriele Paleotti (Terra, 1997; Terra - Thurber, 2002; Terra 2007; Terra - Thurber, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011; Stabenow, 2012). Il rinnovamento della cattedrale iniziò dalla costruzione della nuova cappella maggiore a croce greca trilobata, da accostare a un nuovo corpo a tre navate ricalcante quello esistente, poi non eseguito. Il nuovo vescovado fu realizzato ampliando e riformando l’antico con un nuovo prospetto a doppio loggiato nel cortile. Per lo stesso committente Domenico fornì un testo manoscritto, il Discorso del modo che si dovrà tenere nel disegnare et edificare le chiese, giuntoci mutilo, quale contributo alle tesi dottrinali del presule sull’arte sacra postridentina (Prodi, 1967, p. 532; Roca De Amicis, 1985; Pigozzi, 1989, pp. 315-330; Bianchi, 2008). L’appartenenza alla cerchia di Paleotti schiuse a Domenico le porte di prestigiosi incarichi a Bologna e non solo, come lascia supporre la sua presenza presso gli Este a Ferrara nel 1574 (Prodi, 1967, p. 41, n. 88).
Al 1570-72 risale il disegno per il compimento della facciata della basilica di S. Petronio. La soluzione proposta, un abile compromesso tra la conservazione del basamento già eseguito e l’inserimento di un nuovo partito architettonico in stile «tedesco», venne sottoposta nel 1572 al giudizio di Andrea Palladio, con il quale a Bologna Domenico poté stringere amicizia (Thurber, 1999; Burns, in La basilica incompiuta, 2001; Zanchettin, ibid.; Ackerman, 2010, pp. 66-68; Ricci, 2012).
Nel 1573 Domenico iniziò a lavorare per i monaci benedettini cassinesi del monastero di S. Procolo. Qui accostò al corpo a navate della chiesa il nuovo coro a pianta circolare coperta da una volta a creste e vele (1573-79) e realizzò il chiostro del capitolo (1577-86), a doppio ordine di arcate bugnate e cieche con finestre timpanate (Fanti, 1963; Roca De Amicis, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011, pp. 200-203). Di più semplice timbro, in aderenza alle esigenze del committente, fu il chiostro per il monastero urbano di S. Bernardo degli Olivetani (1579-82: Roversi, 1963; Menchetti, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011, pp. 281-286).
Sia S. Maria del Soccorso, detta anche del Borgo, costruita sulle mura cittadine (1580-81) e ora non più esistente (Menchetti, 2006), sia S. Maria delle Laudi, o Ospedaletto (1574, terminata postuma), situata lungo il tracciato urbano della via Emilia (Fregna, 1977, p. 297), appartengono alla tipologia delle chiese con oratorio al primo piano sorte numerose a Bologna nell’età della Controriforma per iniziativa di confraternite dedite ad attività spirituali e caritatevoli. Domenico trattò i due edifici con un analogo tipo di facciata porticata e timpanata, dove l’impiego dell’ordine architettonico, gigante nel caso dell’Ospedaletto, è semplificato a fasce nella chiesa del Borgo. Caratterizzata da un portico con semicolonne corinzie giganti e timpano curvilineo era la chiesa, anch’essa addossato alle mura, della confraternita di S. Maria delle Febbri o della Madonna di Miramonte, attribuita a Domenico (1572 circa) e oggi non più esistente (Guidicini, 1870; Fanti, 1985).
Per l’ospedale di S. Maria della Morte Tibaldi fornì nel 1576 i disegni degli ornati architettonici della cupola della chiesa (Tumidei, 2002, p. 94), mentre per conto della confraternita del vicino ospedale di S. Maria della Vita sistemò nel 1581 l’edificio in adiacenza al voltone laterale di palazzo dei Banchi (Fregna, 1977, p. 297).
Una sofisticata combinazione dei temi cari a Domenico, la pianta centrale, e il tiburio caratterizzato all’interno da una complessa volta a padiglione unghiata e all’esterno da semplici fasce, fornì nuovi esiti nella chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo, realizzata postuma (Roca De Amicis, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011, pp. 203 s.).
Nel campo dell’architettura civile è una delle più apprezzate opere di Domenico, pervenuta alterata: il palazzo della Dogana o della Gabella Grossa (1572-75; Ricci, 2007, pp. 69-78), connotato dal disegno robusto e maestoso del portico bugnato. Sempre per i sindaci della Gabella Grossa, realizzò le paratie del canale Navile a Corticella (Menchetti, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011). A riprova dell’acquisita fama professionale nel 1581 gli fu richiesto dal Senato un progetto, in concorso con altri architetti bolognesi, per la ricostruzione del ponte sull’Idice lungo la via Emilia (Foschi, 1986). Lo stesso Senato, il 28 giugno 1581, gli rilasciava un pagamento per la sistemazione dell’ornato superiore del portale del palazzo pubblico, dove era stata accolta il 18 dicembre 1580 la statua bronzea di Gregorio XIII, il papa bolognese Ugo Boncompagni (Tumidei, 2002).
La vicinanza di Domenico all’ambiente artistico e intellettuale del papa è testimoniata dagli incarichi, svolti in collaborazione con Scipione Dattari, per i disegni preparatori della Pianta prospettica di Bologna e della Corografia del bolognese dipinte nel 1575 da Lorenzo Sabatini nelle pareti sud e ovest della sala Bologna nei palazzi vaticani (La Sala Bologna, 2011).
Altrettanto importante è il corpo delle commissioni private, come il palazzo Magnani (1576-77; Bettini, 2009), dove sono esibiti in facciata i temi del portico bugnato e dell’ordine composito gigante associato a fasce e specchiature con finestre timpanate. Documentate sono la presenza di Domenico nel cantiere del palazzo Bentivoglio, poi rimasto incompiuto (Ricci, 2016, pp. 27-35), e la progettazione della cappella nel palazzo Riario (1579), edificio per il quale è stato anche ipotizzato un suo coinvolgimento più ampio (Foschi, 2004). Gli è poi attribuita la loggia di ordine composito gigante della villa del Tuscolano, di proprietà del vescovo Giovanni Battista Campeggi (1575-76; Aksamija, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011).
Pur incentrando la propria attività nella natia Bologna, Domenico mantenne saldi i legami con la terra di origine della famiglia, la Valsolda (Barrera Pezzi, 1864). Stretti furono sempre i rapporti, anche professionali, con i parenti e con il fratello Pellegrino, specie negli anni in cui questi fu impegnato a Milano al servizio del cardinale Carlo Borromeo (Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, d’ora in poi BCABo, ms. B 1343, 1603: F. Cavazzoni Pitture et sculture..., c. 37r).
Fu proprio Pellegrino a far fronte all’improvvisa indisponibilità del fratello nel cantiere della cattedrale e del vescovado bolognese, fornendo il 4 novembre 1582 al cardinale Paleotti una relazione per il completamento dei lavori (Terra, 1997, p. 50). Pochi giorni dopo, il 16 dicembre, Domenico dettò il testamento (ASBo, Notarile, Camillo Bonasoni, 1582, dicembre 16), con il quale designava erede universale di un patrimonio non disprezzabile, costituito da beni immobili sia a Bologna sia a Puria di Valsolda, il figlio minorenne Giovanni Tommaso, ed eredi sostitute le figlie Caterina e Artemisia, nati tutti dalla moglie Francesca.
Morì, nel pieno di una carriera in ascesa, il 2 gennaio 1583 (AGABo, Santa Maria della Ceriola, Liber Mortuorum (1574-1805), c. 3r; Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 2137, I: Rinieri, Diario..., c. 305r).
Domenico è prevalentemente noto alla storiografia come architetto e la sua fortuna critica è stata a lungo condizionata dalla maggiore attenzione che la letteratura artistica bolognese ha solitamente riservato alla pittura.
Oltre ai sintetici elogi dei biografi contemporanei, gli autori che hanno trattato la sua opera si sono infatti limitati a non sempre precise elencazioni attributive o a rapidi e non sistematici giudizi, rimanendo perciò la sua fama perlopiù circoscritta in ambito locale e parzialmente oscurata da quella di Pellegrino (Malvasia, 1678; BCABo, ms. B.123: M. Oretti, Notizie..., cc. 466-470).
Spiccano tuttavia nel panorama critico significative eccezioni, in particolare l’apprezzamento espresso nella seconda metà del Settecento dagli esponenti del gusto classicistico, fra i quali Francesco Algarotti (1763, 1963, pp. 17 s.), la cui conoscenza e lettura delle sue opere, palazzo Magnani fra tutte, ebbe una risonanza duratura e non solo teorica per l’influenza esercitata sugli architetti attivi a quel tempo (Matteucci, 1969).
La figura di Domenico cominciò così a trovare più ampio spazio e considerazione nei repertori e nelle rassegne storiche, non solo di ambito locale, sino a emergere meglio contestualizzata e riconosciuta grazie ai più recenti contributi documentari e critici focalizzati con inedito interesse sull’architettura bolognese del Cinquecento e dell’età della Controriforma (Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Camillo Bonasoni, prot. 12; Bologna, Archivio generale arcivescovile, Atti di battesimo della cattedrale, reg. 15 (1541); Santa Maria della Ceriola, Liber Mortuorum (1574-1805); Biblioteca universitaria, ms. 2137, I.: V. Rinieri, Diario, overo descrittione delle cose più notabili seguite in Bologna dall’anno 1580 in sino à tutto l’anno 1586, c. 305r; Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B 1343, 1603: F. Cavazzoni, Pitture et sculture et altre cose notabili che sono in Bologna e dove si trovano, c. 37r; ms. B123: M. Oretti, Notizie de’ professori del dissegno, cc. 466-470.
P. Morigia, La nobiltà di Milano. Divisa in sei libri, Milano 1595, pp. 278, 286 s.; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de pittori bolognesi, Bologna 1678, I, pp. 200 s.; F. Algarotti, Saggi (1763), a cura di G. Da Pozzo, Bari 1963, pp. 17 s.; M. Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le belle arti. Serie seconda, Bologna 1841, pp. 181-190; C. Barrera Pezzi, Storia della Valsolda con documenti e statuti, Pinerolo 1864, pp. 153-170; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, III, Bologna 1870, pp. 315 s.; G. Merzario, I maestri Comacini. Storia artistica di mille duecento anni (600-1800), II, Milano 1893, pp. 268 s.; F. Malaguzzi Valeri, L’architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca S. Casciano 1899, pp. 180-182; G. Zucchini, San Michele in Bosco, in L’Archiginnasio, XXXVIII (1943), pp. 18-70; M. Fanti, La chiesa parrocchiale dei Ss. Gregorio e Siro, Bologna 1958, pp. 16-20; Id., San Procolo: la chiesa, l’abbazia. Leggenda e storia, Bologna 1963, pp. 137 s.; G. Roversi, La chiesa e il convento di S. Bernardo, già S. Maria dei Gaudenti nel “Borgo dell’Argento”, in Strenna storica bolognese, XIII (1963), pp. 253-298; P. Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti, II, Roma 1967, p. 41, n. 88, p. 532; A.M. Matteucci, Carlo Francesco Dotti e l’architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 9 s.; R. Fregna, Città e investimenti, in Storia dell’Emilia Romagna, a cura di A. Berselli, II, Bologna 1977, pp. 273-316; E. Cortese, Artisti e artigiani al Collegio di Spagna nel Cinquecento, in Studia Albornotiana, XXXVI (1979), pp. 112-166; M. Marchi - R. Terra, D. T. architetto (1541-1583), tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, a.a. 1983-84; D. De Grazia, Le stampe dei Carracci: con i disegni, le incisioni, le copie e i dipinti connessi, a cura di A. Boschetto, Bologna 1984, pp. 32 s., 78 s., 221-223; M. Fanti, Le chiese sulle mura, in G. Roversi, Le mura perdute, Casalecchio di Reno 1985, pp. 106 s.; A. Roca De Amicis, Il “Discorso... nel disegniare et edificare le chiese” di D. T., in Storia Architettura, 1985, n. 1-2, pp. 43-54; P. Foschi, Un concorso di idee del 1581 per la ricostruzione del ponte sull’Idice della via Emilia, in Il Carrobbio, XII (1986), pp. 164-180; M. Pigozzi, D. T. Architetto e teorico. Architettura come metafora, in L’architettura a Roma e in Italia (1580-1621), Atti del XXII Congresso di storia dell’architettura... 1988, a cura di G. Spagnesi, I, Roma 1989, pp. 315-348; R. Terra, La fabbrica cinquecentesca, in La Cattedrale di San Pietro in Bologna, a cura di R. Terra, Cinisello Balsamo 1997, pp. 44-55; F. Ceccarelli, Ipotesi per un palazzo estense. Note su di un’architettura di Galasso Alghisi incisa da D. T., in Quaderni di Palazzo Te, VI (1999), pp. 9-21; T.B. Thurber, Architecture and civic identity in late sixteenth-century Bologna. Domenico and Pellegrino Tibaldi’s projects for the rebuilding of the cathedral of San Pietro and Andrea Palladio’s designs for the façade of the basilica of San Petronio, in Renaissance Studies, XIII (1999), 4, pp. 467-474; La Basilica incompiuta. Progetti antichi per la facciata di San Petronio (catal.), a cura di M. Faietti - M. Medica, Bologna 2001 (in partic. V. Zanchettin, pp. 107-109, scheda n. 12; H. Burns, pp. 110-114, scheda n. 13); R. Terra - T. B. Thurber, Il Palazzo Arcivescovile di Bologna nell’età della Controriforma: modelli e strategie di rinnovamento architettonico, in Domus Episcopi. Il Palazzo Arcivescovile di Bologna, a cura di R. Terra, San Giorgio di Piano 2002, pp. 51-81; S. Tumidei, Alessandro Menganti e le arti a Bologna nella seconda metà del Cinquecento: alla ricerca di un contesto, in Il Michelangelo incognito. Alessandro Menganti e le arti a Bologna nell’età della Controriforma, a cura di A. Bacchi - S. 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