TOSCHI (Tosco), Domenico
Nacque a Castellarano (nella Val Secchia, oggi provincia di Reggio Emilia) l’11 giugno 1535 da Giovan Battista e da Onesta Bardiani, terzogenito di una prole molto numerosa (dodici, tra fratelli e sorelle). Il padre esercitava le professioni di procuratore e di notaio.
Domenico, quando aveva 10 anni di età, fu inviato a Reggio Emilia presso lo zio Giovanni, esperto latinista. Si spostò a Roma dopo il 1551. Dimostrò presto l’intenzione di arruolarsi in uno degli eserciti che combattevano la guerra di Siena, ma il proposito non ebbe seguito. Toschi non fu dunque un soldato, come asserito dai contemporanei (e da gran parte della storiografia successiva). Piuttosto, si impiegò dapprima presso Giovan Battista Brugnolo, uditore di Filippo Archinto, vicario generale di Roma, e poi, nel 1553, proprio presso quest’ultimo, diventandone cameriere e segretario. Infine, quando Archinto fu nominato nunzio pontificio a Venezia, Toschi lo accompagnò con l’incarico di abbreviatore. Nella città lagunare, il 24 ottobre 1555, grazie alle facoltà di cui era in possesso, Archinto lo creò protonotario apostolico.
Toschi si fermò inizialmente a Venezia anche quando, nel giugno 1556, Archinto fu sostituito da Antonio Trivulzio. Poi però seguì il primo, nominato arcivescovo di Milano. Entrare in città non fu facile: prima il pericolo di peste obbligò i due a restare in quarantena a Parpanese, presso Pavia; poi, si frappose la spinosa questione del mancato placet alla presa di possesso dell’arcidiocesi da parte delle autorità milanesi. Ne derivò una situazione di stallo, che nel marzo 1558 obbligò l’arcivescovo nominato e Toschi a spostarsi a Bergamo. Quest’ultimo si recò a Roma per informare il papa (Paolo IV), ma non poté essere di aiuto per il superamento della contesa (che sarebbe terminata solo dopo la morte di Archinto, avvenuta il 21 giugno 1558).
Toschi, in qualità di uditore, passò quindi al servizio di Sigismondo II d’Este di San Martino, governatore di Pavia. Ebbe da quest’ultimo la provvigione delle sue 'lance spezzate' (8 scudi d’argento al mese), fatto che ha rafforzato l’equivoco riguardo circa un suo transito per la carriera delle armi. Invece, entrato nel collegio Castiglioni di Pavia, egli proseguiva gli studi giuridici. Il 17 aprile 1562 conseguì il dottorato in entrambi i diritti (civile e canonico). L’anno seguente, fu nominato commissario di San Martino in Rio e sindacatore degli ufficiali del governo milanese in territorio pavese.
Rimase al servizio di Sigismondo II e di Filippo d’Este di San Martino fino al 1566. Quindi, tornò a Roma presso i Cesi: Angelo, marchese di Monticelli, e Pier Donato, cardinale. Subito ne scaturirono vantaggi, in termini di benefici ecclesiastici e di nomine. È del 1575 l’ammissione di Toschi al collegio dei procuratori della Sacra Rota; seguì nel 1580 la nomina a uditore generale della Legazione di Bologna (presieduta dallo stesso cardinale Cesi). Resta invece incerta la data in cui egli pervenne al grado di referendario di entrambe le Segnature.
Toschi seguì il porporato umbro anche in occasione del conclave del 1585, aperto dopo la morte di papa Gregorio XIII. Tuttavia, eletto Sisto V e nominato il cardinal Antonio Maria Salviati legato di Bologna, rientrò nella città felsinea, mantenendo la carica di uditore generale e aggiungendovi quella di vicelegato. Si trovò così in mano le redini del governo nei due mesi in cui, partito Salviati, la città attendeva l’arrivo del successore, il cardinale Enrico Caetani.
Rientrò a Roma nell’estate 1585. Morto il cardinale Cesi, Toschi mostrò intenzione di praticare il mestiere di avvocato «senza più servire alcuno» (Vita del cardinale D. T. scritta di proprio pugno, in Govoni, 2009, p. 137). Ma ormai aveva fama di giurista di spicco. Nel 1587, il suo nome circolò per l’incarico di commissario dell’Inquisizione a Malta. Egli si schermì, non volendo «mettere in rischio la vita, e robbe» (ibid.). Per vincere l’insistenza del pontefice ci volle un intervento del marchese Federico Cesi, che lo accreditò come procuratore e notaio legato al casato.
In realtà, Toschi meditava di passare a Firenze. Presentatosi al granduca Ferdinando de’ Medici, riuscì presto a ottenere la carica di suo consigliere e di uditore del Supremo Magistrato. Ne approfittò per approfondire gli studi giuridici. Restò a Firenze fino al 1592, anno in cui fu eletto pontefice Clemente VIII Aldobrandini.
Tornato a Roma, Toschi fu nominato dapprima uditore della congregazione della Sacra Consulta e poi, dall’agosto 1595, governatore della città. Iniziò la serie dei provvedimenti normativi emanati a suo nome con la revoca di tutte le licenze di porto d’armi e con un severo bando contro la ricettazione. Quindi, si concentrò sulla cattura dei banditi più pericolosi. Gli interessava altresì la revisione delle disposizioni in materia penitenziaria: l’editto del 28 agosto 1597 puntava a tenere in buon ordine le carceri di Tor di Nona e di Corte Savella. Numerosi, infine, i bandi pubblicati affinché i soldati concentrati a Roma nel 1597 (in occasione della seconda spedizione contro i turchi in Ungheria e della devoluzione del Ducato di Ferrara) non provocassero disordini.
Clemente VIII, che trascorse a Ferrara gran parte dell’anno 1598, apprezzò in modo particolare l’operato di Toschi al suo rientro a Roma e in occasione del Concistoro del 3 marzo 1599 lo ricompensò con il berretto cardinalizio. Ebbe il titolo di S. Pietro in Montorio (sarebbe passato a quello di S. Onofrio il 25 luglio 1604, per poi riprendere il suo primo titolo il 5 maggio 1610). Durante il pontificato Aldobrandini, in qualità di giurista, comparve in molte congregazioni, innanzi tutto in quella del Buon Governo e in quella dei Baroni. Nel 1602 entrò anche nella congregazione dei Beati; l’anno seguente in quella formata per affrontare il contenzioso con Venezia circa la sovranità temporale su Ceneda (diocesi presso Treviso).
Il 10 maggio 1595 Toschi era stato creato vescovo di Tivoli. Nonostante la vicinanza della diocesi, egli la fece governare dal vicario Lelio Ottolino, il quale condusse anche le visite apostoliche, di cui restano gli atti. Dal canto suo, Toschi si preoccupò di recuperare i beni immobili alienati senza autorizzazione dai precedenti vescovi e aggiunse nuove cariche all’organico del capitolo del duomo: una di queste, quella di decano, fu assegnata al nipote Giovan Battista, che nel 1606 gli subentrò nella titolarità della diocesi tiburtina.
In occasione del conclave aperto a metà marzo 1605 dopo la morte di Clemente VIII (il 3 marzo), Toschi si schierò con la fazione legata all’ex cardinal nipote, Pietro Aldobrandini. Il suo nome compariva nelle liste di cardinali papabili almeno dal 1603 e qualche relazione fatta circolare dagli osservatori al momento della chiusura del conclave ne diede ancora conto. Tuttavia, egli non ebbe mai realmente speranze. Invece, nel successivo conclave seguito alla morte di Leone XI Medici, iniziato l’8 maggio 1605, la candidatura di Toschi prese maggiore consistenza, favorita dai cardinali fedeli ad Aldobrandini, dal granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e dal duca di Savoia Carlo Emanuele I. Infatti, dopo una settimana di veti incrociati fra i diversi raggruppamenti, che comprendevano – oltre ai porporati di Clemente VIII – anche quelli creati da Sisto V, capeggiati dal nipote Alessandro Damasceni Peretti, i filofrancesi e i filospagnoli, Toschi parve effettivamente vicino alla tiara. Nella notte fra il 15 e il 16 maggio 1605, tutte le fazioni si dichiararono d’accordo sul suo nome e la mattina seguente i seguaci dei due ex cardinal nipoti tentarono un’elezione per adorazione. Il suo alloggio venne spogliato di tutti i beni dai conclavisti: segno che l’elezione era ormai certa. La notizia penetrò addirittura all’esterno: molti si presentarono di fronte alla residenza romana di Toschi (una casa messagli a disposizione dai Cesi, presso la chiesa di S. Simeone, nel rione Ponte). Tuttavia, la partita doveva dimostrarsi tutt’altro che chiusa: i cardinali oratoriani Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, al pari del gesuita Roberto Bellarmino, si dichiararono fermamente contrari all’ipotesi di un Toschi papa. Lo storico sorano, in particolare, lo accusò esplicitamente di usare un linguaggio sboccato. Grazie all’erudito Teodoro Amayden, all’epoca dei fatti da poco a Roma, conosciamo i dettagli di quest’accusa: come tutti i parlanti dei dialetti emiliani, Toschi intercalava continuamente nel discorso le interiezioni cazzo, caz, o ma chaz. Erano praticamente prive di significato, simili al quidem e all’Hercule della lingua latina, o al δέ greco: tuttavia, Baronio fu irremovibile (Amayden, 1907).
A questo punto, la fazione del cardinale Peretti tentò di forzare la mano con una convergenza sul nome dello stesso Baronio, ma i cardinali favorevoli a Toschi non cedettero. Si assistette al movimento contemporaneo, tumultuoso, dei due gruppi verso la sala Regia del Palazzo Vaticano, dove era prevista l’elezione per adorazione. Relazioni del tempo riferiscono che i cardinali venivano strattonati a forza: non pochi videro i propri rocchetti strappati. Il clima rimase arroventato per diverse ore, con i due gruppi concentrati nelle cappelle ai lati della sala Regia, la Paolina e la Sistina; il cardinale Aldobrandini affrontò il cardinale Damasceni Peretti palesemente alterato. Solo a sera inoltrata, si arrivò a un nome di compromesso.
Eletto Camillo Borghese (Paolo V), Toschi entrò nella congregazione di Germania, che discuteva degli aiuti contro i turchi in Ungheria. Stese anche un Discorso in occasione dell’Interdetto di Venezia del 1606-07. Continuò a lavorare nelle congregazioni cardinalizie impegnate nel governo dello Stato della Chiesa.
In questi stessi primi anni del nuovo pontificato, Toschi intraprese la composizione di una grande summa giurisprudenziale, gli otto volumi delle Practicarum conclusionum iuris, in omni foro frequentiorum (Romae, Stephano Paulini, 1606-08, ristampata con correzioni e aggiunte a Francoforte e a Lione fino al 1670).
Si trattava di una vera e propria enciclopedia del diritto in forma di repertorio, composta da più di 9200 voci, ordinate alfabeticamente. Avvocati, giudici, studiosi vi trovavano sintetizzate le principali opinioni della dottrina civilistica, penalistica e canonistica, dai giuristi del Due-Trecento, fino ai quasi contemporanei commentatori cinquecenteschi. A esse, Toschi aggiunse notazioni tratte dalla sua esperienza professionale. Il punto di vista era ovviamente quello del sovrano pontefice: la superiorità del potere spirituale su quello temporale appoggiata su Baldo degli Ubaldi o su Paolo di Castro viene rimarcata in più punti. Anche nelle conclusiones sullo ius Venetorum emergeva a tutto tondo la primazia del papa, contro ogni pretesa di autonomia della Serenissima in campo spirituale.
Una parte dell’opera, concernente gli ordinamenti pubblici di molte città italiane e delle realtà statuali d’Oltralpe, venne sviluppata in un lavoro successivo: le Selecta de jure statuum in imperio romano sive de Regum, et Principum, tam ecclesiasticorum quam secularium, nec non Comitum ac Civitatum privilegijs, iuribus et consuetudinibus (Francofurti ad Moenum, typis haeredum Ioannis Bringeri, 1620). In questa sede, Toschi aggiunse molte altre particolarità sulla legislazione interna delle città della penisola e dei principali regni europei, formando un atlante ante litteram del diritto sostanziale e procedurale, in ambito pubblicistico, civilistico e penalistico.
Grazie alla sua acribia di economo domestico, conosciamo il modesto ammontare dei diritti autoriali percepiti da Toschi grazie alla sua opera maggiore: 50 scudi annui. In effetti, egli non smise mai di attendere scrupolosamente alla cura del patrimonio. Nei primi anni del Seicento aveva una rendita annua complessiva di più di 9000 scudi. La cifra comprendeva anche i 1320 scudi versatigli dalla Camera apostolica, poiché era considerato cardinale 'povero'. Su questa base, Toschi aveva acquistato terreni e vigne in Castel Gandolfo e fondato una grande azienda vinicola, facendosi forte anche di una riduzione delle imposte concessagli da papa Borghese. A Castel Gandolfo aveva anche istituito nel 1612 una commenda di giuspatronato dell’Ordine sabaudo dei Ss. Maurizio e Lazzaro a vantaggio dell’omonimo nipote Domenico: comprendeva un palazzo sul sito della piazza principale (oggi piazza della Libertà) e terreni agricoli presso Albano, a Valle del Pozzo.
Pervenuto il 1° gennaio 1616 alla carica di camerlengo del Sacro Collegio, Toschi commissionò all’architetto Francesco Peparelli, intorno al 1617, la costruzione di un palazzo dotato di giardino a Montecitorio, vicino alla Curia Innocenziana (sul sito dell’attuale Tipografia della Camera dei Deputati).
Morì il 26 marzo 1620 a Roma (Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato nel secolo decimosesto, a cura di Alberi, X, Firenze 1857, p. 352). Fu seppellito nella chiesa di S. Pietro in Montorio.
Anche nel duomo di Reggio Emilia, sin dai primi anni del Seicento, aveva acquisito una cappella, decorata da tele commissionate, fra gli altri, al Cavalier d’Arpino e al Pomarancio. Vi fu collocato il suo busto in marmo policromo realizzato da Ambrogio Buonvicino. Ottavio Leoni nel 1604 aveva realizzato il suo ritratto (due le versioni conservate: a Vienna, nel Kunsthistorisches Museum e nella Galleria Fontanesi dei Musei civici di Reggio Emilia).
Ai testi citati va aggiunta l’opera di esordio: l’edizione del libro Super libro sexto Decretalium et Clementinis cum summariis di Lapo Tatti da Poggibonsi (in aedibus Populi Romani 1589). È conservata anche una Vita del cardinale D. T. scritta di proprio pugno. Il testo è stato pubblicato in appendice al volume di Raffaella Govoni (2009, pp. 133-141). In questo scritto, Toschi richiamava per sommi capi la sua carriera e non faceva cenno al conclave del maggio 1605. Invece, ricordava in dettaglio le questioni economiche personali (dalle retribuzione degli incarichi ricoperti fino al valore dei suoi immobili).
Archivio di Stato di Reggio Emilia, Monte di Pietà, Archivi aggregati, bb. segnate AgM 19, AgM 22 - 32, AgM, 42 - 57. P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV, Monasterii 1935, pp. 6, 8 nota 2, 42, 47, 57, 58, 337; T. Amayden, Relazione delle opposizioni fatte dal cardinale Baronio al cardinal Tusco, in G. Calenzio, La vita e gli scritti del cardinale Cesare Baronio, Roma 1907, pp. 937 s.; F. Caraffa, Visite pastorali nel Lazio Meridionale dal Concilio di Trento al secolo XIX, in Archiva Ecclesiae, XXII-XXIII (1979-80), p. 257; M. Ascheri, Le Practicae conclusiones del T.: uno schedario di giustizia consulente, in Giustizia, potere e corpo sociale nella prima età moderna, a cura di A. De Benedictis - I. Mattozzi, Bologna 1994, pp. 37-53; M. Fratarcangeli, Il cardinale D. T. e la sua villa scomparsa di Castel Gandolfo, in Castelli Romani, XXXIX (1999), pp. 182-191; N. Del Re, Il card. D. T., papa mancato, in Strenna dei romanisti, LXI (2000), pp. 167-181; D. T., il cardinale reggiano papa mancato: storia, inediti, curiosità, Reggio Emilia 2000; T. Manfredi, Peparelli, Borromini, Carlo Rainaldi e il palazzo Toschi, Guidi di Bagno, dei Padri della Missione a Montecitorio, in Quaderni del Dipartimento patrimonio architettonico e urbanistico, XIII (2003), pp. 131-142; Ch. Weber, Die Päpstlichen Referendare 1566-1809, III, Stuttgart 2003, p. 946; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio 1592-1605, Stuttgart 2004, ad ind.; S. Tabacchi, Il Buon governo: le finanze locali nello Stato della Chiesa, Roma 2007, ad ind.; R. Govoni, Il cardinale D. T. da Castellarano a Roma. 1535-1620, Reggio Emilia 2009; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’età moderna, Roma 2013, ad ind.; G. Brunelli, Le commende dell’Ordine dei Santi Lazzaro e Maurizio nello Stato della Chiesa in età moderna, in Rivista storica italiana, CXXVI (2014), pp. 898 s.; M. Mancino - G. Romeo, Clero criminale: l’onore della Chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell'Italia della Controriforma. I documenti: il Cinquecento, Napoli 2014, pp. 73, 85.