UDINE NANI, Domenico (Dominico Antonio)
Nacque a Rovereto il 6 giugno 1784 in casa Rossi nella contrada di S. Maria di Loreto al civico 222, figlio di Bortolo Antonio di Dominico, legatore di libri, e di Dorothea Patuzzi. Suoi fratelli erano Anna, che, rimasta vedova di Antonio Cossali, avrebbe abitato con lui a Firenze, divenendone poi l’erede usufruttuaria, Giuseppe, Giovan Battista e Girolamo.
Il suo apprendistato si svolse sotto la guida del pittore e incisore di Isera Giovanni di Dio Galvagni, dal 1798 sino alla morte pubblico maestro di disegno alle Scuole normali di Rovereto. Nel 1802 Domenico lasciò la città natale per recarsi nella capitale toscana, allogandosi in un primo tempo presso lo scienziato trentino Felice Fontana, il quale, lavorando in casa propria statue decomponibili in legno, lo assunse privatamente, all’interno di una selezionata équipe di artisti, perché, impiegando giovani maestranze con le quali condivideva la provenienza, sperava di trovare artefici più disciplinati di quelli avuti all’Imperiale e Reale Museo di fisica e storia naturale, da lui diretto dal 1775 sino alla morte. Per interessamento di Fontana Udine fu ammesso all’Accademia di belle arti di Firenze nel dicembre del 1804 o forse nel novembre del 1805. Di essa aveva da poco assunto la direzione, su nomina di Maria Luisa di Borbone nel 1804, Pietro Benvenuti, destinato a incidere in modo significativo sull’opera dell’artista roveretano. Prima, durante e poco dopo questo curriculum accademico di Domenico si delineò un parallelo itinerario di studio e approfondimento, ovvero una ricerca formale fondata sul rispetto dei canoni, e consistente nel «copiar quadri», a confronto con le più note scuole rappresentate alla Reale Galleria di Firenze. Si trattava di un esercizio imprescindibile nel tirocinio formativo dell’artista, valido come sintesi di cognizioni tecniche e culturali, dall’anatomia alla prospettiva, dalla documentazione figurativa a quella letteraria, di cui rimane traccia evidente nella pittura di Udine. L’esecuzione, lungo un arco temporale compreso fra l’ottobre 1803 e l’agosto 1844, di una quarantina di copie dai grandi maestri, o da quelli meno noti, ma non per questo meno significativi stilisticamente, delle scuole bolognese, francese, toscana e soprattutto veneziana (ritratti, studi di figura, bozzetti, soggetti mutuati da episodi mitologici, storici o letterari, scenari naturali), emerge da un rilevante materiale documentario conservato nell’Archivio storico delle Gallerie Fiorentine.
In ordine all’iter accademico curriculare, nel 1808 Udine dipinse a olio su cartone Due teste all’antica (conservate all’Accademia roveretana degli Agiati), dedicando l’opera al suo maestro Galvagni. Al 1810 risale invece il perduto S. Pietro che cammina sulle acque, che venne poi destinato per volontà testamentaria al fratello Giovan Battista. Negli anni 1811 e 1812 fu premiato per il disegno d’invenzione acquerellato L’Accademia platonica e per quello avente per tema La partenza d’Attilio Regolo per Cartagine; ottenne poi il premio «pel Disegno del nudo nel concorso di emulazione dei 3 ottobre 1813» (Firenze, Archivio dell'Accademia di belle arti, Atti della Regia Accademia delle belle arti di Firenze dal 1 luglio 1807 al 16 settembre 1827, p. 143; queste opere sono tutte perdute). In occasione delle celebrazioni della restaurazione granducale (17 settembre 1814) eseguì La Pace arde colla fiaccola un mucchio d’armi, una delle quattro grandi tele destinate all’apparato scenografico allestito in piazza S. Marco (opera perduta, ma riprodotta in un’incisione di Niccolò Palmerini). Celebrò altresì la restaurata sovranità temporale di Pio VII Chiaramonti rappresentando il suo ingresso trionfale in Roma proveniente da Savona, avvenuto, dopo la caduta dell’Impero napoleonico, il 24 maggio del 1814, in un disegno inciso da Carlo Lasinio all’acquaforte a granito, e, in un altro disegno (tradotto da Antonio Verico sempre all’acquaforte a granito), il suo ingresso nella basilica di S. Pietro, il 7 giugno 1815, dopo la fine dell’avventurosa impresa di Gioacchino Murat, che lo aveva costretto a fuggire nuovamente trovando rifugio a Genova. Concorse poi al premio accademico del marzo 1815 con il perduto bozzetto a olio Il ritrovamento della pittura. Al 1815 risale l’Uccisione di Archimede, che nel luglio 1818 figurava nella Galleria dei quadri dell’Accademia di belle arti di Firenze, e che fu legata con testamento alla Libreria di S. Marco di Rovereto; oggi l'opera è posseduta dalla Fondazione Museo civico e collocata nella nuova sede del Museo della Città in palazzo Sichart. Due disegni connessi a quest’opera testimoniano il rapporto di Udine con l’aretino Ranieri Bartolini, all’epoca studente di scultura all’Accademia fiorentina, noto per la sua collezione conservata oggi presso la Fraternita dei Laici di Arezzo. In questo periodo, negli scambi epistolari con gli amici, Udine denunciò spesso le difficoltà finanziarie nelle quali si dibatteva, dovute alle poche opportunità di lavoro che la committenza fiorentina offriva agli artisti.
Nel settembre 1815 la sua presenza è documentata a Rovereto, ove tornò più volte negli anni successivi; risale probabilmente a questo torno di tempo il Ritratto di Giampietro Baroni Cavalcabò, oggi conservato al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Al principio dell’estate del 1816 soggiornò brevemente a Venezia; nel luglio dello stesso anno venne premiato come vincitore del concorso triennale di pittura indetto dall’Accademia fiorentina, per il quadro, perduto, raffigurante Teseo che restituisce a Edipo le figlie rapitegli da Creonte. Concluso l’iter accademico, il 4 ottobre 1816 un rescritto granducale gli accordò la naturalizzazione toscana, richiesta forse anche con la speranza di ottenere una pensione dallo Stato per completare a Roma la propria formazione artistica. Il 30 gennaio 1817 chiese la continuazione del sussidio mensile quinquennale ottenuto il 14 marzo 1812, che a distanza di un mese e mezzo avrebbe avuto termine.
Contemporaneamente all’iter formativo, Udine, fra il 1810 e il 1818, fu il più produttivo collaboratore dell’officina per la Storia della scultura di Leopoldo Cicognara. Ebbe, infatti, come disegnatore, un ruolo rilevante e significativo all’interno dell’impresa cicognaresca consistente nel «copiar statue», ovvero effettuare riprese di monumenti architettonici e scultorei, tombe, medaglie e oggetti delle arti minori, pertinenti a edifici chiesastici, collezioni e dimore pubbliche e private, e forse anche di ‘traduttore in italiano’ di un paio di disegni, dei quali non viene indicato l’autore, eseguiti nella capitale francese (come annota Cicognara sul margine del disegno 500, foglio di supporto 74r del codice Vat. lat. 13748 della Biblioteca apostolica Vaticana), fornendo egli ben 130 disegni a contorno (dei 686 raccolti nello stesso codice) tradotti in 25 tavole nelle quali egli figura dichiarato, e in altre 13 dove (disegnatore e/o codisegnatore) rimane anonimo.
Qualche anno più tardi Udine ottenne incarichi prestigiosi e altri favorevoli riscontri: per l’edizione fiorentina delle Tragedie di Vittorio Alfieri, uscita in sei volumi presso Leonardo Ciardetti nel 1820-1821, fornì due disegni che illustrano una scena dell’Ottavia e una della Merope, trascritti rispettivamente dagli incisori Innocenzo Migliavacca e Antonio Verico. Se la sua presenza nell’équipe di pittori, fra i quali Benvenuti, Giuseppe Bezzuoli e Gaspero Martellini, incaricati dalla committenza granducale dei Lorena di decorare i nuovi ambienti napoleonici in palazzo Pitti è attestata da un’unica fonte risalente all’autunno del 1826, è invece sicuro il suo intervento in palazzo Borghese già Salviati, ove dipinse a fresco, nel soffitto dell’odierno salotto Verde, il tondo centrale raffigurante Venere e Marte; ascrivibili a lui sono anche le decorazioni allegoriche, fitomorfe e zoomorfe che lo circondano. Nello stesso torno di tempo egli fu anche impiegato nelle decorazioni della dimora granducale fiorentina del Poggio Imperiale, ove realizzò le grandi tempere delle Storie di Achille che ornano le pareti e il soffitto di una delle sale al piano terreno.
Passando alla committenza religiosa, di quest’epoca si ricordano i due grandi affreschi absidali nel coro di S. Paolino a Firenze raffiguranti la Conversione e il Martirio di s. Paolo, eseguiti nel 1819; per la stessa chiesa nel 1823 due ovali, S. Giovanni della Croce e S. Teresa, e una perduta Sacra Famiglia; l’anno precedente, per l’altare detto del Crocifisso nella chiesa pratese di S. Francesco, una pala con la Transverberazione di s. Teresa. Incaricato dal granduca Ferdinando III, eseguì inoltre, nel 1823, per la chiesa pisana di S. Torpè, appartenente come S. Paolino e come (da pochi anni) S. Francesco all’ordine dei carmelitani scalzi, la Sacra Famiglia in gloria con i ss. Teresa e Giovanni della Croce.
Fra la fine del secondo e la metà del terzo decennio del secolo Udine lavorò molto anche per il Trentino. Il Ritratto di Felice Mazzurana, dal 1991 nelle collezioni provinciali del Castello del Buonconsiglio di Trento, si situa verosimilmente nel 1819. Al 1822 risale invece la pala con la Madonna Immacolata e s. Rocco per l’altare maggiore della chiesa conventuale dei Francescani a Rovereto. Nel 1824 eseguì per la cattedrale tridentina di S. Vigilio la pala raffigurante S. Antonio di Padova con il Bambino. Dell’anno seguente è poi la Madonna delle Grazie, dipinta per l'omonima cappella gentilizia nel territorio del cessato Comune di Sacco (oggi Rovereto). Anche la Madonna orante, d’après Sassoferrato, conservata nella quadreria di casa Rosmini, va verosimilmente riferita alla prima metà del terzo decennio.
Fra le opere documentate ma perdute o non rintracciate collocabili nel secondo decennio del secolo sono alcuni ritratti di committenza trentina (di Giovanni di Dio Galvagni e della consorte Gioseffa, di Marianna Mazzurana a pendant con il consorte Felice) e altri commissionati da influenti esponenti dell’aristocrazia toscana, ciò che attesta una considerazione professionale raggiunta già negli anni immediatamente successivi al suo percorso di studi: in particolare il Ritratto del conte senatore Ippolito Venturi, esposto nel luglio 1818 con l’Uccisione di Archimede nella Galleria dei quadri dell’Accademia fiorentina, il Ritratto della marchesa Carlotta Venturi Garzoni, dipinto entro l’ottobre 1821, e un affresco di soggetto sconosciuto eseguito per il cavaliere Lanfranchi nella volta della chiesetta della sua villa in Pisa. Vanno altresì citati un quadro di soggetto sconosciuto commissionato da Filippo Bornia, missionario in America, per il quale Udine dipinse anche una S. Margherita regina di Scozia; due dipinti di carattere sacro forse da identificare con un’Annunciazione, ricordati come dono della famiglia Postinger al Museo civico roveretano; e un S. Isidoro, soggetto di un quadro per il quale Antonio Rosmini consegnò all’amico pittore una dettagliata iconografia, ma sulla cui effettiva esecuzione nulla si sa.
A Rovereto, nel soffitto della cappella neogotica nel giardino di villa Bridi eseguì a fresco, nel 1831, la Madonna Refugium peccatorum (a diretto confronto con la pala d’altare di Giuseppe Craffonara, di analogo soggetto); l’immagine è contornata da una raffinata decorazione neoclassica da ritenersi autografa. Forse allo stesso anno risale il Ritratto di Carlo Emmanuele Sardagna von Hohenstein, vescovo di Cremona, inciso all’acquaforte e bulino da Angelo Bonini. Agli anni immediatamente successivi risalgono un secondo affresco con Saulo converso nella volta della chiesetta della SS. Trinità a Sacco, all’epoca oratorio pubblico dei conti Bossi Fedrigotti, e, nella stessa, l’affresco con Dio Padre e angeli che decora la lunetta sopra il portale nella controfacciata, i monocromi del presbiterio e vari interventi di restauro, fra i quali il rifacimento dell’«imbasamento» della cappella laterale intitolata a Maria Vergine Santissima di Caravaggio. Attribuibili a lui sono pure le decorazioni a monocromo nella volta della navata: le vele sopra le rimanenti quattro finestre, due gruppi di tre angioletti, due fregi laterali e i segmenti a lacunari adiacenti alla controfacciata e all’arco trionfale.
Nel 1834 Udine fornì a Rosmini indicazioni esecutive per alcune statue destinate all’oratorio del SS. Crocifisso a Stresa, oggi chiesa annessa al collegio Rosmini; dipinse la tela di Cristo nell’orto, commissionatagli per la cappella gentilizia di palazzo Galasso a Trento, e, per la chiesa di S. Maria Assunta ad Arco, la pala raffigurante la Madonna Immacolata con i ss. Bernardino, Sebastiano e Rocco, e una perduta Annunciazione che nel 1835 sostituì il quadro dell’Addolorata nella cappella della villa allora Tambosi, poi Botta in Vallunga presso Rovereto. Nel 1836, su precedente commissione di Rosmini (1832), ultimò la pala di S. Vigilio, collocata l’anno dopo nella chiesa arcipretale di S. Marco a Rovereto. Fra il settembre del 1827 e l’aprile del 1837 eseguì tre copie della Madonna della seggiola di Raffaello, di ubicazione sconosciuta; solo di due la fonte specifica l’originaria destinazione, una per il Museo Ferdinandeo di Innsbruck, l’altra per la raccolta di dipinti di Giovan Battista Sommariva a Tremezzo sul Lago di Como (v. Rizzioli, 2003, pp. 257-263 (Appendice I), pp. 261 s., nn. 37, 39).
Nell’inverno 1838-39, probabilmente da dicembre a febbraio, Domenico effettuò un soggiorno romano. Portano la data del 1839 la Madonna Immacolata, iniziata a Firenze, per l’altare maggiore del santuario delle Grazie a Ceole di Arco, e la Madonna del Rosario per l’omonima cappella della chiesa dei Ss. Dionisio, Rustico ed Eleuterio a Santa Croce del Bleggio, il cui bozzetto fu eseguito a Roma. Nel 1840 venne ultimata la Madonna di Caravaggio, sbozzata a Firenze l’anno precedente, commissionata all’artista per l’altare della cappella gentilizia Bossi Fedrigotti nella chiesetta della SS. Trinità a Sacco, e attualmente collocata nel vicino palazzo di famiglia.
Dopo aver rifiutato la commissione di quattro gonfaloni per la roveretana Confraternita del SS. Sacramento, nel 1842 Udine dipinse la Vergine Addolorata per la chiesa cittadina di S. Maria di Loreto; nel maggio del 1844 lasciò Rovereto, presumibilmente diretto a Firenze, ove è documentata la sua presenza il 29 agosto. L’Ex voto della popolazione di Campodenno per la liberazione dal colera, dipinto per la parrocchiale del luogo dedicata ai ss. Maurizio e Compagni e unanimemente riferito al 1836, reca la data 1845. Nel 1848, nella chiesa del monastero di S. Maria in Reggio ad Arco dipinse a fresco I sette ss. fondatori dell’Ordine dei Servi intorno all’arco trionfale, e in due riquadri centrali nella volta della navata la Madonna Addolorata con un santo servita e la venerabile Maria Arcangela Biondini e S. Pellegrino Laziosi.
Non si hanno ulteriori notizie relative alla sua vicenda artistica sino al 30 luglio del 1850, quando a Firenze fece testamento. Morì il successivo 2 agosto e venne sepolto il giorno seguente nel «nuovo Sepolcreto» dei chiostri di S. Croce.
Il corpus della produzione udiniana, che annovera grazie a quello grafico almeno 238 opere, acquista una consistenza e un’identità complessivamente definibili nella specificità locale trentina e in quella accademica toscana (dai ritratti a destinazione privata ai quadri a soggetto religioso e storico, ai cicli di dipinti murali), e lo dimostra coinvolto in quel decisivo clima di rottura degli schemi didattici della pittura celebrativa, avvertibile quale trasformazione del neoclassicismo, che a Firenze, come in altre città toscane, dopo una ben articolata adesione alle poetiche del bello ideale nelle loro varie sfumature, tendeva a ridursi, già nei primi anni della restaurazione granducale, a un’elegante cifra decorativa in arredo di stanze pubbliche e private. Quello che della sua opera rimane lo rivela estraneo alle coordinate istituzionali che contraddistinsero il nuovo sistema delle arti neoclassico-romantico, ovvero escluso da quel mercato che faceva capo alle esposizioni organizzate annualmente dalle varie accademie italiane. Rispetto ad artisti la cui presenza a quelle rassegne fu costante e accompagnata dal favorevole riscontro della critica giornalistica, le sue comparse, dopo i significativi successi nei concorsi dell’Accademia fiorentina e le prestigiose commissioni toscane della prima maturità, risultano, forse anche a causa della precarietà di notizie documentabili, limitate e occasionali.
Testi e articoli (manoscritti e a stampa, libri, riviste e quotidiani) che menzionano la vicenda biografica e artistica di Udine sono complessivamente inclusi – fatto salvo l’articolo di anonimo, Firenze 15. Luglio / Accademia delle Belle Arti, nel Supplemento alla Gazzetta di Firenze, 16 luglio 1818, n. 85, pp. [5-6] – nella bibliografia a firma della scrivente di seguito elencata: E.[G.] Rizzioli, D. U. N. 1784-1850, Rovereto 2003; Ead., D. U. N. 1784-1850. Aggiunte al catalogo delle opere, Rovereto 2004; Ead., Antonio Rosmini Serbati conoscitore d’arte, Padova 2008 (in partic. Ead., Antonio Rosmini, D. U. N. e Giovanni Pock, pp. 193-204); Ead., D. U. N., in Ead., Archimede. Immagini, iconografie e metafore dello scienziato siracusano dal Cinquecento all’Ottocento. Filosofia e scienza fra valori simbolici e paradigmatici, Rovereto 2013, s.v.; Ead., D. U. N. per la "Storia della Scultura". Un itinerario emblematico del processo di produzione iconografica, in Ead., L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la "Storia della Scultura", Rovereto 2016, pp. 779-826; Ead., La «Collezione di tutti i disegni originali che hanno servito per intagliare le tavole della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara» (Vat. lat. 13748), Città del Vaticano 2016, ad ind.; Ead., D. U. N. Nuove carte antiche, Rovereto 2019. Si vedano inoltre: E.[G.] Rizzioli, D. U. Madonna delle Grazie, in L’Arte riscoperta. Opere delle collezioni civiche di Rovereto e dell’Accademia roveretana degli Agiati dal Rinascimento al Novecento, a cura di E. Chini - E. Mich - P. Pizzamano, Rovereto 2000, pp. 206 s.; D. U. N. Interventi di restauro, in Progetto restauro, X (2005), 33, pp. 14-26; Ead., D. U. N. disegnatore, in Studi trentini di scienze storiche, LXXXVII (2008), II, pp. 169-193; Ead., La Madonna delle Grazie di D. U. N. ed alcune considerazioni su una sua copia, in I Quattro Vicariati e le zone limitrofe, LIII (2009), 105, pp. 51-64; Ead., Archimede di Siracusa. Un dipinto e due disegni di D. U. N., in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, s. 9, 2011, vol. 1 A, pp. 55-90; Ead., D. U. N. Un disegnatore per la "Storia della Scultura" di Leopoldo Cicognara, idid., s. 9, 2017, vol. 7 A, pp. 245-282; Ead., L’officina di Leopoldo Cicognara. Alcune considerazioni sulla creazione delle immagini per la "Storia della Scultura", in Leopoldo Cicognara, un intellettuale ferrarese tra l’età napoleonica e la Restaurazione, Atti del Convegno di studi, Ferrara… 2017, a cura di G. Venturi, in Studi Neoclassici, VI (2018), pp. 53-60.