DOMESTICAZIONE
. La domesticazione è in senso biologico lo stato in cui si trovano gli animali domestici e le piante coltivate. Domesticate si chiamano quelle bestie (e piante) le cui condizioni di alimentazione e riproduzione l'uomo, da una lunga serie di generazioni, influenza a suo talento. Non si tratta quindi solo del tenere in prigionia le bestie, ma d'intervento duraturo e volontario dell'uomo in tutto il complesso delle loro condizioni di alimentazione e d'intenzionale determinazione della loro riproduzione. Resta così esclusa la conservazione delle bestie in giardini zoologici, ecc., se anche, data l'odierna progredita tecnica usata nei giardini zoologici, si debbono ammettere forme di transizione. Biologicamente il fenomeno più importante per le rispettive forme viventi è quello per cui la selezione naturale è quasi del tutto esclusa, e il fatto inoltre che le singole nuove varietà (mutazioni di natura ereditaria) non s'incrociano, senza selezione e secondo il'caso, con le forme normali, ma vengono moltiplicate o diminuite conforme la volontà dell'allevatore. Appare infine discretamente sicuro che le forti variazioni delle complessive condizioni di ricambio e di assimilazione facilitano e aumentano, almeno presso parecchie forme, la comparsa di mutazioni.
Qui si presenta la domanda se possiamo equiparare le condizioni biologiche dell'uomo a quelle degli animali addomesticati. Non vi può essere dubbio che, anche presso gli aggruppamenti umani più poveri di cultura, le condizioni di alimentazione, riproduzione e selezione non corrispondono più interamente a quelle degli animali viventi in libertà. Ogni progresso di cultura aggrava queste differenze. In tutti i gradi culturali l'uomo varia volontariamente il suo sistema di riscaldamento (fuoco) e di alimentazione. Egli allarga la cerchia dei suoi alimenti per mezzo di preparazione artificiale, eventualmente con la disintossicazione, conservazione e produzione di cibarie. La riproduzione subisce anche variazioni a motivo di costumi, usi e leggi, o altre ragioni che sono estranee agli animali, sia riguardo al numero e alla selezione dei riproduttori, sia riguardo alla discendenza. In luogo del singolo allevatore, come presso gli animali, subentrano qui opinioni e costumi di tutto il gruppo sociale. Si deve dunque affermare che biologicamente l'uomo vive, in complesso, in uno stato che corrisponde completamente allo stato di domesticazione degli animali domestici. Il grado degl'influssi della domesticazione sui singoli gruppi umani è vario: i più poveri di cultura ne subiscono il minimo; ma del tutto immune da influenze domesticatrici non v'è gruppo alcuno.
La conseguenza di questo processo biologico è che l'uomo ha quasi tutti i segni caratteristici che noi troviamo negli animali domestici. Si può persino dire che tutti i caratteri che si riscontrano nell'uomo come differenze di razza, si presentano, come tali, anche nelle razze degli animali domestici. E viceversa, con minime eccezioni, si trovano le particolarità dei nostri animali domestici anche presso l'uomo. I segni di domesticazione degli animali consistono nelle variazioni della forma e dell'abbondanza del pelo. In quasi tutti i mammiferi domestici si riscontrano, accanto al pelo liscio e rigido, riccioli, pelo crespo oppure lanoso (pecore, capre, cani, gatti, conigli, maiali, ecc.), mentre i mammiferi che vivono allo stato libero, anche i Primati, hanno pelo liscio e rigido. Tutti gli animali domestici mostrano inoltre numerose varianti di pigmentazione, prima di tutto dei capelli (albinismo, melanismo, rutilismo e tutte le forme intermedie), poi le più varie pezzature. Si confrontino ora le differenze di forma e di colore dei capelli umani. Il fatto che la pezzatura e l'albinismo parziale non assumono l'importanza di caratteristiche razziali, non è affatto una dimostrazione contraria; giacché essi si presentano come caratteri di "famiglie". Meglio che dovunque il parallelismo risulta dal colore dell'iride. In tutti gli animali viventi allo stato libero l'iride è costantemente colorata; nella pluralità dei casi, del tutto scura, per lo meno di colore bruno chiaro o giallo; non esistono mai iridi di colore blu, verde chiaro o grigio. Al contrario in quasi tutti gli animali domestici si osservano tali colorazioni dell'iride. Il parallelismo di questi occhi chiari degli animali domestici con quelli dell'uomo si dimostra anche sotto il rispetto della struttura microscopica fino ai minimi particolari. Le differenze anatomiche nella struttura dell'iride, del corpo cigliare e della congiuntiva fra l'occhio di un maiale dagli occhi chiari e quello d'un porco selvatico sono perfettamente eguali alle differenze che si riscontrano fra l'occhio di un uomo a iride azzurra e quello di un uomo a iride scura, che appunto, riguardo alla colorazione dell'occhio, non dimostra alcun effetto della domesticazione. A questo punto bisogna rilevare particolarmente che la chiarificazione dell'occhio non va congiunta necessariamente con una depigmentazione dei capelli o della pelle. Gli occhi degli orsi bianchi sono costruiti identicamente come quelli degli orsi bruni. Non già la povertà della pigmentazione delle bestie polari, ma unicamente la domesticazione provoca il colore chiaro degli occhi. L'uomo settentrionale, di capelli, pelle e occhi chiari, non rappresenta un adattamento alle condizioni polari, bensì una forma di domesticazione chiara semi-albina. Delle altre caratteristiche della domesticazione ci limitiamo a menzionare brevemente: le forme nane e giganti e le differenze di proporzioni che sussistono presso l'uomo e gli animali domestici, inoltre in entrambi il divario della forma del naso, la steatopigia (deretano degli Ottentotti) nell'uomo e la formazione di accumulo di grasso nelle natiche e nella coda delle pecore. Si possono anche riscontrare paralleli fisiologici, perdita di dati periodi di eccitamento sessuale, ecc. L'unica variante molto frequente negli animali domestici, che manca all'uomo, è la variabilità del padiglione dell'orecchio (grandezza, rigidità, orecchie pendenti). Al più si potrebbero menzionare qui le orecchie dei Boscimani.
Tutte le caratteristiche raziali dell'uomo appaiono dunque nate da condizioni biologiche, che corrispondono allo stato di domesticazione dei mammiferi. Solamente le differenze, più profonde, fra i grandi gruppi di razze, Mongoloidi, Europeidi, Negroidi, si possono far arrivare forse, ma soltanto forse, fino a periodi di sviluppo che precedono gli effetti della domesticazione. Poiché lo stato di domesticazione provoca spesso come conseguenza che il numero delle mutazioni spontanee ereditarie venga aumentato; la grande quantità di differenze raziali piccole e piccolissime trova in ciò la sua spiegazione. D'altronde ne consegue che lo stesso carattere, per es. capelli crespi, oppure nanismo, si può presentare sotto l'influsso della domesticazione indipendentemente fra i varî gruppi umani. Non si può per conseguenza passare così senz'altro alla constatazione di nessi genealogici fra i rispettivi gruppi, in base a questi singoli contrassegni che esistono in varie parti della terra. Noi constatiamo oggi, per es., che il rutilismo compare occasionalmente in quasi tutte le razze. Nella Nuova Guinea. per es., il rutilismo è così abbondante in singoli villaggi che lo si potrebbe far assurgere facilmente a contrassegno di stirpe. Esso non ha certo nessuna connessione, come tale, con il fenomeno dei capelli fulvi in Europa; egualmente si potrebbe ritenere che non occorra affatto che i capelli crespi, per es., dei Negriti abbiano alcuna relazione con quelli dei Negri africani. Il gigantismo di certe stirpi negre nell'Africa orientale non ha certo genealogicamente nessun nesso con il gigantismo, per es., dei Patagoni o degli Scozzesi.
In complesso la costruzione anatomica di tutti i contrassegni raziali corrisponde perfettamente a quella degli animali domestici. Le condizioni di alimentazione e riproduzione dell'uomo e degli animali domestici sono eguali; si può dire che biologicamente l'uomo corrisponde a una forma di domesticazione.
Bibl.: E. Fischer, Die Rassenmarkmale des Menschen als Domestikationserscheinungen, in Zeitschr. f. morph. Anthr., XVIII, Berlino 1914; id., Rasse und Rassenentstehung beim Menschen, Berlino 1927; B. Klatt, Entstehung der Haustiere, in Handb. der Vererbungswiss., III, Berlino 1927; F. Weidenreich, Domestikation und Kultur in ihrer Wirkung auf Schädelform und Körpergestalt, in Zeitschr. Konstit., XI (1925).
Animali domestici.
Gli animali domestici sono quelle specie che vivono in consorzio permanente con l'uomo, fornendogli prodotti o servizî di entità economica varia, e ricevendone in compenso protezione e assistenza, che, mediante l'allevamento artificiale effettuato di generazione in generazione, valgono a sottrarre l'individuo e le specie alle vicissitudini della lotta per l'esistenza.
Tutti gli animali superiori, particolarmente Mammiferi e Uccelli, possono essere addomesticati e addestrati, specialmente se siano stati catturati giovani. Quando sono dotati di facoltà elevate, possono diventare anche gradevoli compagni dell'uomo, come accade dell'elefante, dell'orso, di molte scimmie e anche di animali feroci, come leoni, tigri, giaguari. In tutti questi casi l'individuo è divenuto familiare, ma non può dirsi animale domestico secondo la definizione data. In esso infatti è sempre latente l'istinto selvaggio, che lo spinge alla fuga o alla rivolta; difficilmente si riproduce in stato di schiavitù e, quando ciò accade, i figli acquistano abitudini familiari, ma non perdono gl'istinti paterni. Negli animali domestici invece la riproduzione avviene regolarmente sotto la vigilanza dell'uomo, e i figli hanno la tendenza innata a vivere in consorzio con lui. È probabile che essi discendano da forme selvatiche preadatte alla domesticità. Tale attitudine dipende verosimilmente da un complesso di fattori talvolta congiunti, talaltra separati e sviluppati in grado più o meno elevato, secondo le specie.
Va considerato innanzi tutto l'istinto consorziale. Accanto a specie che vivono isolatamente, ne esistono molte altre che preferiscono l'associazione, come molti uccelli acquatici e palustri, altri che si mescolano a mandre di Mammiferi, i consorzî di Ungulati e Solipedi, ecc. Negli animali è innata la confidenza verso l'uomo, il quale può accrescerla adescandoli col cibo; la paura è effetto della persecuzione. E possibile che in tempi primitivi l'uomo abbia potuto valersi di queste circostanze stringendo abitudini consorziali più intime con le specie che potevano rendergli servigio, come il cane. L'istinto gregario deve aver pure avuto parte neila domesticazione, e può aver facilitato quella delle pecore e delle capre. Gli animali che vivono in branchi numerosi si adattano più facilmente alla vita entro recinti. La sedentarietà, il senso di orientamento e l'istinto di tornare al proprio territorio hanno grande importanza. I polli e i pavoni selvatici sono assolutamente sedentarî: la loro attitudine alla domesticazione è insita nel fatto che essi non si allontanano dal territorio circoscritto in cui sono nati e cresciuti. Il cane, il gatto e il colombo hanno la medesima abitudine, ma posseggono altresì, in modo molto sviluppato, la facoltà istintiva di trovare la via del ritorno verso il proprio distretto.
La tendenza all'impinguamento, carattere congenito e proprio di stirpi e d'individui determinati, appartiene egualmente ai fattori che vanno tenuti in molta considerazione. Animali dotati di taluno degl'istinti suddetti, entrati in consorzio con l'uomo, hanno perduto, con l'impinguamento, la facoltà di sottrarsi al suo dominio, ed è anche possibile che l'uomo abbia tratto in stato domestico tutta una razza che per circostanze favorevoli, dell'ambiente naturale, non possedeva mezzi di fuga. Se i marinai portoghesi, naufragati all'Isola Maurizio, non avessero dovuto mangiare in tre anni tutti i dronti che vi abitavano, e che si estinsero in tal modo nel 1693, ed avessero tratto in schiavitù i superstiti, e se questi si fossero riprodotti, chiunque avrebbe detto che quegli uccelli erano il prototipo dell'animale adatto alla vita domestica.
Se si considerano le abitudini delle specie animali più importanti sparse per tutto il mondo, e particolarmente quelle delle specie dalle quali si presume siano discesi gli animali domestici, si riconosce facilmente che i caratteri sui quali ci siamo intrattenuti appartengono, più o meno, a tutte le forme domestiche, e possono essere definiti come condizioni necessarie per la domesticazione. Potremmo dire, applicando concetti tratti dalla genetica moderna, che codesti caratteri derivano da una correlazione di fattori che favoriscono la domesticazione e che mancano spesso a specie molto affini a quelle domestiche. Tutte le specie del genere Bos si dimostrarono e si dimostrano suscettibili di domesticità, mentre questo non è accaduto per i bisonti. La stessa cosa si dica per le zebre, in confronto agli asini, generi entrambi africani; per il gatto selvatico europeo, in confronto con quello dell'Africa settentrionale; per le pecore delle Montagne Rocciose (Ovis canadensis), in confronto con quelle della regione paleartica e per altri casi ancora.
Le origini della domesticazione si perdono nella preistoria. L'uomo, nel periodo paleolitico, non sembra che possedesse animali domestici: gli animali domestici compaiono nell'età neolitica e i loro resti abbondano nelle abitazioni lacustri o palafitte. Già nel 1861 L. Rütimeyer, nella sua Fauna der Pfahlbauten, poneva i fondamenti della storia degli animali domestici. Di questi il primo a comparire come compagno dell'uomo fu il cane, ma nelle più antiche palafitte si trovano anche avanzi ben definiti di bovi, capre, pecore e maiali domestici. Per la natura del giacimento in cui se ne trovano i resti, si parla di cane, bue, pecora, capra e maiale delle torbiere. Anche il loro nome scientifico richiama spesso la condizione fondamentale di vita degli abitatori delle palafitte: Canis palustris, Ovis palustris, Sus palustris. Il cavallo è raro nelle palafitte, e, secondo il Rütimeyer, i più antichi abitatori di esse ne erano privi. Appare più frequente nell'età del bronzo. Gatti, piccioni e polli domestici non si trovano nelle palafitte: questi ultimi sono d'importazione relativamente recente, in periodo storico.
La priorità del cane come animale domestico è fondata sulle osservazioni fatte dai Danesi sui kiøkenmøddinger (mucchi di conchiglie). Questi sono ritenuti avanzi del pasto degli abitatori più antichi delle coste della Danimarca, i quali si nutrivano specialmente di ostriche e di altri molluschi della spiaggia, e ne gettavano gli avanzi nei pressi delle loro abitazioni, insieme con resti di pesci e con ossa di altri animali uccisi in caccia, come anatre, oche, cinghiali, volpi, castori, ecc. Queste stazioni nordiche appartengono all'età mesolitica e proto-neolitica: mescolati con gli avanzi dei pasti si trovano utensili di pietra e osso, i quali attestano che quelle popolazioni vivevano dei prodotti della caccia e della pesca. Ma le ossa della selvaggina uccisa mostrano segni evidenti di essere state rosicchiate dai cani. Il cane delle torbiere era piccolo, e la sua ossatura lo fa rassomigliare a un cane lupo moderno, con probabile derivazione dallo sciacallo; ma, già nel periodo più recente delle palafitte, a questo cane primitivo si sono sostituite forme nuove, più grandi e più piccole, di conformazione varia, probabilmente immigrate dall'Oriente, fra le quali stanno forse gli antenati dei nostri cani da pastore. Sul principio dell'età del bronzo, l'allevamento delle pecore raggiunse un grande sviluppo, la qual cosa spiega l'abbondanza di cani, capaci di guardare gli armenti.
Il bue delle torbiere (Bos brachyceros) è stato descritto dal Rütimeyer come piccolo ed elegante, con corna corte e voltate all'insù. Questa razza ebbe grande diffusione durante lo epoche preistoriche, ed è considerata come progenitrice degli attuali bovini bruni delle Alpi e di altre razze europee. Secondo alcuni autori, i bovini selvaggi dell'India, e specialmente il banteng (v.), vanno considerati come oltremodo somiglianti al bue delle torbiere. Durante il passaggio dall'età della pietra a quella del metallo, appare una nuova razza di bue, molto più grande, la quale, specialmente nella forma del capo, lascia riconoscere i caratteri dell'uro (Bos primigenius) e si deve ritenere derivata da questo. L'allevamento del bestiame raggiunse, secondo le ricerche del David, il massimo sviluppo al principio dell'età del bronzo; si trovano allora nella regione delle palafitte della Svizzera occidentale bovini piccoli e altri grandi, con corna ora grandi ora piccole, o privi di corna. Nell'Europa settentrionale fu allevato largamente e a lungo il Bos frontosus, probabile derivato domestico del primigenius. Un regresso nell'allevamento sembra coincidere con la fine dell'età del bronzo.
La capra numericamente prevaleva sulla pecora; essa aveva corna robuste ed era poco diversa, nella forma esterna, dalle capre attuali. La pecora delle torbiere era piccola, con gambe sottili e piuttosto alte: le corna erano volte all'esterno e in dietro; la coda era lunga. Secondo il Rütimeyer, lo scheletro di questa pecora è molto simile a quello delle pecore che vivono anche oggi in alcune montagne della Svizzera. Altre due razze di pecore, provenienti verosimilmente dal sud, comparvero alla fine dell'età della pietra.
Il maiale delle torbiere (Sus palustris) fu allevato dagli abitatori delle palafitte come animale alimentare. Esso sembra connettersi con i maiali asiatici e si presume che avesse un'origine extraeuropea. Più tardi fu addomesticato il cinghiale locale.
La tardiva comparsa del cavallo come animale domestico è attribuita alle speciali condizioni di vita dell'uomo, nel periodo delle palafitte. Gli scambî si esercitavano preferibilmente per via d'acqua, essendo il terreno assai poco favorevole, per la grande estensione dei boschi, ond'è che il cavallo domestico non poteva essere largamente e utilmente usato. Esso è divenuto comune nell'Europa centrale durante l'età del ferro, ed è probabile che vi sia stato importato dall'Oriente, perché i suoi resti assomigliano alle eleganti razze orientali, mentre i locali cavalli, che si sono conservati allo stato selvaggio fino ad epoca recente, hanno forme più massicce. Il nome del cavallo (sanscr. aåvaḥ; gr. ἳττος; lat. equus, ecc.) è comune alle lingue del gruppo indo-europeo.
I primi documenti storici sugli animali domestici appartengono alle antiche civiltà assiro-babilonese ed egizia. Gli Assiri ebbero in grande onore il cavallo, che era stato peraltro posseduto prima dagli antichi Babilonesi, allo stato domestico. Il cavallo della Mesopotamia era un cavallo orientale, molto somigliante all'arabo; serviva specialmente a scopo di guerra e di caccia, come animale tanto da sella quanto da tiro. Anche il bue domestico apparve assai per tempo in Mesopotamia. In un'antica colonna caldea esso è rappresentato nell'atto di tirare l'aratro. Una tavoletta di creta scavata a Sekerh (Larsa) rappresenta un uomo armato di ascia, il quale sta per colpire un leone, che ha atterrato un bue domestico. Questo ha corna diritte e porta una gobba, quindi non si può mettere in dubbio che si tratti di uno zebù: la tavoletta è attribuita al terzo millennio a. C. Più tardi si trovano bassorilievi e fregi colorati che riproducono buoi di tipo selvaggio, attribuiti al Bos primigenius. Il bue serviva come animale da tiro, attaccato a piccoli carri a due ruote; non si adoperava il giogo, ma un attacco a collare inventato dai Babilonesi. In una stele del tempo di Sargon, e in altri documenti antichi, è figurato anche il bufalo domestico, il quale più tardi, presso gli Assiri, scomparve. Gli Assiri furono un popolo razziatore di bestiame, che, come tale, introdusse nel suo territorio anche la pecora. Un bassorilievo del tempo di Tiglath-Pileser III (745 a. C.) riproduce la conquista di una città giudaica; gli abitanti vengono condotti in schiavitù insieme con le loro pecore, che appartengono chiaramente alla razza dalla coda adiposa, anche oggi diffusa in Oriente. Gli Assiri possedettero anche il cammello, come appare da un bassorilievo sull'obelisco nero di Nimrūd, del tempo di Shalmanaser III (860 a. C.), e il dromedario: il primo fu portato, come tributo, dall'Asia occidentale; il secondo fu catturato agli Arabi. Lo stesso popolo allevò pure molte capre e pochi maiali. I cani domestici erano noti anche nel periodo sumerico, e i documenti consentono di seguirne la storia fin dal quarto millennio a. C. I cani assiri erano del tipo degli alani: venivano adoperati come segugi nella caccia, e sembra fossero originarî del Tibet; allevati anche durante la conquista dei Persiani che li apprezzarono, scomparvero successivamente. Tra gli uccelli va citata la colomba domestica, posseduta dai Babilonesi, che l'associavano alla dea Ishtar.
Infinite illustrazioni in camere mortuarie, bassorilievi e ossa permettono di stabilire quali fossero le razze degli animali domestici degli antichi Egizî i quali tennero in gran conto l'allevamento degli animali, fino dall'epoca prefaraonica. I bovi egiziani erano di origine nordica, senza gibbosità: si susseguirono razze a lunghe corna, altre a corna fatte a lira ed altre senza corna; verso il sud apparve anche lo zebù. I buoi erano attaccati all'aratro e aggiogati; servivano anche per trasporti di pietre e per la trebbiatura dei cereali. Non era trascurato il reddito del latte, sebbene piuttosto scarso; la mungitura era praticata da uomini: si legavano le zampe posteriori della vacca e un uomo teneva ferme quelle anteriori. Gli antichi Egiziani praticavano anche l'ingrassamento del bue, che ottenevano con un assoluto riposo. La domesticazione della pecora sembra abbia avuto inizio nel bacino del Nilo, fin dal sesto millennio a. C. In origine la pecora locale somigliava ad una capra con orecchie diritte, ma già dall'epoca della quinta dinastia appaiono individui dalle orecchie pendenti; più tardi furono introdotte le pecore asiatiche a coda adiposa, che lentamente scalzarono le altre razze, fino a sostituirle del tutto durante la XVIII dinastia. Gli antichi Egizî allevarono anche la capra, su larga scala, e poco il maiale; oltre al cavallo tennero l'asino, le cui tracce si possono seguire nel periodo preistorico e provano che questo animale precedette il cavallo, importato assai più tardi nel bacino del Nilo.
L'asino fu probabilmente addomesticato nell'alto Egitto, e servì come bestia da soma e per trebbiare cereali. Il dromedario fu introdotto dall'Arabia molto più tardi, circa nel sec. IV a. C. Gli Egiziani, per il loro grande amore alla caccia, curarono molto l'allevamento dei cani e specialmente quello dei veltri, che rendevano notevoli servigi nell'inseguimento delle antilopi e delle gazzelle; ebbero altresì un vero culto per il gatto, che apparve domestico in grande quantità durante la XII dinastia, ma del quale si sono trovate figure anche all'epoca della V dinastia. Gli Egiziani allevarono pure le oche, che ingrassavano artificialmente; avevano addomesticato anche l'oca del Nilo (Chenalopex aegyptiacus), specie più tardi scomparsa come animale domestico.
Il luogo d'origine degli animali domestici è stato verosimilmente diverso per ciascuna specie. Il cane ha certo origine poligenetica, ogni popolo essendo riuscito ad addomesticare la specie localizzata. Per quanto riguarda il bue, la pecora, e forse anche la capra, è possibile che in Europa questi animali derivino da specie selvatiche locali, mentre il maiale e il cavallo, sembra che siano stati importati dall'Asia. Tale fatto lascia supporre larghe migrazioni di popoli nell'era neolitica più recente, da Oriente verso Occidente, e permette di rendersi conto di alcune fonti di addomesticamento. L'uso del cavallo orientale deve avere indotto le popolazioni primitive dell'Europa centrale a valersi anche del cavallo selvatico occidentale, e deve aver loro insegnato l'arte di domarlo. Quanto al maiale, è probabile che l'allevamento in stato brado o semibrado abbia consentito l'incrocio tra scrofe domestiche, d'origine orientale, e il cinghiale selvatico europeo, il quale avrebbe tramandato in tal modo ai suoi discendenti domestici una parte dei proprî caratteri morfologici, creandosi un'associazione tra le forme corporee di questa specie e gl'istinti Iamiliari dell'orientale.
Se l'addomesticamento degli animali è reso possibile dal loro istinto consorziale e da una predisposizione costituzionale di alcune specie a vivere in stato domestico, è altrettanto certo che l'uomo ha perseguito, nell'allevamento, l'utile proprio, e ha scelto come ausiliarî quegli animali che potevano rendergli notevoli servigi, tenuto conto delle condizioni geofisiche e faunistiche di ciascuna regione. Così nell'Asia settentrionale ha avuto luogo l'addomesticazione della renna, nelle regioni desertiche dell'Oriente antico quella del cammello, nella Nubia quella dell'asino, nell'India quella del pollo, nel Perù quella del lama e dell'alpaca, nel Messico quella del tacchino. Si direbbe che l'uomo abbia avuto dovunque l'intuito di utilizzare tutte quelle specie che associavano l'offerta di un servizio o di un prodotto alla possibilità del loro sfruttamento. Il processo seguito dall'umanità per raggiungere tale scopo non è chiaramente delineato; si possono fare induzioni, coordinando gli elementi frammentarî, forniti dalla preistoria e dalla paleontologia, con ciò che sappiamo dei costumi degli animali viventi e dei fenomeni di adattamento all'ambiente, con i risultati della genetica sperimentale, e soprattutto con quanto ci è noto circa l'allevamento degli animali presso i popoli cosiddetti primitivi.
Rapporti etnologici. - L'antichità e la priorità della domesticazione del cane, oltre che dai rinvenimenti archeologici europei, è dimostrata dalla sua universale diffusione tra i popoli attuali. Soltanto gli estinti Tasmaniani possono rappresentare, all'epoca dei primi contatti con gli Europei, una fase di cultura anteriore alla domesticazione di questo animale. Esso fu dapprima tenuto per diletto, e più attaccato alla donna che all'uomo, come è tuttora in generale del dingo fra le tribù australiane, e come è dei tanti animali ammansiti e ammaestrati (scimmie, uccelli, ecc.) che abbondano nelle capanne delle tribù americane, e in genere dei primitivi agricoltori delle terre tropicali, senza che questi curino però o ottengano la riproduzione degli animali in cattività e senza che ne traggano alcun utile. In una seconda fase l'uomo riuscì a sviluppare nel cane le qualità che lo resero utile per la caccia, come ha fatto poi di qualche altro animale carnivoro (furetto, zibetto, gatto selvatico, leopardo, falco), ma nemmeno questa sua funzione è generale fra i primitivi attuali ed è certamente tardiva l'utilizzazione di esso per la guardia, tanto che ai cani indigeni dell'America mancava la capacità di abbaiare e i cani inselvatichiti la perdono, come tardivo è da giudicare l'uso del cane per il trasporto (popolazioni settentrionali dell'Eurasia e dell'America).
Una vecchia teoria etnologica (Adam Smith 1776, Westropp 1867, G. de Mortillet 1890) ha supposto che l'uomo sia passato direttamente dallo stadio della caccia a quello dell'allevamento e della pastorizia, precedendo questi dovunque l'acquisizione dell'agricoltura. È stato merito precipuo di Ed. Hahn dimostrare l'infondatezza di questa teoria, contro la quale, del resto, a cominciare da Alessandro di Humboldt, s'era già levata la critica. Le osservazioni del Hahn sulla difficoltà del passaggio diretto dalla caccia dell'animale al suo allevamento, sull'esistenza di un'agricoltura primitiva (la coltivazione alla zappa) che non fa uso di animali domestici, sulla diffusione parziale e tardiva dell'utilizzazione del latte e dei suoi derivati nell'alimentazione, sul carattere secondario e tardivo della specializzazione economica costituita dalla pastorizia nomade nell'Asia e nell'Africa, sono state generalmente accettate. Riserve e contrasti sono sorti più che altro contro l'affermazione che l'allevamento sorgesse dapprima nell'antica Babilonia, a servizio della coltivazione con l'aratro e in connessione con particolari idee religiose. Infatti l'anteriorità e l'indipendenza dell'allevamento animale rispetto all'agricoltura all'aratro sono nettamente stabilite dalla sua presenza, presso i coltivatori alla zappa, anche dove questi sono rimasti fuori da ogni contatto con le civiltà storiche dell'occidente (Oceania, America). In questi ultimi anni, tuttavia, la scuola dei cicli culturali ha risollevata l'ipotesi del carattere primario della domesticazione del bestiame e della sua origine dalle forme superiori della caccia, immaginando un "ciclo pastorale" sorto fin dall'età paleolitica nell'Asia centrale, e diffusosi poi con le forme proprie di una cultura pastorale e patriarcale suscitando anche per contatto, nei territorî marginàli (agricoltori alla zappa delle terre tropicali), la domesticazione di specie proprie a questi: maiale, gallinacei, ecc. (Schmidt e Koppers; v. culturali, cicli).
Occorre dir subito che essa non ha portato alcun fatto nuovo a suo sostegno e non ha distrutto nessuna delle vecchie obiezioni. In nessun luogo rinvenimenti preistorici di età e di cultura paleolitica hanno confermata la supposta antichità della domesticazione. V'ha di più. Quando in Europa è già ampiamente diffusa la civiltà neolitica, con l'agricoltura e i comuni animali domestici, persistono ancora nelle sue regioni nordorientali tribù che, per ragioni climatiche, non praticano l'agricoltura. I neolitici del lago Ladoga, p. es., hanno allora due razze di cani ma nessun altro animale domestico, e vivono sostanzialmente di caccia: e fra la selvaggina cacciata è anche la renna, che secondo lo Schmidt sarebbe stata fra i primi animali addomesticati. Molto più a sud, in varî luoghi dell'Asia anteriore, Susa, Anau, Hag???g???i Ābād, stazioni del tardo neolitico (è già noto il rame) mostrano insediamenti importanti di genti agricole prive di animali domestici, all'infuori del cane. La supposta cultura pastorale è dunque ancora ben lontana da quei luoghi. Si può dire, poi, che la preistoria non conosce gruppi esclusivamente pastorali per tutta l'età neolitica e anche per le successive: e dovunque gli animali domestici compaiono con l'agricoltura. vero però che nella maggior parte delle stazioni preistoriche le testimonianze dirette della coltivazione (grani, macine) scarseggiano; ma, anche nell'assenza di queste, il carattere dell'insediamento è indubbio. Così nei fondi di capanne del Reggiano, del primo Neolitico, nei quali la caccia appare ancora un'occupazione importante, la presenza del maiale accanto al bue, alla pecora e alla capra è sufficiente a dimostrare la natura sedimentaria e agricola dei villaggi.
Se veniamo ai fatti etnologici, è da rilevare anzitutto che la suppostati cultura pastorale non contiene nessun elemento primitivo e non mostra alcun rapporto con le culture dei cacciatori superiori (ciclo totemico) dalle quali sarebbe derivata. Un esempio tipico è la totale assenza di totemismo nei gruppi nettamente pastorali. La cultura di questi ha invece nell'Asia, dove sarebbe sorta, un contenuto strettamente affine a quello delle culture agricole circostanti, e in generale non ignora nemmeno l'agricoltura, ma indirettamente o direttamente se ne vale. Particolarità culturali non mancano, com'è naturale, dato il particolare modo di esistenza: la tenda, la lavorazione del cuoio, l'organizzazione della grande famiglia patriarcale. Ma non è in questi alcun carattere arcaico. Nell'Africa orientale e meridionale una civiltà pastorale ha veramente invaso il territorio di più antiche culture di agricoltori, fondendosi con queste e portandovi elementi di chiara origine settentrionale (asiatica) e recente. Soltanto ai margini estremi della grande area che alberga, nei territorî più adatti, la specializzazione pastorale, incontriamo gruppi etnici che hanno adottato l'allevamento e non l'agricoltura. Sono i pastori Ottentotti, dell'Africa australe, e gli allevatori di renne dell'Eurasia settentrionale. In questi gruppi la cultura conserva molti tratti primitivi. Per gli Ottentotti, lo Schmidt stesso ritiene che l'allevamento sia dovuto a contatti camitici, sia, cioè, un acquisto secondario. Per i pastori di renne dobbiamo ammettere un analogo e forse più tardo acculturamento. La renna è addomesticata completamente tra gl'iperborei più occidentali (Lapponi, Samoiedi, Altaici, ecc.), che vivono del suo latte e della sua carne, se ne servonti come animale da tiro e si valgono dell'aiuto dei cani da pastore; presso i Tungusi il cane non è già più usato a tale scopo e la macellazione non si pratica; presso i Coriaki e i Ciukci la renna è ancor meno addomesticata e la mungitura è impossibile; i loro vicini Camciadali non possedevano renne domestiche e davano la caccia a quelle selvagge. Questa graduale diminuzione dell'importanza e della completezza dell'allevamento, dalla Lapponia all'estremità orientale dell'Asia, mostrano un'arte in via di diffusione (tanto che non aveva passato lo Stretto di Bering), anziché uno stadio arcaico; e così pure l'uso della renna come animale da soma, da basto e da tiro fa pensare logicamente a un'importazione dell'uso che più a sud, e certo da molto tempo, si fa del cavallo.
Si può ritenere, in conclusione, che il cane sia l'unico animale che l'uomo abbia stabilmente associato alla sua esistenza nello stadio della caccia e della raccolta. Soltanto quando egli divenne sedentario, attraverso l'agricoltura alla zappa, ebbe inizio e sviluppo la domesticazione di altri animali. Lo Schmidt osserva opportunamente che per la patria dei principali animali domestici dell'Eurasia si possono distinguere tre zone: una zona nordica e centro-asiatica che comprende la renna, il cavallo e il cammello; una intermedia con la pecora e la capra; una terza, decisamente più meridionale, che presenta in prima linea il bue. Lo Schmidt ritiene che l'inizio della domesticazione sia partito dall'Asia centrale; appare invece molto più probabile che essa abbia preso origine nell'area più meridionale con il bue, il maiale, i gallinacei, e in connessione con la stabilità di sedi raggiunta presso le culture matriarcali dai primi agricoltori, e che la diffusione dell'arte sia avvenuta dal sud al nord. Certo, il progresso più importante fu compiuto con l'allevamento su vasta scala delle mandre necessitanti spostamenti periodici per la ricerca di pascoli freschi, e da questo derivò una specie di separazione geografica del lavoro (le oasi e la steppa, il piano e la montagna) e la formazione di società pastorali, recanti una cultura di tipo superiore e derivato, ma non priva di molti tratti specifici e dotata di una singolare forza di espansione territoriale. Ma ignoriamo se questo progresso sia avvenuto prima o dopo l'insorgenza, nell'Occidente, delle forme superiori dell'agricoltura. Nell'America precolombiana l'agricoltura alla zappa non aveva dato sviluppo ad alcuna forma di economia pastorale paragonabile a quella del mondo antico. Una parziale eccezione si aveva nei paesi delle Ande, dove gli Europei trovarono armenti di lama e di alpaca, forme domestiche rispettivamente del guanaco e della vigogna, due specie di camelidi, grandi la prima come un grosso asino e la seconda poco più di una grossa pecora. Il lama, che ha pelo corto, serviva come animaìe da soma, rendendo nei trasporti di alta montagna servizî superiori a quelli del mulo; dall'alpaca si ricava lana finissima. I Messicani avevano addomesticato il tacchino, che allevavano e facevano pascolare in grandi branchi, e gli abitanti della regione del Rio delle Amazzoni e dell'Orinoco l'anatra muschiata, nota oggi impropriamente in Europa sotto il nome di anatra di Barberia. Tra gl'indigeni della Polinesia e della Micronesia, l'allevamento del bestiame era limitato al maiale e al cane, quest'ultimo anche per l'alimentazione. Cook trovò molto diffuse le galline, che, a Tonga, vagavano in grandi schiere quasi selvatiche, e nell'Isola della Pasqua erano l'unico campione di animali domestici. È da notare infine che in Asia, negli altipiani centrali, è domestico il yack (Poëphagus gruniens); nelle regioni subtropicali dell'India e dell'Indocina, oltre il bufalo, sono allevati il gaur e il gayal. L'elefante è da considerare come animale familiare e ammaestrato, piuttosto che come animale domestico.
Bibl.: A. Smith, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, Londra 1776; Westropp, The sequence of the phases of civilisation, in Journal of the anthrop. Society, V, Londra 1867; G. De Mortillet, Origine de la chasse, de la pêche et de l'agricolture, Parigi 1890; E. Grosse, Die Formen der Familie und die Formen der Wirtschaft, Lipsia 1896; Ed. Hahn, Waren die Menschen der Urzeit Zwischen der Jägerstufe und der Stufe der Ackerbauer Nomaden?, in Ausland, IXIV, Stoccarda 1891; id., Die Haustiere und ihre Beziehungen zur Wirtschaft des Menschen, Lipsia 1896; id., Das alter der wirtschaftlichen Kultur, Heidelberg 1905; id., Von der Hacke zum flug, Lipsia 1914; v. Hehn, Kulturplfanzen und Haustiere, 3ª ed., Berlino 1911; W. Schmidt e W. Koppers, Völker und Kulturen, Ratisbona s. a. (1924), pp. 502-538; W. Koppers, Die ethnologische Wirtschaftsforschung, in Anthropos, X-XI, Mödling 1915-16; F. Krause, Wirtschaftsleben derl Völker, Breslavia 1924.