Vedi DOMIZIO ENOBARBO, Ara di dell'anno: 1960 - 1994
DOMIZIO ENOBARBO, Ara di (v. vol. III, p 169)
Gli studi relativi a questo monumento sono innumerevoli, ma non si è raggiunta ancora un'opinione concorde sulla sua classificazione stilistica e storica. Tale difficoltà interpretativa è giustificata dalla particolarità del monumento, formato, come è noto, da un fregio d'ispirazione greca con tìaso marino e da un rilievo storico romano. La lettura di quest'ultimo è generalmente accettata (tranne Hafner e Zevi) come una scena di census e di lustratio. La narrazione procede da sinistra verso destra: inizialmente si vede un gruppo di cittadini e di funzionari impegnati nel censimento; segue, separata da due militi, la scena del sacrificio. Intorno all'altare si trovano il censore, due officianti, due musici e il dio Marte, al quale il sacrificio è destinato; dall'altro lato alcuni servitori recano gli animali da sacrificare. Il corteo è accompagnato da un togato che ha la corona sul capo e porta il vessillo. Due soldati e un cavaliere, che si appresta a montare in sella, concludono il fregio. Del tutto controversa è invece l'interpretazione delle singole figure; così, p.es., il personaggio seduto con il «libro» viene visto da alcuni come semplice scriba (Domaszewski, Kahler), come iurator a cui è affidato il censimento da altri (Nicolet, Torelli) o come censor (Ogilvie). In maniera diversa è di conseguenza interpretata anche la figura del secondo togato seduto, identificato come censor (Nicolet, Torelli), o come iurator (Domaszewski, Kähler). Sulla base del ritratto non si può stabilire se il personaggio seduto e quello sacrificante siano la stessa persona, dal momento che la testa di quest'ultimo è di restauro. Anche il vessillifero è stato da alcuni interpretato come un altro censore, oppure come un secondo sacrificante (Kähler).
A causa dei numerosi restauri e delle rotture del fregio anche altre questioni di dettaglio non possono oggi essere risolte in maniera univoca. È comunque certo che il rilievo storico raffigura due avvenimenti diversi nello spazio e nel tempo. Ma non si tratta di una banale giustapposizione. Grazie a una sapiente composizione e alla ricchezza di movimento delle figure si crea, se confrontato con altri rilievi storici, un quadro vivido e unitario. Si è dunque tentati di interpretare l'unità compositiva come espressione di un'unica situazione: così il braccio alzato di uno dei due soldati è stato letto come un gesto di aposkōpèin, come se stesse guardando in lontananza. Si avrebbe così un preciso indizio circa la situazione topografica dei due diversi avvenimenti: un censimento nella Villa Pubblica, nell'ambito dell'odierna Via delle Botteghe Oscure, e una lustratio all'ara Maxima, presso Palazzo Venezia (Torelli). In realtà il soldato non guarda affatto in lontananza, bensì afferra l'orlo del suo elmo, forse per raddrizzarlo: si tratta verosimilmente di un segnale, un ordine di marcia per i soldati che seguono e che sembrano in procinto di allinearsi. Anche il suo volgersi in direzione della scena del censimento è probabilmente da interpretarsi come un espediente per comporre i diversi gruppi.
Un'altra chiave esegetica del rilievo propone un nesso concettuale tra i soldati rappresentati e le cinque classi sociali coinvolte nel censimento. L'eventuale obiezione che, oltre al cavaliere, dovrebbero essere raffigurati cinque soldati, mentre il rilievo ne mostra solo quattro, è stata risolta considerando uno dei personaggi in abito civile come rappresentante della «classis inermis» (Torelli). Questa interpretazione non tiene conto però del fatto che le quattro figure, che dovrebbero rappresentare classi diverse, hanno le stesse armature. Non sembra sufficiente, infatti, spiegare questa omologazione come conseguenza della riforma dell'esercito del 125 a.C. o di quella effettuata da Mario nel 109 a.C., poiché di una tale misura nella riforma mariana non v'è documentazione precisa.
Un altro problema ampiamente dibattuto è basato sulla compresenza di un motivo ispirato alla mitologia greca e di un altro di soggetto storico romano. Questo fatto, unico nell'ambito dell'arte antica, può considerarsi risolto. Fino a oggi si è cercato di intendere l'evidente differenza stilistica come conseguenza di due diverse officine. Altri hanno considerato la realizzazione del rilievo quale opera degli stessi scultori eseguita sulla base di diversi prototipi; si è pensato anche all'opera di artisti neoattici attivi a Roma (Coarelli). La soluzione potrebbe essere più semplice: la scena del tìaso marino e quella del censimento potrebbero non essere frutto di un progetto unitario. Il rilievo del censimento potrebbe essere stato aggiunto successivamente al preesistente rilievo con tìaso marino: quest'ultimo potrebbe essere, cioè, un pezzo riutilizzato (Wünsche). Questa conclusione deriva da una serie di osservazioni tecniche e stilistiche: 1) La diversità del marmo: nel rilievo del censimento è sicuramente pario, mentre in quello con tìaso marino ha ampie venature azzurre ed è dunque di origine microasiatica. 2) Vi sono alcune differenze anche nella tecnica del rilievo e nella sua esecuzione: nella scena del censimento tutti gli arti aggettanti, le braccia, le gambe, ma anche la lancia di Marte, sono collegati con il fondo del rilievo tramite dei ponticelli, e non è impiegato il trapano, mentre il lato lungo del tìaso marino mostra l'impiego di una raffinata tecnica di scalpello, numerose forme di forte plasticità e un frequente uso del trapano. 3) Il rilievo marino possiede una curvatura orizzontale, e perciò il fondo del rilievo e le figure del lato lungo seguono una linea convessa particolarmente pronunciata al centro. Si tratta di un espediente ingegnoso con cui si vuole evidenziare un movimento centripeto dell'intera composizione. Il fregio con il censimento non si avvale invece di questo espediente, per quanto mostri un analogo movimento centripeto. 4) Nel tìaso marino le basi e i capitelli dei pilastri sono identici tra loro ma si differenziano notevolmente da quelli del rilievo censorio. 5) Riadattamenti antichi sulle parti laterali del fregio del tìaso denunciano che per applicare le lastre censorie, le enormi pinne terminali del mostro marino sono state assottigliate e ridotte. Questo dato è evidente, per quanto ben riconoscibile soltanto sull'originale poiché la rappresentazione su questi lati è modificata anche da interventi in età moderna.
I diversi rilievi sono stati radicalmente ridotti di spessore probabilmente già poco dopo il loro rinvenimento, avvenuto intorno al 1600. Alle quattro lastre angolari sono state asportate, in questo modo, parti della rappresentazione. Soltanto nel rilievo con il tìaso marino questi frammenti sono stati conservati, mentre quelli pertinenti alla lastra con la scena del censo sono andati perduti. Per questo motivo non è più possibile una diretta congiunzione dei rilievi; tuttavia la loro reciproca appartenenza non può essere messa in discussione, poiché parti della raffigurazione del tìaso marino (le pinne terminali) sono presenti anche sui bordi laterali della lastra censoria.
Nel reimpiego del rilievo con tìaso i Romani hanno apportato soltanto minime modifiche, mantenendo evidentemente anche le dimensioni originarie del monumento. Questo fatto depone a favore dell'ipotesi già avanzata, che i rilievi appartenessero a una base, forse posta nella sua prima collocazione davanti a un muro, e quindi soltanto con due brevi blocchi angolari, senza il lato posteriore. In alternativa bisogna ammettere che quest'ultimo fu sostituito a Roma per la nuova sistemazione. Teoricamente si potrebbe anche ipotizzare che il tìaso marino fosse stato commissionato contemporaneamente al rilievo censorio, ma realizzato altrove, p.es. ad Atene. In questo caso un errore di progettazione avrebbe reso necessari dei lavori di correzione eseguiti a Roma. Contro questa ipotesi interviene però il taglio di giunzione angolare del rilievo con tìaso marino, che non rispetta minimamente la composizione. Sono state così eseguite divisioni poco organiche delle figure, quali non sarebbero mai state realizzate per un'opera destinata al trasporto. Le lastre del tìaso marino, contrariamente a quelle del rilievo censorio, sono lavorate a blocchi congiunti, per così dire, in situ.
La base fu lesionata durante il suo trasporto a Roma o nella sua nuova collocazione, e restaurata già in epoca antica. Così, tra l'altro, il tridente di Posidone e la buccina del tritone, che inizialmente erano stati scolpiti insieme alla figura marmorea, sono stati sostituiti rispettivamente da un tridente e da un doppio flauto in bronzo.
Il fregio del tìaso marino può essere, dunque, datato solo su base stilistica: confronti con il fregio di Telefo (testa di Posidone e testa di Teuthras) spingono a proporre una datazione intorno alla metà del II sec. a.C. Pertanto la cronologia consueta del rilievo censorio (tra il 115 e il 70 a.C.) rimane valida. Va invece analizzata con la dovuta cautela la pur giusta affermazione, avanzata tra l'altro da Domaszewski, che «il contenuto delle rappresentazioni dei due rilievi individua la personalità del dedicante». Purtroppo l'identificazione del censore cui si deve l'erezione del monumento resta incerta; negli ultimi tempi sono state fatte le seguenti proposte: L. Gellio, censore nel 70 a.C. (Kahler; e con altre motivazioni Wiseman); M. Antonio, censore nel 97 a.C. (Coarelli) e Domizio Enobarbo, censore nel 115-14 a.C. (Torelli).
Sulla base di ricerche di archivio F. Coarelli ha ritenuto di poter confermare che i rilievi furono rinvenuti, come da sempre ipotizzato, sotto la Chiesa di San Salvatore in Campo, costruita sopra un antico tempio riconosciuto come il Tempio di Nettuno dedicato da L. Domizio Enobarbo: da qui anche il nome «Ara di Domizio Enobarbo» assunto dal monumento. Nell'elenco delle pietre antiche rinvenute durante la costruzione della chiesa, egli ha riscontrato una curiosa lacuna di dodici numeri, che ha posto in relazione con le dodici lastre che compongono l'odierna base. È però chiaramente dimostrabile sulla base di osservazioni tecniche che i rilievi si ruppero solo successivamente al loro rinvenimento, e che in origine erano in numero di nove. Di conseguenza l'argomento della coincidenza numerica va accolto con la dovuta prudenza.
La recente ipotesi alternativa (Zevi, 1976) di identificare il tempio sotto San Salvatore con quello di Marte, divinità che riceve il sacrificio sul rilievo principale, offre nuova consistenza all'opinione vulgata che le lastre siano state ivi rinvenute. Il fregio con tìaso marino alluderebbe quindi a un trionfo navale, mentre il fregio con census avrebbe un duplice riferimento alla divinità venerata nel tempio e alla plausibile attività censoria del magistrato dedicante.
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(R. Wünsche)