Vedi DOMIZIO ENOBARBO, Ara di dell'anno: 1960 - 1994
DOMIZIO ENOBARBO, Ara di
Con questo termine, ormai tradizionale, si indicano quattro grandi serie di rilievi in marmo pentelico, che si trovavano nel sec. XVII a Roma nel palazzo Santacroce e che, nella vendita della collezione del Cardinale Fesch, emigrarono oltre Alpe: una serie al Museo del Louvre, le altre tre alla Gliptoteca di Monaco.
Su questi ultimi è rappresentato un corteggio marino: al centro del fregio più lungo si vedono due giovani Tritoni, che, suonando cetra e buccina, trascinano un carro, su cui siede la coppia divina di Nettuno e Anfitrite. Attorno si svolge il thìasos dei Tritoni e delle Nereidi cavalcanti mostri del mare; con gruppi analoghi sono decorate le lastre minori. Il rilievo del Louvre è di soggetto molto differente; la parte centrale è occupata da una scena solenne di suovetaurilia: a sinistra dell'ara sta l'alta figura del dio Marte, armato ed appoggiato all'asta; gli è contrapposto a destra un offerente togato, che si accinge, velato capite, al sacrificio; due flautisti e gli assistenti del culto attorniano l'ara e i due personaggi. A destra seguono gli animali accompagnati dai vittimarî, da un personaggio che porta rami d'albero e da un altro che porta un vessillo; vengono infine due soldati e un cavaliere. All'estremità sinistra si osserva una scena più statica: un funzionario seduto scrive su una tavoletta, mentre altre uguali sono deposte vicino a lui; un togato gli parla e un altro sembra in attesa presso un secondo impiegato. Due soldati, volgendosi l'uno a destra e l'altro a sinistra, collegano questa scena a quella del sacrificio. Il monumento (ricostruito mediante i calchi dei quattro rilievi nel Museo della Civiltà Romana, a Roma), forma un rettangolo, i cui lati misurano m 5,65 × m 1,95, con m 0,82 di altezza.
Numerosi tentativi si sono susseguiti intorno al singolare monumento per chiarirne la natura e la funzione, il significato del fatto storico rappresentato nel rilievo del Louvre, in relazione al soggetto mitico delle lastre di Monaco, la datazione dell'opera e il suo inquadramento agli albori dell'arte romana. Per primo il Furtwängler lo interpretò come un'ara, che sarebbe stata collocata sulla gradinata di un tempio, i cui avanzi erano stati visti sotto la chiesetta di S. Salvatore in Campo, presso il palazzo Santacroce. Questo sarebbe stato il tempio di Nettuno, in Circo Flaminio dove Gn. Domitio Enobarbo aveva collocato, a detta di Plinio (Nat. hist., xxxvi, 26), dopo la vittoria navale di Brindisi del 42 a. C., il grande gruppo del corteggio marino di Tetide e Achille diretti alle Isole dei Beati, opera di Skopas. Si conosce infatti una moneta di questo generale, coniata nel 42-41, con la figura di un tempio e la leggenda NEPT. Il fregio storico rappresenterebbe la missio exercitus con i veterani che attendono il diptycon del congedo, e la lustratio in relazione a tale cerimonia. La provenienza dei rilievi essendo stata accettata come dato di fatto, si susseguirono le ipotesi circa il personaggio sacrificante. Per il Domaszewski l'ara fu eretta da un altro D. E., censore nel 115 a. C., per commemorare la sua vittoria sui Celti, alla confluenza del Rodano, e il censimento fatto durante la sua carica. Invece il Sieveking credette di vedere nel rilievo storico un ricordo della carica di censore tenuta dal bisavolo, esaltata dal nipote, il quale avrebbe fatto scolpire il tutto come basamento per il gruppo di Skopas. Questa ipotesi incontrò vive critiche, mentre l'idea del censimento e quella del lustrum furono accettate, or l'una, or l'altra, dagli studiosi e perfino ambedue insieme. Il monumento fu attribuito, ora al primo, ora al secondo D. E.; l'Anti pensò a P. Servilio Isaurico, censore nel 54 a. C., che avrebbe così manifestato a Nettuno la sua riconoscenza per la vittoria sui pirati cilici. Il Piganiol vi scorse un episodio, "la patria in pericolo", avvenuto nel 107 al tempo di Mario; il Ducati propose un altro generale che aveva combattuto i pirati e che, nel 70 a. C., aveva ricoperto la censura: Gn. Cornelio Lentulo Clodiano. Una opinione singolare espresse il Mattingly: si tratterebbe dell'arruolamento dei cittadini nei registri della colonia di Narbo Martius, di cui fu uno dei commissari nel 118-117 Domizio Enobarbo. Il Castagnoli ha obiettato che non sappiamo in realtà da dove provengano i rilievi; inoltre il tempio sotto S. Salvatore in Campo, periptero, esastilo, con gradini intorno, situato nel Campo Marzio, non può essere quello di Nettuno, che nella moneta appare di tipo italico, tetrastilo, ad alto podio, senza peristasi, ed era in Circo Flaminio. I rilievi si riconnettono, sempre secondo il Castagnoli, al tempio delle Ninfe in Campo Marzio, che era anche l'archivio del censo; il corteggio marino è in onore di Nettuno, quale divinità delle acque correnti e delle Ninfe, figlie dell'Oceano e divinità delle acque anch'esse; il sacrificio a Marte è in connessione col censo e con l'ara Martis, che sorgeva vicino, nella Villa Publica. Nel rilievo del Louvre è rappresentato il corteo, che si accostava all'ara in occasione del solenne rito lustrale, preceduto da un araldo con i rami e aperto dal censore, che doveva portare il vexillum (Varro, De ling. Lat., vi, 93).
Nell'ultimo trentennio esperti conoscitori dell'arte repubblicana si sono sforzati di stabilire la cronologia valendosi, sia dell'attento esame dei dati antiquarî, come le armi e le toghe, sia dell'esame stilistico comparativo; tuttavia le datazioni proposte oscillano di tre quarti di secolo. Il Weickert collocava la cosiddetta Ara di D. E. nel periodo preaugusteo; il Goethert la faceva risalire al 115 a. C.; il Vessberg preferiva il primo venticinquennio e il Castagnoli all'incirca la metà del I sec. a. C. Quest'ultimo ha inquadrato i rilievi nell'attività di artisti neoclassici, operanti al tempo e forse sotto l'influsso di Arkesilaos. Nel tentativo di ricostruzione della figura artistica di Skopas minore il Mingazzini li ha collocati circa cinquant'anni prima, nell'orbita di quello scultore. La Ryberg ha respinto l'ipotesi del Castagnoli.
Bibl.: A. Furtwängler, Intermezzi, Lipsia 1869, p. 35 ss.; id., Glyptothek zu München, Monaco 1900, p. 248 ss.; A. Domaszewski, in Archiv für Religionswissenschaft, 1909, p. 77 ss.; E. Michon, Les bas-reliefs historiques romains du Louvre, in Mon. Piot, XVII, p. 147 ss.; J. Sieveking, Der sogennante Altar des Cn. Domitius Ahenobarbus, in Oesterr. Jahresh., XIII, 1910, p. 94 ss.; id., Ein römisches Relief aus d. Zeit Caesars, in Festschrift Arndt, Monaco 1925, p. 49 ss.; id., in Gnomon, VIII, 1932, . 417 ss.; C. Anti, Il presunto altare di Domizio Ahenobarbo, in Atti Istit. Veneto, LXXIV, 1924-25, p. 473 ss.; E. Loewy, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlung in Wien, 1928, p. 35 ss.; F. W. Goethert, Zur Kunst der römischen Republik, Berino 1931, p. 7 ss.; H. Fuhrmann, Philoxenos von Eretria, Gottinga 1931, p. 365; H. Mattingly, Some Historical Coins of the Late Republic, in Journal Rom. Stud., XXII, 1932, p. 233 ss.; A. Piganiol, "Ara Martis", in Mél. Éc. Franc., II, 1934, p. 28 ss.; P. Ducati, L'arte in Roma, Bologna 1938, p. 92; O. Vessberg, Studien zur Kunstgeschichte der röm. Republik, in Acta Archaeologica, 1941, pp. 152, 181 ss.; P. E. Arias, Storia della Scultura Romana, Messina 1941, p. 30 ss.; F. Castagnoli, Il problema dell'ara di Domizio Ahenobarbo, in Arti Figurative, I, 1946, p. 181 ss.; P. Mingazzini, Scopas minore, in Arti Figurative, II, 1946, p. 145 ss.; M. Borda, Arcesilaos, in Bull. Com., LXXIII, 1949-50, p. 193 s.; F. Scott Ryberg, Rites of the State Religion in Roman Art, in Mem. Am. Ac., XXII, 1955, p. 28 ss.