Donati
Antica famiglia fiorentina cui di recente si è voluto dare un'ascendenza romana: " romanos attigit avos ", Si legge in un manoscritto Passerini; ma i Donati non ebbero avi romani, e neppure potenza di origine feudale, per quanto storici del secolo scorso li affermassero, falsamente, signori di castelli nel contado.
Già nel sec. XI avevano raggiunto un sì alto grado di ricchezza fondiaria da poter pensare alla fondazione di enti di beneficenza. Il 29 ottobre 1065 un tal Fiorenzo, detto Barone, del fu Domenico, istituì un ospedale nel luogo Fulceraco, nella zona di Firenze che oggi porta il nome di Borgo Pinti, non lungi dalla chiesa di S. Pier Maggiore. Quest'ospedale quando fu sottoposto all'abbazia vallombrosana di S. Paolo di Razzuolo in Valdisieve prese a chiamarsi di S. Paolo con l'aggiunta di Pinti dal luogo dov'era stato eretto. Il Fiorenzo capostipite ebbe un figlio pur esso di nome Fiorenzo, che accrebbe la dotazione dell'ospedale donando altri beni il 18 dicembre 1088. Il medesimo Fiorenzo, " figlio Baroni ", col consenso del padre, il 31 ottobre 1076 aveva consentito a che una tal Clarizia del fu Romolo rinunziasse al monastero di S. Felicita un terreno alla Romola; e poi, indicato come Fiorenzo del fu Barone, risulta confinante di un terreno a Montelatico nel suburbio orientale di Firenze. Pazzo di Fiorenzo " Baruni " comprò il 30 giugno 1159 delle terre per conto dell'ospedale di S. Pier Maggiore. Più tardi, l'8 agosto 1165, Donato figlio di Pazzo comprò dei terreni per donarli all'ente pio: questo Donato fu l'eponimo della stirpe.
Questi antichi Donati possedettero molti beni nella zona fuori della porta che dal monastero di S. Pier Maggiore prese il nome, nei luoghi detti Pinti e Montelatico, i quali beni giungevano sino al torrente Affrico; però avevano preso dimora all'interno della cinta murata della città (come par chiaramente dimostrato da carte dell'anno 1061 dove si parla della pur vicina chiesa di S. Procolo e di suoi beni, confinanti con " Baroni de Sancto Martino ") dentro la Porta di S. Pier Maggiore, sul rovescio dell'abbazia di S. Maria e di fianco alla chiesetta di S. Martino che già allora si chiamava del Vescovo e dipendeva dall'abbazia predetta. Forse a questi Donati appartengono i documenti dell'agosto 1072 e del febbraio 1073 riferentisi ai fratelli Vivenzo e Baroncello figli di Domenico per terreni da essi presi a livello dall'abbazia di S. Maria e situati " non longe de ipsa ecclesia Sancti Martini ". Un Fiorenzo del fu Vivenzo, che, forse, nel suo rifaceva il nome dell'avo, si trova confinante con terra e vigna a Montelatico nel 1107. Degno di attenzione anche il Guglielmo " filii Baroni de Vadolongo ", teste a un atto del novembre 1072; al qual Guglielmo si può accostare suo fratello Bernardo " filio Baroni de Vadolongo ", che appose il suo signum manus a una carta del 18 aprile 1090. Barone di Vadolongo, cioè di Varlungo, non fu altro che Fiorenzo detto Barone. Varlungo è anche oggi una località sull'Arno, alla sinistra del fiume, a monte della città. Appunto in questa zona i Donati ebbero i possessi più ricchi ed estesi, nei luoghi detti Girone, Quintole, Coverciano, Rovezzano. Le chiese di Girone e Quintole furono di loro patronato, segno che loro stessi dovevano averne curata la costruzione. A Castiglione della Rufina nel Mugello, i Donati godevano il giuspatronato della chiesa di S. Pietro de Casis; e così apparteneva alla famiglia quello sulla chiesa di Acone, luogo di origine della famiglia Cerchi. In quelle località sull'Arno e sulla via per Arezzo, assai vicine alla città, i Donati avevano costruito case di abitazione più che decorose, come un ‛ palatium ' al Girone, con annesse casette con gualchiere. Questi piccoli opifici lanari e i mulini sfruttavano la forza motrice delle acque dell'Arno, e i loro redditi rappresentavano un non indifferente cespite a rincalzo delle entrate puramente agrarie.
In città, le case dei Donati e delle altre famiglie da loro diramate e costituenti la consorteria come quelle dei Giandonati, Uccellini, e in primo luogo i Calfucci - pur essi ricordati nella Commedia (Pd XVI 106) - erano intorno a una piazzetta o gravitavano verso una piazzetta che si chiamò la corte dei Donati (oggi denominata piazza dei Donati, alla quale si accede da via del Corso mediante una volta).
Nel Trecento, la famiglia possedeva anche una torre con casa su via S. Martino (ora via D. Alighieri), congiunta con muro comune alla casa che, dopo essere stata di Geri del Bello, passò ad Alighiero Il; e ove nacque e abitò D. e quindi i suoi eredi.
Di Vincinguerra, figlio dell'eponimo della famiglia, Donato del Pazzo (1158), bisogna ricordare che patrocinò nel 1186 la fondazione dell'ospedale dei lebbrosi di S. Iacopo a S. Eusebio sulla piazza fuori le mura detta del Prato. Egli partecipò anche al governo cittadino e fu console dei militi insieme con Sizio Butrigelli, come da documento del 29 ottobre 1204.
Fratello di Vinciguerra fu l'Ubertino di Pd XVI 119. Da Ubertino discesero un altro Donato e poi messer Manetto, padre di Gemma, moglie di Dante. Da Vinciguerra discese il Forese padre del messer Simone che a sua volta generò messer Corso, Piccarda e Forese detto Bicci Novello, amico di Dante.
Assai estesi dovettero essere i beni immobili che la famiglia aveva avuto in concessione livellaria dalla chiesa di S. Martino, ma poco zelante e precisa fu essa nel versamento dei canoni annuali, se quel medesimo prete Tolomeo, che per causa dell'ombra data dai rami sporgenti di un fico citò Alighiero bisavo di D. e suo fratello Preitenitto (19 maggio 1189), si presentò davanti ai consoli della curia di S. Michele a lamentare come da ben 20 anni Magalotto, Dietaiuti e Ranieri, tre figli di Donato del Pazzo, mancavano di pagargli dei canoni per terreni nel Borgo di S. Piero di Firenze e a Montelatico, luogo Cafaggio.
La consorteria dei Donati, oltre che nel popolo di S. Martino, si estese in altri popoli, o parrocchie, attigui, come quelli di S. Margherita, in modo particolare di S. Maria Alberighi, di S. Procolo e persino di S. Simone. Come avevano curato di fare nelle loro campagne, i Donati, restaurandola, guadagnarono il patronato sulla chiesa di S. Margherita, nella quale tennero la loro sepoltura. Sepolture essi ebbero anche in S. Maria del Fiore, allora S. Reparata e sotto le volte della basilica francescana di S. Croce. Quando le famiglie più bellicose di Firenze cominciarono a depositare in quest'ultima i loro trofei di guerra, anche i Donati vi posero i loro nella crociera dal lato della sagrestia, consistenti in sei bandiere, uno stendardo e tre sopravvesti da cavallo.
Le loro case principali furono in via Por S. Piero, quasi di faccia a quelle dei Portinari e dei Ricci; la torre che possedevano presso S. Biagio portava la loro arme, la quale, obliterata dal tempo, vi venne sostituita con quella del ramo della famiglia che prese il cognome di Cocchi Donati oppure di Cocchi dei Donati.
A partire dal primo decennio del Duecento, i Donati furono in primo piano a decidere fatti determinanti nella vita politica e nell'assetto sociale di Firenze; essi con i loro consorti furono fieramente guelfi, e come tali una parte di loro preferì abbandonare la patria dopo la vittoria ghibellina di Montaperti. Durante gli anni dell'esilio, soffrirono danni da parte degli avversari vittoriosi i figli di messer Forese di Vinciguerra, cioè Simone, Buoso e Taddeo, con la distruzione di due torri con casa nel popolo di S. Maria Alberighi, e di una torre e due palazzi con intorno case murate a un sol piano e due molini pensili, beni quest'ultimi posti nelle loro campagne nel popolo di S. Piero di Quintole, mentre danni gravi riportarono i consorti Uccellini nei loro immobili nel popolo di S. Pier Maggiore, in Pinti, tanto dentro che fuori la seconda cerchia di mura. Rientrati dall'esilio dopo la battaglia di Benevento furono in qualche modo risarciti dei danni sofferti con beni degli avversari che alla lor volta avevano preso la via dell'esilio.
Al momento del rientro, c'era stato un tentativo di pacificare gli odi faziosi con matrimoni tra casate degli opposti partiti. Così, al dir del Malispini, " messer Simone Donati diede per moglie la figliuola a Nerozzo degli Uberti ". Ma non fu un ambiente tranquillo quello di Firenze dopo la vittoria guelfa e l'esodo dei ghibellini, perché la discordia entrò anche tra i vincitori; le cause furono molteplici, ma qualche cronista dà la colpa principale all'essersi ‛ ingrassati ' i vincitori sopra i beni dei ghibellini usciti. Così un'inimicizia capitale nacque tra Donati e quei Pazzi di Firenze che forse appartenevano al loro stesso ceppo; una pacificazione fra loro fu promossa dal cardinal Latino: tali paci private precedettero quella generale del gennaio 1280, nella quale vari Donati entrarono, come expromissores della leale osservanza dei patti tra i partiti.
Il periodo che si aprì col rientro dall'esilio nel 1268 e si concluse con la tragica morte di messer Corso, trafitto da lancia catalana il 6 ottobre 1308 presso l'abbazia di S. Salvi, in quella piana dove aveva avuto origine la sua stirpe, forse mentre cercava scampo e rifugio in uno dei fortilizi costruiti dalla sua gente in mezzo ai possessi aviti, fu, per la casa dei Donati, un periodo di grave decadenza, morale soprattutto. È un quarantennio pieno di figure moralmente deteriori; la voce popolare accusava messer Simone di aver furato l'eredità dello zio Buoso di Vinciguerra con l'inganno ordito con la complicità di Gianni Schicchi; altri imputava quel misfatto a Taddeo di messer Forese, e forse con più ragione; notori ladri furono messer Cianfa e messer Buoso di Forese, Forese di messer Simone, l'intrinseco di D., ‛ piuvico ladrone '; usurpatore di beni pubblici e privati il feroce messer Corso di messer Simone che " nonne scusava moneta " e " con l'animo sempre volto al malfare ", come lo dipinse Dino Compagni. Per tutti questi misfatti e per il loro continuo partecipare a ogni fatto di sangue e a ogni ribalderia si crearono la triste nomea di " Malefami ", di " uomini dalla cattiva fama ".
Nel 1282 Firenze ebbe un nuovo assetto del governo, fondamentalmente democratico, con l'istituzione del priorato, riservato agl'iscritti alle Arti, cioè alle corporazioni artigiane, al popolo produttivo. I Donati chiusi nel guscio della loro alterigia di cavalieri non vollero mai iscriversi alle Arti e rimasero senz'altro esclusi dal governo della città.
Per quanto la famiglia fosse proprietaria di botteghe, nessuno dei Donati esercitò un mestiere o una professione di tipo liberale, se non qualche volta quella di giudice, vale a dire di avvocato.
Stettero lontani con cura da tutto ciò che richiedeva studio, applicazione, costanza: di qui la loro assenza dal campo della cultura, letteratura compresa; astrazion fatta per quel Forese di messer Simone che battagliò con D. a colpi di sonetto in un linguaggio che è un vero gergo, poco comprensibile, addirittura ermetico. Unica eccezione alla lontananza dei Donati dal mondo degli affari, quel Corso di Forese che col fratello Pietro fu socio dei Frescobaldi nel Tirolo occupandosi in prevalenza di traffico del denaro. Le risorse dei Donati provenivano da tre vie: i redditi delle terre in campagna e degl'immobili nella città; il mestiere delle armi, non prestando o mercanteggiando la forza del proprio braccio, ma piuttosto come comandanti di truppe, in modo particolare quando la lotta politica sul teatro toscano richiedeva valenti e fidi condottieri; infine, mediante lo sfruttamento della qualifica di cavaliere che molti di loro ricoprivano, andando in città vicine e lontane a regger cariche di prestigio come di podestà, di capitano e via dicendo. È pressoché ignoto che messer Corso tenne la carica di podestà della Parte nera di Pistoia in esilio.
La promulgazione degli Ordinamenti di Giustizia (gennaio 1293) ascrivendo i Donati tra le 63 famiglie escluse dal potere e costrette al sodamento, rese ancor più rigida e completa la loro esclusione dal governo; da allora potremo trovare qualcuno di loro con piccole cariche nel contado fiorentino o come rettori in città vicine. Ciò non li tolse dal giro della lotta faziosa cittadina, tanto più ormai che si era nel periodo della sfrenata violenza di messer Corso, e del divampare dei suoi odi. Gli odi erano in special modo acri tra questo e Vieri dei Cerchi, di quella famiglia, quindi, che era vicina dei Donati con le sue case in città e con i possessi terrieri in campagna, e forse da questa stessa vicinanza sorsero gli screzi tra loro. La battaglia civile del calendimaggio 1300 tra opposte schiere armate fu determinante nella storia di Firenze e per conseguenza della Toscana, perché segnò la scissione della cittadinanza e della Parte guelfa in Bianchi e Neri. Molti altri episodi di sangue resero la divisione faziosa irrimediabile e nefasta alla repubblica. Capeggiarono i Donati la fazione dei Neri, l'avversa dei Bianchi, i Cerchi, e D. stesso pagò con il lungo esilio e la morte lontano da casa l'aver aderito alla Parte bianca. La tragica morte di Corso Donati segnò anche una tappa del declino della famiglia, la quale, pur non passando tra quelle di secondo rango, vide declinare le sue fortune. Darà un ultimo sprazzo di vitalità e segnerà un punto importante nella storia fiorentina la partecipazione di due dei figli di messer Corso alla cacciata del Duca d'Atene (1343).
Alla fine del Trecento o ai primi del secolo successivo si estinse la discendenza dell'antico capo dei Neri, ereditandone i beni e il nome la famiglia dei Cocchi Donati. Intanto col progressivo dissolversi del significato delle fazioni e dell'attualità degli Ordinamenti di Giustizia si era svolta una legislazione tesa a moderarne l'asprezza e a richiamare nel giro della politica cittadina alcune famiglie rimaste escluse per il disposto dei medesimi Ordinamenti. Così si dette modo a membri di famiglie magnatizie di esser dichiarati di Popolo con i loro discendenti, cambiando cognome e insegna. È noto, ma non si conosce la data, che Niccolò di Foresino ottenne di chiamarsi dei Baccellieri, non avendo egli parentela con qualcuno di casa Donati sino al sesto grado. Si possiede anche la descrizione del suo nuovo stemma. Però egli continuò a chiamarsi dei Donati, rimanendo dei Baccellieri in quanto agli effetti degli Ordinamenti di Giustizia. Così si conosce lo stemma ma non il cognome che assunse Geri del fu Simone di Buoso il 9 ottobre 1361; i consorti Giandonati l'11 ottobre assunsero il cognome di Ridolfeschi della Torre; più tardi, il 19 febbraio 1379 (= 1380), Galeazzo del fu messer Giovanni assunse il cognome di Bellincioni; toccò poi il 20 novembre 1393 ad Amerigo del fu Guido che volle chiamarsi degli Amerighi.
Ma ormai dell'antica potenza donatesca non rimaneva più niente, o ben poco, e la famiglia stancamente si avviò all'estinzione, la quale ebbe luogo il 7 settembre 1616 alla morte di Giovanni di Piero la cui figlia Piccarda, sposata a un Agnolo Acciaioli, ne fu erede.
Tra quante famiglie vissero in Firenze, in Italia tutta o dovunque, nei secoli XIII e XIV, quella dei Donati di Firenze fu la più vicina a D. e quella donde più ricco alimento trasse la sua vena poetica; dei Donati fu sua moglie, presso il suocero messer Manetto egli trovò un benevolo garante in momenti di più rigida strettezza; tra essi trovò un amico assai intimo, compagno in scappatelle e gozzoviglie, e la persona con cui parlare talvolta di poesia e scambiare in pungente contesa versi e sonetti: Forese di messer Simone soprannominato Bicci Novello, di cui tanto largamente si occupa il canto XXIII del Purgatorio. Infine presso il nipote Niccolò di Foresino di messer Manetto trovarono sostegno, conforto, forse anche aiuto materiale, D. in esilio, e in Firenze i suoi figli e la moglie. Sono anche menzionati o accennati nella Commedia: Buoso (v. la voce seguente), Gualdrada causa della morte del Buondelmonti e della divisione tra guelfi e ghibellini, il ladro Cianfa, il ladro Buoso di messer Forese, Ubertino e il feroce Corso, mentre i più delicati accenti trovò la poesia di D. per celebrare la virtù di Piccarda, sorella del violento capoparte.
Bibl. - Non esistendo un'opera di un qualche peso dedicata alla storia dei Donati, nell'Archivio di Stato di Firenze e nella Biblioteca Nazionale fiorentina si possono consultare con un certo frutto i mms. 3, 171-2b e 187 delle carte del genealogista Passerini; nonché i pacchi di schede 722-726 del Poligrafo Cardani nella predetta Biblioteca. Per i secoli XI-XII sono fondamentali i fondi Badia Fiorentina e S. Apollonia nel Diplomatico dell'Archivio predetto. Di cronisti sono utili in modo particolare R. Malispini e G. Villani; degli storici moderni I. Del Lungo e R. Davidsohn. Inoltre si veda: A. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, I, Firenze 1615, 178 ss., con un grande albero genealogico; Ildefonso di S. Luigi, Delizie degli eruditi toscani, IX e XLV, ibid. 1777 e 1781; D.M. Manni, Sigilli antichi de' secoli bassi, XXV, ibid. 1776, 99-104; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ibid. 1841, 148 n. 12; L. Passerini, Storia degli Stabilimenti di beneficenza e d'istruzione elementare gratuita della città di Firenze, ibid. 1853, 128 e 197-199; G.G. Warren lord Vernon, L'inferno di D.A., II, Firenze-Londra 1862, 461-462; M. Barbi, A proposito di Buoso Donati ricordato nel canto XXX dell'Inferno, in " Bull. " XXIII (1916) 126142; M. Barbi, Per un passo dell'Epistola all'amico fiorentino, in " Studi d. " II (1920) partic. 121-126; ID., Gemma Donati e Corso, ibid. 158; ID., La tenzone di D. con Forese, ibid. IX (1924) 111-114.