ACCIAIUOLI, Donato
Nacque a Firenze il 15 marzo 1429 da Neri di Donato e da Lena di Palla Strozzi. Dal padre, che morì mentre egli nasceva, fu affidato alla tutela della madre e dei nonni Palla e Francesca. Insieme con il fratello Piero fu allevato nella casa del secondo marito di Lena (rimaritatasi nel 1432), Felice di Michele Brancacci, il quale, però, esiliato per le sue tendenze antimedicee, ben presto (1434) dové abbandonare la famiglia. Lena Strozzi rimase così nuovamente sola nell'educazione dei figli, alla quale dedicò tutta la vita (morì nell'agosto 1449), ispirando loro quell'affetto reciproco che li legò costantemente.
Insieme con il fratello, fu educato alle pratiche di pietà, di cui mantenne l'abitudine tutta la vita; i due giovanetti fecero parte di una compagnia di dottrina e, fattisi più grandi, della compagnia di S. Girolamo di Notte (l'A. ne fu più volte governatore) e di quella detta "dei Magi", alla quale appartenevano quasi tutti i Medici; il 13 apr. 1468 l'A. tenne nell'oratorio di quest'ultima una predica sull'Eucarestia che venne presa a modello per altre simili.
Lena volle per i figli l'insegnamento di Iacopo Ammannati, che diede loro lezioni dapprima in casa di Angelo Acciaiuoli, poi (ca. 1444) in casa Brancacci. Nel 1444 l'A. dimostrò le proprie capacità letterarie recitando in pubblico l'orazione consueta per la cerimonia del giuramento del podestà. Partito per Roma l'Ammannati, i contatti con lui non cessarono; nel frattempo l'A. aveva cominciato a seguire i corsi di logica del domenicano fra' Angelo da Lecco, che insegnava in S. Marco. La guerra, le pestilenze, la necessità di curare il patrimonio oberato dalle tasse, ridussero, se non interruppero, nel periodo 1448-54, gli studi dei due fratelli; certo venne meno la sistematicità, pur non mancando i suggerimenti e le esortazioni degli antichi maestri. L'amicizia con Giannozzo Manetti (1448), cognato di Angelo Acciaiuoli, gli scambi di libri, le dispute avute con lui, i consigli ricevuti dal Manetti stesso e da Filippo di ser Ugolino mantennero vivo nell'A. il bisogno di una vivace cultura, anche nel disorientamento derivante dagli avvenimenti. Sono del 1450 circa i primi studi di greco, iniziati con Francesco di Castiglione, intensificati con la guida di Carlo Marsuppini (1451-53) e, quindi, continuati da solo.
La pace (1454) segnò l'inizio di un nuovo periodo di attività. L'A. col fratello Piero aderì, dopo alcune esitazioni vinte dai colloqui con Poggio Bracciolini, alla Achademia,i cui quotidiani ritrovi riunivano, per esercitazioni letterarie, dispute e proposizione vicendevole di problemi, il Rinuccini, Vespasiano da Bisticci, Marco ed Antonio Rossi ed altri. L'A. si fece interprete di quella larga corrente di studiosi che chiedeva alla Signoria la nomina di Giovanni Argiropulo a lettore dello Studio, contrapponendosi alle tendenze ispirate da Poggio Bracciolini. Anche per l'intervento di Cosimo e di Piero de' Medici, l'Argiropulo fu invitato a Firenze nell'ottobre 1456 e vi insegnò fino al 1471, avendo per allievi i membri della Achademia,tra i quali emergeva Donato Acciaiuoli. I rapporti di lui con il maestro divennero sempre più intimi, ravvivati dalle conversazioni private, dalle discussioni sugli argomenti trattati nelle lezioni, delle quali egli fu intelligente annotatore nella Expositio super libros Ethicorum (Firenze 1478). Nel 1467 l'A. finì di tradurre le vite di Annibale e di Scipione, emendandole (1468) secondo i consigli dell'Ammannati (ediz. Firenze 1478), e nel periodo 1472-74 gli fu affidata da Federico di Urbino (per suggerimento di Vespasiano da Bisticci) la traduzione della Politica di Aristotele, mentre la Signoria fiorentina gli commetteva quella della Storia Fiorentina del Bruni, che terminò il 17 ag. 1473 (ediz. Firenze e Venezia 1473). La partenza dell'Argiropulo (1471) e la lontananza di Alamanno Rinuccini (1476) contribuirono a porre in risalto la sua personalità fra gli amici sempre fedeli dell'Achademia,come confermano i giudizi riportati dal Nesi (De Moribus)e dal Landino (Disputationes Camaldulenses,l. II).
Agli studi l'A. alternò la partecipazione alla vita pubblica, contribuendo agli sviluppi della politica medicea. Nel 1461, partecipando all'ambasceria guidata da Piero dei Pazzi presso Luigi XI, presentò al re la Vita di Carlo Magno,rifacimento da Eginardo (Roma 1470, in appendice alla ediz. latina delle Vite di Plutarco), e ne fu ricompensato con la concessione dei titoli di consigliere e di "maistre d'hostel".L'anno dopo fu vicario di Poppi e del Casentino, e quindi (1463) priore; nel 1464 recitò l'orazione in morte di Cosimo de' Medici, proponendo che gli fosse concesso il titolo di "Padre della Patria", per il cui conferimento compilò il decreto. Fece parte nel 1467 dell'ambasceria guidata da Luca Pini presso il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, e nel 1469 fu eletto capitano di Volterra (era già stato commissario a Pistoia nel 1464); l'anno dopo fu nominato podestà di Montepulciano ed ambasciatore presso Paolo II, per ottenerne il permesso di tassazione sui beni del clero. Guidò nel 1471 l'ambasceria presso Sisto IV per congratularsi della sua elezione, rivolgendogli un elegante discorso (3 ottobre); in quello stesso anno era stato inviato a Siena per distoglierla dall'aiutare Volterra ribelle. Tre anni dopo (1474) l'A. era gonfaloniere di giustizia, e la sua figura di capo di stato e di filosofo fu onorata da Cristiano di Danimarca, che, recandosi a Roma, si era fermato a Firenze per visitarne i tesori artistici e letterari. Di altre missioni diplomatiche fu incaricato nel 1476, presso Sisto IV; a Roma si trovava ancora nel 1478, al momento della congiura dei Pazzi. Il papa lo minacciò di arresto per rappresaglia, ma egli seppe difendersi e fu sostenuto dai residenti veneto e milanese, che imposero a Sisto IV il rispetto al diritto delle genti. Altre cariche aveva ricoperto in patria (podestà di Pisa, 1476; capitano di Volterra, 1477; ufficiale dello Studio, 1473-74) e la sua personalità si era rivelata nell'equilibrato contemperamento degli interessi umanistici con i doveri derivanti dalle cariche pubbliche. Fu sospettato di complicità con i Pazzi (anche per la parentela con Angelo Acciaiuoli), ma la sua costante adesione alla politica medicea allontanò le accuse; ebbe, anzi, da Lorenzo l'incarico di una delicata missione in Francia per saggiare le intenzioni del re nei confronti della situazione italiana. Mentre era in viaggio, a Milano, morì il 28 ag. 1478.
Il Landino ne fece l'elogio funebre ed il Poliziano dettò il testo della lapide sepolcrale. Morì povero, avendo rifiutato gli uffici rimunerativi, e la Repubblica gli decretò i funerali a sue spese, concesse doti alle figlie e ridusse le tasse ai figli maschi, deputando quattro cittadini come loro tutori. Ebbe da Maria Pazzi, sposata nel 1461, sei figli: Alessandro (1466), Roberto (1467), Cassandra, Caterina, Lorenzo (1472) e Pietro (1474); il suo ramo si estinse nel sec. XVII.
Fonti e Bibl.: Un elenco delle opere dell'A. edite e inedite in L. Caetani, Saggio di un Diz. bio-bibliogr. ital.,n. 796; le fonti e la bibliografia critica su di lui sono citate nei lavori di A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica in Firenze,Firenze 1902, pp. 322-425, e di E. Garin, D. A. cittadino fiorentino,in Medioevo e Rinascimento. Studi e ricerche,Bari 1954, pp. 211-287 (v. anche E. Fueter, Storia della storiografia moderna,I, Napoli 1944, pp. 123-124).