DONATO da Cascia (Donatus de Florentia)
Le scarse notizie sulla vita di questo compositore, attivo nella seconda metà del XIV secolo, si ricavano quasi esclusivamente dalle fonti che conservano sue composizioni. Sappiamo che nacque quasi certamente a Cascia, sobborgo di Firenze situato sulla via Cassia; in base alla posizione delle sue composizioni nel codice Squarcialupi (ms. Palatino 87 della Bibl. Laurenziana di Firenze, ff. 71v-79r), silloge ordinata grosso modo secondo un criterio cronologico, si desume che probabilmente egli dovette essere più giovane di Giovanni da Cascia e di Gherardello da Firenze, coetaneo o poco più giovane di Lorenzo Masini e certamente più anziano dei musicisti della generazione di Francesco Landini e di Bartolino da Padova. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare, anche considerando molte delle caratteristiche stilistiche delle sue composizioni, che il periodo di attività di D. sia all'incirca compreso tra il 1350 e il 1370. I titoli "don", "ser" e "Dominus", che precedono il nome del musicista in alcuni manoscritti, e il ritratto miniato in abiti monacali, che compare sempre nel codice Squarcialupi (f. 71v), indicano che egli apparteneva a un Ordine monastico, quasi certamente quello benedettino dei camaldolesi. A tal proposito va ricordato che anche il poeta Franco Sacchetti, parlando del musicista, lo definisce "Magister Donatus presbiter de Cascia". La sua appartenenza all'Ordine dei camaldolesi è suggerita da un documento custodito presso l'archivio del monastero fiorentino di S. Maria degli Angeli (Archivio di Stato di Firenze, Conventi soppr., Arch. 86, n. 96, f. 39r), in cui si legge che un "Frate Donatus di Bartolo da chamerata" prese i voti nel 1376 e lasciò il convento nel 1381. Benché tali date siano posteriori all'ipotizzato periodo di attività del musicista toscano, non si può escludere che il documento in questione si riferisca alla sua persona, anche in considerazione del fatto che il compositore Paolo Tenorista da Firenze, di poco più giovane di D. e che fu sicuramente monaco camaldolese a S. Maria degli Angeli, è indicato in alcune fonti come "Don Paolo" e "Dominus Paulus" e nel codice Squarcialupi viene ritratto in abito monacale esattamente come Donato.
Alcuni madrigali intonati dal compositore (Come da lupo pecorella presa, Un bel girfalco scese alle mie grida, I' fu già usignol in tempo verde, tutti su testi di Niccolò Soldanieri) sono ricordati ne Il novelliere del lucchese Giovanni Sercambi, opera scritta nei primi anni del sec. XV, ma la cui cornice narrativa è costituita da un viaggio attraverso l'Italia compiuto nel 1374 da una brigata di lucchesi, che abbandonavano la loro città per sfuggire a una epidemia di peste. A dunque probabile che i tre brani fossero già stati composti prima di tale data, anche se non si può escludere una loro retrodatazione, magari involontaria, da parte del Sercambi. Oltre ai citati testi dei Soldanieri, D. musicò altri cinque madrigali di autori noti: due sono opera di Franco Sacchetti, due di Arrigo Belondi e uno di Antonio Alberti, intellettuale toscano, nella cui villa è ambientata la cornice delle novelle narrate ne Ilparadiso degli Alberti di Giovanni Gherardi da Prato.
Il fatto che tutti gli autori musicati da D. siano toscani rafforza l'ipotesi che l'attività artistica del musicista si sia svolta soprattutto a Firenze e che egli non abbia avuto contatti significativi con gli ambienti musicali delle corti dell'Italia settentrionale. La musica dei due madrigali del Sacchetti, Fortuna avversa del mio cor nemica e Volgendo i su' begli occhi inver le fiamme, è andata perduta, ma il poeta ne attestò l'esistenza nell'inventario autografo di tutte le sue rime musicate (ms. Ashb. 574 della Bibl. Laurenziana di Firenze) e, in base alla loro posizione in tale inventario, redatto in ordine cronologico, le due intonazioni dovrebbero risalire alla fine degli anni '50 del sec. XIV. Scarsissime informazioni ed indicazioni cronologiche si possono ricavare dai testi musicati da D.: il madrigale Sovranuccello se'fra tutti gli altri si riferisce probabilmente a uno dei due viaggi che l'imperatore Carlo IV fece in Italia, rispettivamente nel 1355 e nel 1368, mentre Dalcielo scese per iscala d'oro potrebbe contenere alcune allusioni al matrimonio, celebrato nel 1382, tra Samaritana da Polenta e il veronese Antonio Della Scala, benché tale data sia piuttosto tarda rispetto al presunto periodo di attività del musicista.
Ci sono complessivamente giunte diciassette composizioni di D.: quindici madrigali, una caccia, una ballata e un "virelai", a cui vanno aggiunti i due madrigali citati dal Sacchetti, la cui musica è andata perduta. Quasi tutti i brani compaiono in alcune delle fonti più rappresentative dell'ars nova italiana, come il ms. Palatino 87 della Bibl. Laurenziana di Firenze, meglio noto come Codice Squarcialupi (quindici composizioni di cui sei unica), il ms. Panciatichi 26 della Bibl. nazionale di Firenze (sei composizioni, un unicum) e il ms. Fonds Ital. 568 della Bibl. nationale di Parigi (cinque composizioni).
I madrigali di D., tutti a due voci, in parte sono stilisticamente ascrivibili al primo periodo dell'ars nova fiorentina, in parte mostrano alcune novità compositive che verranno sviluppate dai musicisti della generazione di F. Landini. Notevole vi appare. soprattutto l'influenza di Jacopo da Bologna, specie per quanto riguarda l'uso di frasi monodiche per collegare singoli versi del testo poetico, anche se a volte D. utilizza frasi a due voci. Come nei brani di Jacopo sono rari gli episodi imitativi e, quando ricorrono, come nella prima parte del madrigale L'aspido sordo e'ltirello scorzone, sono piuttosto liberi sia dal punto di vista intervallare che ritmico.
Nell'opera di D. si riscontra una maggior stabilità tonale rispetto alle composizioni dei primi protagonisti dell'ars nova italiana; quasi metà delle sue composizioni iniziano e finiscono infatti sul medesimo grado tonale ed i procedimenti paralleli di consonanze perfette sono spesso evitati a favore di incontri di consonanze di terza e di sesta. A differenza di Giovanni e di Gherardello da Firenze, il D. ricorre e spesso - pur nell'ambito di un sostanziale allineamento sillabico - a una condotta ritmicamente variata delle voci nelle sezioni intermedie di ogni verso dei madrigali, mentre la seconda e la penultima sillaba sono musicate in lunghi, sinuosi melismi. Uno dei tratti più caratteristici dell'arte di D. è proprio costituita dal virtuosistico trattamento melodico di tali parti melismatiche nei suoi madrigali che, come in quelli di Lorenzo Masini, raggiungono il massimo grado di dilatazione riscontrabile nel repertorio dell'ars nova italiana: si pensi ad esempio che la penultima sillaba del sesto verso del madrigale Come lupo dapecorella presa siestende nella voce superiore in un melisma di ben sessantotto note per la durata di nove longae (semibrevi nella trascrizione moderna). Va infine osservato che D. nel musicare le terzine dei madrigali in tempo binario e il ritornello in tempo ternario seguiva la prassi dei compositori a lui anteriori e spesso introduceva tale variazione ritmica già nel verso finale delle terzine, solitamente mediante il passaggio dalla misura quaternaria alla senariaperfecta.
L'unica caccia musicata da D. sembra appartenere stilisticamente a un periodo successivo a quello dei madrigali, soprattutto per l'intonazione a tre voci (di cui però solo le due superiori sono in canone) e la presenza del testo poetico in tutte le parti, caratteristica che sembra escludere la presenza di un tenor strumentale, che invece compare nelle cacce appartenenti al primo periodo dell'arsnova italiana. L'unica ballata polifonica attribuita a D. (ma l'attribuzione è messa in dubbio da Kurt von Fischer) appare anch'essa posteriore rispetto ai madrigali: il testo, a dialogo, è infatti intonato senza la consueta ripetizione della musica utilizzata nella ripresa nella volta, che ha un'intonazione propria, secondo un procedimento che si incontra solo in ballate composte tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo.
Infine la composizione Je portamiablement, priva in tutte le fonti del testo tranne che nell'incipit, appartiene molto probabilmente alla forma poetica francese del "virelai", forma affine alla ballata, ma raramente frequentata dai musicisti italiani del Trecento. La composizione e attribuita a D. nel ms. Urbinate lat. 1419 della Bibl. apostolica Vaticana (dove, sopra la parte del cantus, compaiono anche le parole "Absit principio Virgo Maria meo"), mentre rimane anonima nel Add. Mss. 29987 della British Library di Londra e nel ms. XI 9 9 della Biblioteca universitaria di Praga: abbastanza singolare appare la presenza del brano di D. in questa fonte, compilata nella Germania meridionale, visto che essa non contiene, ad eccezione di un brano di Francesco Landini, alcuna altra composizione riferibile al repertorio dell'ars nova italiana.
Diamo di seguito l'elenco, suddiviso in base alla forma poetica del testo, delle composizioni di D. pervenuteci o di cui si ha notizia da fonti indirette (tutti i codici cui si fa riferimento sono stati precedentemente citati).
"Virelai": Je portamiablement, solol'incipit testuale (Add. Mss. 29987, f. 70r; Vat. Urb. lat. 1419 f. 28r; Prah. XI E 9, f. 247r.); ballata: Senti tu damor, donna? No. Perchè? (Laurenz. Palat. 87, ff. 72v-73r); caccia: Faccia chi de', se 'l po, che passa l'ora (Idem, ff. 75v-76r; Paris. Ital. 568, ff. 45v-46r); madrigali: Come da lupopecorella presa, testo di N. Soldanieri (Laurenz. Palat. 87, ff. 77v-78r); Come 'l potestufar, dolce signore (Idem, f. 80v); Dal cielo scese per iscala d'oro (Idem, ff. 78v-79r); D'or pomo incominciò nell'aer fino (Idem, ff. 74v-75r); Fortuna avversa, del mio cor nimica (testo di F. Sacchetti, musica perduta); I' fu'già bianc'uccel con piuma d'oro (testo di Antonio Alberti, Laurenz. Palat. 87, ff. 78v-79r; B. L. Add. Mss. 29987, ff. 35v-36r); I' fu' già usignol in tempo verde (testo di N. Soldanieri; Laurenz. Palat. 87, ff. 73v-74r; Paris. Ital. 568, ff. 17v-18r); I' ho perduto l'alber e 'l timone (testo di A. Belondi; Laurenz. Palat. 87, ff. 76v-77r); L'aspido sordo e 'l tirello scorzone (testo di A. Belondi, Idem, ff. 77v-78r, B. L., Add. Mss. 29987, ff. 25v-26r); Lucida pecorella son, campata (Laurenz. Palat. 87, ff. 73v-74r; Panciatichi 26, ff. 83v-84r; Paris. Ital. 568, ff. 14v-15r); Seguendo 'l canto d'un uccel selvaggio (Laurenz. Palat. 87, ff. 72v-73r; Panciatichi 26, ff.81v-82r; Paris. Ital. 568, ff. 16v-17r); S'i', monacordo, gentile stormento (testo incompleto; Laurenz. Palat. 87, ff. 76v-77r); Sovran uccello se' fra tutti gli altri (Idem, ff. 75v-76r; Panciatichi 26, ff. 82v-83r); Un bel girfalco scese alle mie grida (testo di N. Soldanieri, Laurenz. Palat. 87, ff. 71v-72r; Paris. Ital. 568, ff. 15v-16r); Un cane, un'oca e una vecchia pazza (Laurenz. Palat. 87, ff. 74v-75r; Panciatichi 26, f. 81r); Volgendo i su' begli occhi in ver le fiamme (testo di F. Sacchetti, musica perduta).
Per le edizioni in notazione moderna delle composizioni del D. cfr. nella bibliografia: J. Wolf, Der Squarcialupi-Kodex (edizione dei soli brani conservati nel codice Squarcialupi), N. Pirrotta 1955 (edizione di tutti i brani conosciuti) e T. W. Marocco (edizione critica di tutti i brani conosciuti).
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