DA LEZZE, Donato
Patrizio veneziano di agiata condizione, nacque con ogni probabilità nel 1459, primogenito di Priamo di Benedetto e di Onesta Priuli di Marino. Da Mirabella Foscolo, che non sposò, ebbe due figli, Angelo e Alvise, non abili al Maggior Consiglio, benché legittimati, mentre un altro figlio naturale, Giovanni valente organista, a dir delle cronache si impiccò a Londra nel 1525, per non essere riuscito a ottenere l'applauso del re. Dei due fratelli, Vettore, sopracomito di galera, mori l'anno 1500 durante uno scontro navale presso Modone; l'altro, Marino, non ebbe che un solo figlio, Priamo, morto prima di lui.
Questi dati, peraltro, non trovano concordi le fonti: il Barbaro dell'Archivio di Stato di Venezia ed il Cappellari Vivaro della Marciana, ad esempio, attribuiscono ad un Donato di Michele (1479-1544) incarichi politici e vicende personali che spettano invece al Donato di Priamo, ed il rumeno Ursu, principale biografo moderno del D., ma approssimativo e non attendibile, pulla scorta di altri codici lo fa nascere nel 1479, data che segna invece il suo ingresso nel Maggior Consiglio.Dopo aver ricoperto incarichi minori - il 10 nov. 1486 era ufficiale alla Messettaria, e il 9 apr. 1492 al Cattaver - fu podestà e capitano a Sacile dal dicembre 1497 al maggio 1499, L'anno successivo, il 30 sett. 1500, entrava a far parte della zonta del Senato, probabilmente in riconoscimento dei meriti dei fratello, fatto a pezzi dai Turchi, che aveva coraggiosamente attaccato.
Qualche giorno dopo, il 6 ottobre, era eletto provveditore al Sale, ma l'occasione decisiva della sua vita si verificò solo il 20 maggio 1504, allorché fu nominato provveditore, a Zante.
Rimase nell'isola più di due anni, tenendo costantemente informato il Senato sulle operazioni dei Turchi nella vicina Morea, e questa permanenza dovette costituire il primo grosso stimolo a conoscere il mondo orientale. Sarebbe vano, tuttavia, cercare in lui una qualche disponibilità, un'apertura mentale verso l'Islam, per il D. i Turchi rimasero sempre, tutt'al più, un oggetto di curiosità, dalla cui immagine non seppe mai dissociare quella degli uccisori del fratello e dei secolari nemici della Repubblica. Le sue informazioni da Zante concernono infatti, quasi esclusivamente, il loro potenziale militare e gli intrighi politici dei pascià locali: di conseguenza la sua opera si risolse principalmente in un energico e deciso rafforzamento di tutte le strutture militari destinate alla difesa dell'isola, in un attento controllo della disciplina delle truppe.
Qualche mese dopo, il 26 febbr. 1508, era eletto provveditore a Cividale del Friuli. Da pochi giorni c'era guerra tra Venezia e l'imperatore, che rivendicava i feudi aquileiesi: i Tedeschi avevano invaso il Cadore, i Veneziani affidarono le truppe a Bartolomeo d'Alviano: spiegarono ai Cividalesi che il D. "verrà a difesa, non già a toccar privilegi". Quanto a lui, dimostrò sul Carso la stessa energia di cui aveva dato prova nello Jonio: il 25 aprile era a Cormons, poi a Tolmino; portò artiglierie a Plezzo. Dei Friulani non si fidava, disse che "conveniva appiccarne tre o quattro, per dare un esempio": meglio assai gli Schiavoni. Misure tanto vigorose non mancarono di inasprire gli umori di quanti dovevano sopportarle. Pensò l'Alviano a tacitare le proteste, con una offensiva che lo portò a Gradisca, a Gorizia e poi giù sino a Trieste, a Fiume. Così, dopo solo quattro mesi, il D. poteva tornare in patria, a ricevere gli elogi della Signoria.
Non si fermò a lungo a Venezia, perché già il 26 nov. 1508 era nominato consigliere a Cipro, dove si trattenne sino all'aprile 1511. Lì ebbe modo di approfondire le sue conoscenze sul mondo islamico e di allacciare numerose amicizie, che non si interruppero neppure dopo il rientro in patria.
L'abituale rigore del temperamento lo portò a scontrarsi col suo superiore, il luogotenente Lorenzo Giustinian: si batté perché il passivo della Camera del regno venisse saldato, costringendo al pagamento i debitori, e perché - di fronte all'imminente carestia dell'isola - fosse proibita l'esportazione di frumento. Nell'estate 1509, infatti, un'invasione di cavallette si era sommata ad un cattivo raccolto, per cui fu agevole al D. opporsi all'invio di derrate a Venezia - proposto dal Giustinian nell'imminenza del suo rientro in patria -, scrivendo al Consiglio dei dieci "dè non voler per condizion alcuna trazer più biave ..., per non rumar questa insula et populo". Intercorse un fitto carteggio tra Venezia, Nicosia - residenza del Giustinian - e Famagosta, dove stava il D., che alla fine la spuntò. Al suo ritorno a Venezia divenne capo del sestiere di Santa Croce.
Oramai era considerato uomo fidato ed energico nelle occorrenze politiche e militari dello Stato, ed uno dei massimi conoscitori del mondo orientale. La Repubblica non intendeva privarsi di nessuna di queste sue qualità, allorché lo elesse podestà e capitano a Rovigo, il 29 ag. 1512.
Infatti la sua corrispondenza col vescovo degli Armeni, Davide, che da Cipro gli inviava notizie e giudizi sulla politica persiana di Selim e sulle mosse del Sofì, veniva pubblicamente letta in Senato e fatta pervenire al residente a Milano, Gian Giacomo Caroldo; tra la fine del '12 e la metà del '15, il Sanuto riporta sei lunghe relazioni del D., concernenti gli sviluppi della situazione politica nell'Asia, basate su informazioni che egli non doveva soltanto al vescovo armeno, se costui, il 15 maggio del 1515, rimproverava all'amico di conoscere "le cose del Sofis amplius che non so io". Si può quindi comprendere come l'Ursu abbia potuto erroneamente attribuire al D. quella Historia turchesca, la cui paternità è stata più recentemente riportata al vicentino Giovan Maria Angiolello.
Lunga e travagliata la permanenza del D. nel Polesine, caratterizzata dalle tumultuose vicende intercorse tra il congresso di Mantova ed il trattato di Noyon: i continui ribaltamenti di fronte, le incursioni pontificie e spagnole lo costrinsero a riparare più volte, e a lungo, a Padova o, addirittura, a Venezia, dove fu dal giugno all'ottobre '14 e ancora nel giugno 1 15. Rientrò definitivamente in patria nell'ottobre 1516, e l'anno seguente era tra i gentiluomini che accolsero l'inviato turco Ali Bey. Dal luglio '19 al dicembre del '20 lo troviamo podestà e capitano a Capodistria, dove si comportò con la consueta energia: riaprì il fontico dei grani, colpì il contrabbando del sale, inviò al Senato allarmanti dispacci sui movimenti turchi in Bosnia. Ottenne prestigiosi riconosrcimenti: il 13 sett. '21 era eletto capo del sestiere di Santa Croce, il 3 ottobre savio alle Acque, il 31 dicembre savio di Terraferma.
Nell'assumere quest'ultima carica, si presentò in Senato ricordando le parole dei Colleoni: "Signori, non vi so risponder altro, si non che ho San Marco nel pecto", e infatti la sua presenza fu attivissima. Per far fronte alle emergenze della guerra contro il Turco, riusci a far votare tre nomine a procuratore di S. Marco, dietro esborso di 10.000 ducati. Ci furono contrasti, ma ebbe ragione - a detta del Sanuto - di ogni opposizione, ricordando che "le terre nostre non à alcuna custodia, però bisogna danari e danari presti ..., alegando certa historia del Testamento vecchio che volse combater il Sabato, ch'è contra la leze, per vincer li soi inimici".
Il 7 sett. '22 diventava avogador di Comun, e qualche settimana più tardi entrava a far parte del Consiglio dei dieci: ma quella che doveva essere la definitiva sanzione del prestigio raggiunto, si risolse bruscamente in un rovescio politico, forse a causa del suo temperamento troppo deciso. Lasciamo parlare le fonti: "il 15 apr. 1523 fu dichiarato decaduto dall'ufficio di avogador di Comun e bandito per due anni dai Consigli secreti, per aver ricordato che s'imponessero certe gravezze per cavar denari per la guerra allora corrente". Non fu un bando definitivo dalla vita politica: trascorsa la forzata contumacia., il D. fu eletto luogotenente a Cipro, dove giunse il 23 ag. 1525. Efficace come sempre, e vigorosa, la sua azione: in mezzo alle consuete relazioni sull'Armenia e sulla Persia, trovò modo di rinforzare i dispositivi militari, di aumentare le riserve di frumento, di ficcare in carcere il soprastante ai grani.
La notizia della sua morte, avvenuta a Nicosia, giungeva a Venezia l'8 nov. 1526.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. cod., I, St. veneta, 20: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., IV, pp. 233, 236 s.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 207v; Ibid., Mss. It., cl. VII926 (= 8595): M. Barbaro, Geneal. d. fam., II: c. 214r; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cons. XI, E, 2, 4: M. Barbaro, Discendenze patrizie..., IV, p. 149; per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Misti, regg. 6, 7, 8, subannis; sui dispacci al Consiglio dei dieci, da Zante, da Cipro (come consigliere), Rovigo e ancora Cipro (come luogotenente), cfr., nell'ordine, Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori e altre cariche, bb. 296, n. 1; 288, nn. 62-78. passim; 121, nn. 19-22; 288, nn. 249-250; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3274/16: Caso di ser Donà da Leze privato dell'uffizio d'Avvogador..., p. 181; Arch. di Stato di Venezia, Sezione notarile. Testamenti, b. 121/I, c. 25rv; D. da Lezze [attrib.]. Historia turchesca(1300-1514), a cura di I. Ursu, Bucuresti 1909; I libri commemor. della Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, p. 74; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1903, II, III, V-VII, IX-XXIII, XXV-XXXV, XXXIX-XLI, XLIII-XLIV, ad Indicem; L. G. Amaseo-G. A. Azio, Diarii udinesi dall'anno 1508 al 1541. Venezia 1884. p. 5; Calendar of State Papers... relating to English Affairs, existing in the Archives... of Venice..., a cura di R. Brown, III, London 1869, pp. 247, 515 (quest'ultima relativa al suicidio del figlio); P. Bembo, Historiae Venetae, in Degl'istorici delle cose veneziane..., II, Venezia 1718. p. 242; G. Durazzo, Dei rettori veneziani in Rovigo..., Venezia 1865, p. 19; G. Grion, Guida stor. di Cividale e del suo distretto, Cividale 1899, pp. 101, 220-222, XCVII; I. Ursu, Uno sconosciuto stor. venez. del secolo XVI (D. D.), in Nuovo Arch. ven., n. s.; X (1910), pp. 5-24; F. Babinger, Angiolello (Degli Angiolelli), Giovanni Maria, in Diz. biogr. degli Italiani, III, Roma 1961, p. 278; P. Preto, Venezia e i Turchi, Firenze 1975, pp. 17 s.; U. Tucci, Mercanti... nel Cinquecento ven., Bologna 1981, p. 57.