MASCAGNI, Donato
Figlio del muratore Matteo e di Agnoletta Donati (Baldinucci), nacque probabilmente a Firenze intorno al 1570; fu introdotto in giovane età allo studio della pittura nella bottega di I. Ligozzi.
Documentato frequentemente come collaboratore del maestro, è citato per la prima volta nel 1584, quando appare attivo nel cantiere della tribuna degli Uffizi (Conigliello, 2001). Tra il 1588 e il 1589 il M., sempre all’interno della stessa bottega, risulta essere impegnato nella ridipintura di otto quadri in noce di piccolo formato destinati all’arredo della nave ammiraglia della flotta granducale, approntata appositamente in quel tempo per condurre dalla Francia a Livorno Cristina di Lorena, consorte di Ferdinando I de’ Medici (Mencarini, 1986, Biografie; Conigliello, 2001). In occasione delle celebrazioni per l’entrata ufficiale a Firenze della nuova granduchessa di Toscana il M. eseguì, autonomamente, una tela (perduta) destinata all’apparato, montata sopra «la porta del palazo» (ibid.). Dopo essere stato incaricato di eseguire tra il 1589 e il 1590 due dipinti destinati alla festa di S. Luca (ibid.), periodica esposizione artistica allestita dall’Accademia del disegno, il M. collaborò intensamente con il maestro eseguendo tra giugno del 1590 e marzo del 1591 opere di vario tipo per lo «Scrittoio delle Ill.me et Ecc.me Principesse» in palazzo Pitti (Bellesi); tra l’aprile e l’agosto del 1591 effettuò interventi di rilievo nelle grandi lavagne raffiguranti l’Incoronazione granducale di Cosimo I de’ Medici e l’Ambasceria di Bonifacio VIII per la sala dell’Udienza di palazzo Vecchio (Allegri - Cecchi).
L’inizio di un’attività indipendente risale a un periodo prossimo al 1593, anno della sua immatricolazione all’Accademia del disegno (Mencarini, 1986, Biografie). A questi anni è possibile far risalire una Cena di Cristo in casa di Simone e una S. Maria Maddalena orante in collezioni private (Conigliello, 2001).
Caratterizzate da una forte impronta stilistica legata a Ligozzi, al quale uno dei due dipinti era stato assegnato in precedenza, queste opere, rispondenti perfettamente alle istanze della pittura controriformata toscana, mostrano dati di buona qualità nel rigore grafico delle composizioni e nella selezione cromatica, ricca di effetti lucidi e preziosamente smaltati.
A partire dal 1595 il M. diede inizio a una fiorente attività legata soprattutto all’Ordine camaldolese, che lo vide impegnato, a più riprese, fino al 1600 e, ancora, dopo il 1614. Connesse in gran parte a don Grisostomo Ticci, abate di S. Giusto a Volterra e di S. Maria degli Angeli a Firenze, le commissioni di quel tempo, che annoveravano anche una Crocifissione e i ss. Ansano e Sebastiano per S. Pietro a Luco di Mugello (Giuliani), riguardarono principalmente lavori realizzati per la città di Volterra come il Giobbe sul letamaio (1595), le Nozze di Cana (1595 circa) e la Natività della Vergine (1597), già nella chiesa di S. Giusto e oggi nel palazzo dei Priori e nella Pinacoteca civica (Rott-Freund).
A queste opere, affini stilisticamente al linguaggio figurativo di Ligozzi, ma non insensibili ai nuovi orientamenti pittorici fiorentini di B. Poccetti, seguirono a breve distanza di tempo, oltre a figure in monocromo e piccoli riquadri, una serie di affreschi con Storie dei ss. Giusto, Clemente e Ottaviano e un grande ovato con la Vergine con Gesù Bambino e i ss. Benedetto e Romualdo nuovamente per S. Giusto, databili tra il 1595 e il 1598 (Conigliello, 2001).
Grazie ai successi conseguiti con queste pitture, il M. ottenne nel 1600 l’allogazione di sei lunette ad affresco con Storie di s. Romualdo per uno dei chiostri di S. Maria degli Angeli a Firenze: commissione che vide impegnati, più o meno contemporaneamente, anche Poccetti e B. Monaldi (Id., 1998). Prossimo probabilmente ai dipinti con la Crocifissione e santi nell’oratorio della Misericordia a Volterra e con Giuseppe venduto dai fratelli, già presso Christie’s a Londra, databili al 1602 (Id., 2001), risulta un intenso S. Girolamo nella Galleria Corsini a Firenze: opera di forte impatto emotivo, comparabile alle migliori realizzazioni del maestro Ligozzi (Rott-Freund). Di poco successiva a queste opere appare la tela con il Compianto sul Cristo morto, già nella collezione Siviero e oggi in S. Niccolò a Firenze, firmata e datata 1605 (Sesti).
Memore ancora una volta degli insegnamenti ligozziani, ma indirizzata soprattutto verso un originale recupero esegetico di primo Cinquecento, mostra uno schema compositivo di forte impatto visivo, che amplifica, magistralmente, la carica empatica dei singoli personaggi, disposti con studiata eleganza in pose di eloquente passionalità. La sofferta carica emotiva trasmessa dalle figure risulta mirabilmente acuita dai violenti passaggi luministici che sembrano abbattersi, quasi con violenza, sui volti e sui corpi, accentuando, al contempo, la resa rigida e quasi tagliente delle stoffe, definite con pennellate secche.
La buona predisposizione per la vita religiosa, già attestata sul volgere del Cinquecento dalla sua iscrizione alle Confraternite di S. Zanobi e di S. Giovanni Battista dello Scalzo a Firenze (Mencarini, 1989), portò il M. a entrare il 25 sett. 1605 nell’Ordine dei servi di Maria, prendendo il nome di Arsenio (Baldinucci).
Nonostante la severa vita monastica condotta a Monte Senario, dove lasciò un dipinto raffigurante la Madonna del Rosario, il M. ebbe comunque modo di proseguire la sua attività artistica. Risale al 1607 la tela con l’Incoronazione della Vergine nel santuario della Madonna della Fontenuova a Monsummano Terme (Gurrieri).
Avendo ottenuto una speciale dispensa papale, si trasferì nuovamente a Firenze, entrando nel 1608 nel convento della Ss. Annunziata, dove realizzò una serie di quattro lunette ad affresco con storie dei padri serviti per la spezieria del convento, oggi perdute (Mencarini, 1986, Biografie). Databile entro il 1608, oltre a un Cristo portacroce nella Ss. Annunziata (Rott-Freund), è il dipinto con il Martirio di s. Caterina d’Alessandria attualmente nel conservatorio delle mantellate (Conigliello, 2001).
L’opera, che rappresenta il capolavoro fiorentino del M., presenta dati di notevole qualità nella formulazione dello schema espositivo e nell’adozione di cromie acerbe ricche di preziosi ed esclusivi cangiantismi. Seppur conformato alla pittura ligozziana, il dipinto mostra aggiornamenti mutuati essenzialmente dalla conoscenza delle opere coeve di Poccetti, di F. Tarchiani e di Iacopo Da Empoli, artisti molto amati in quel tempo nel capoluogo mediceo.
Nel 1609 eseguì per l’abbazia di Vallombrosa (dov’era già una sua Madonna del Rosario con i ss. Giovanni Gualberto, Domenico e Caterina da Siena, del 1603) la tela con La donazione delle terre di Matilde di Canossa a s. Bernardo degli Uberti (Cecchi).
Il dipinto, che costituisce uno dei vertici dell’attività del M., ebbe, come risulta dai documenti d’archivio oggi noti, tempi di lavorazione molto lunghi: iniziato nell’estate del 1608, fu ultimato alla fine del 1609. Stimata dai pittori P. Sorri, Iacopo Da Empoli e L. Buti, la grande tela, oggi nella biblioteca abbaziale, fu esposta al plauso del pubblico alla Ss. Annunziata di Firenze, prima di essere trasferita nel convento di Vallombrosa. Ancora legata agli insegnamenti di Ligozzi, essa, apprezzabile per la sontuosa ambientazione scenografica, per l’analitica descrizione delle figure e per la smagliante brillantezza delle stoffe, trova appropriati parametri stilistici di riscontro nelle opere fiorentine, più o meno contemporanee, di artisti come Poccetti e M. Rosselli.
Divenuto una delle figure più rappresentative della pittura sacra fiorentina dei primi anni del Seicento, il M. fu impegnato nel 1610 nell’esecuzione delle tele con S. Francesco e S. Chiara nella chiesa del convento de las Descalzas Reales a Valladolid (Pérez Sánchez).
Parte integrante di una serie di dipinti di vari autori commissionati dalla famiglia medicea e destinati alla Casa reale di Spagna, le due opere, pagate 100 scudi in data 27 apr. 1611, erano state allogate al M. dopo un primo incarico affidato a due allievi, non meglio specificati, di Ligozzi (Goldenberg).
Databile come termine ante quem al 1611 risulta la tela con la Morte del conte Ugolino in collezione privata (Gregori; Mencarini, 1986, Pittura).
L’opera, conservata ab antiquo nella spezieria del convento della Ss. Annunziata (Tonini) e menzionata nella biografia del M. redatta da Baldinucci, appare citata nel suo testamento rogato, appunto, nel 1611, dove viene lasciata in eredità al fratello Salvestro, orafo «nell’arte sua di non mediocre intelligenza» (ibid., p. 320). Dedicata a uno degli episodi più patetici e tormentati della Divina Commedia, questa mostra, al di là degli immancabili riferimenti ligozziani, dati lessicali orientati, in prevalenza, verso un recupero filologico e stilistico neomanierista, evidente, paradigmaticamente, nella resa squillante delle tinte, nella sagomatura lignea delle figure e nella visione quasi metafisica dell’insieme.
Nel 1612 il M. prese parte all’apparato commemorativo per le esequie della regina di Spagna Margherita d’Austria, sorella della nuova granduchessa di Toscana, allestito nella basilica di S. Lorenzo a Firenze. Per questo, costituito da un ciclo di oltre venti dipinti monocromi di grandi dimensioni dedicati agli episodi più importanti della vita della sovrana, il M. realizzò le tele raffiguranti il Ringraziamento del padre cappuccino Brindes a Margherita d’Austria e Filippo III per l’aiuto prestato al duca di Baviera contro i principi protestanti e la Morte di Margherita d’Austria (Goldenberg).
Conservati attualmente nei depositi delle Gallerie fiorentine, questi dipinti, noti anche attraverso incisioni dell’epoca, appaiono uniformati alle altre pitture, presenti nella stessa serie, nel tono narrativo e didascalico degli episodi, trattati con una severa ufficialità conforme alle esigenze della commissione.
La fiorente attività svolta dal M. nel complesso conventuale della Ss. Annunziata fu segnata all’inizio del secondo decennio del Seicento da opere degne di interesse, destinate a vari ambienti. Insieme con l’affresco oggi perduto con la Caduta della manna, firmato e datato 1611, egli realizzò nel 1612 le lunette con la Fondazione della Ss. Annunziata e lo Scoprimento dell’immagine miracolosa dell’Annunziata.
Le due opere, presenti nel chiostro grande, completarono un apprezzato ciclo di affreschi lasciato interrotto alla morte di Poccetti, avvenuta nello stesso anno (Conigliello, 2001). Interessanti pitture «storiche», queste, ricordate da Lanzi, risultano caratterizzate, come molti altri esempi del tempo, da un raffinato intreccio culturale, conciliante sapientemente la lezione ligozziana con un gusto narrativo e quasi aneddotico tipico di Poccetti.
Privi di dati documentari certi, ma databili stilisticamente all’inizio dello stesso decennio, sono, oltre a un inedito S. Francesco che riceve le stigmate (Firenze, collezione Giovanni Pratesi), un Angelo Annunziante e una Vergine Annunziata nel convento della Ss. Annunziata (Rott-Freund), una Madonna con Gesù Bambino e i ss. Maria Maddalena e Carlo Borromeo in S. Maria Assunta a Cozzile e le tele con l’Ordalia incenerisce i libri degli eretici nella disputa tra s. Domenico e gli albigesi e gli Angeli cingono s. Tommaso d’Aquino a difesa della castità nel convento di S. Maria Novella a Firenze (Conigliello, 2001): opere di buona qualità legate strettamente allo stile del M. di quel periodo.
Riferibile con probabilità al 1614 risulta il trasferimento del M. alla corte dell’arcivescovo principe M. Sittikus a Salisburgo. Non sono note al momento le reali motivazioni di questo spostamento forse connesso, come è stato ipotizzato in tempi recenti, all’attività di apostolato promossa dall’Ordine servita nei territori germanici minacciati dal movimento protestante (Mencarini, 1986, Biografie).
La presenza del M. a Salisburgo, testimoniata a più riprese per quasi un ventennio, sottolinea l’orientamento verso il linguaggio artistico italiano promosso in loco, già dai primi anni del secolo (ibid.).
Tra il 1616 e il 1619 il M. appare impegnato nella prima importante commissione locale: la decorazione di alcune sale della villa dell’arcivescovo Sittikus a Hellbrunn (Martin - Buberl). Improntati soprattutto su effetti illusionistici e artifici prospettici, questi affreschi, dipinti in ambienti destinati a concerti e a rappresentazioni teatrali, aprirono la strada, in territorio austriaco, alla pittura quadraturista, anticipando la fioritura di un genere che in ambito locale si svilupperà con originali caratteri autonomi verso la fine del Seicento.
All’attività di frescante il M. alternò importanti realizzazioni su tela destinate a luoghi di culto a Salisburgo e a varie località della regione. Databili approssimativamente tra il 1619 e il 1620 risultano, tra gli esemplari documentati o a lui attribuiti, un’Ascensione nella chiesa della Natività di Maria a Siezenheim, le Storie dei ss. Leonardo e Tommaso Becket in S. Leonardo a Hüttau, una Liberazione di s. Pietro in S. Pietro a Obertauern e un’Ultima Cena nello Städtisches Museum Carolino-Augusteum a Salisburgo (Rott-Freund).
Dal 1619 fino al 1630 il M. è documentato, seppur con periodiche interruzioni, in varie commissioni per il duomo di S. Ruperto a Salisburgo. Su incarico dell’arcivescovo P. Lodrone, egli eseguì opere di vario tipo legate in gran parte a un preciso programma iconografico, elaborato con cura dallo stesso committente, concepito come un Ut pictura sermo (Mencarini, 1986, Biografie). Rimasto danneggiato nel corso della seconda guerra mondiale, il ciclo pittorico, nato per fini strettamente didattici e realizzato con la collaborazione dell’allievo I. Solari, mostra originali schemi compositivi apprezzabili, per lo più, per i suggestivi tagli prospettici e per i gradevoli inserti narrativi. Benché finalizzato soprattutto ad affreschi destinati alla parte alta dell’edificio, l’intervento del M. comprese anche interessanti dipinti d’altare, tra i quali appare doveroso ricordare, per una migliore resa pittorica e qualitativa, il Cristo al limbo e la Resurrezione: opere visionarie e di forte impatto empatico, caratterizzate stilisticamente da un’impronta ligozziana, ormai diluita, e da un affascinante recupero rétro di memoria neomanierista.
Altre rilevanti allogazioni affidate od ottenute dal M. attraverso l’arcivescovo Lodrone risultano, tra il 1629 e il 1631, le Storie di s. Caterina d’Alessandria oggi presso la Biblioteca provinciale dei cappuccini a Trento, la serie di dipinti nella cappella di S. Ruperto in S. Maria Assunta a Villa Lagarina, le Storie di s. Carlo Borromeo in palazzo Lodron a Nogaredo e il Matrimonio mistico di s. Caterina d’Alessandria e santi in S. Caterina a Rovereto (Rott-Freund).
Definiti con severità formale e con formule iconografiche d’immediata leggibilità, questi si qualificano essenzialmente per il rigore descrittivo e per la funzione didascalica delle scene, frutto di una meditata filosofia teologale indirizzata, in chiave concettuale, alla restaurazione del cattolicesimo dopo la crisi e il diffondersi del protestantesimo nelle terre di lingua tedesca.
Attivo più o meno stabilmente in Austria e in Trentino, salvo probabili e brevi soggiorni in patria e forse un viaggio a Roma, citato da Baldinucci, il M. rientrò stabilmente a Firenze nel 1632. Accolto nuovamente nel convento della Ss. Annunziata, dove eseguì la grande tela con l’Elezione al generalato dell’Ordine di Angelo Maria Montorsoli per il capitolo (1634-36), il M., reduce dai successi conseguiti a Salisburgo ma ormai quasi dimenticato in Toscana, morì a Firenze il 10 marzo 1637 (Casalini, 1985).
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