MINALI, Donato Matteo. –
Si ignorano la data e il luogo di nascita del M., originario di Bellano, nel territorio dell’arcidiocesi milanese.
Le prime notizie disponibili lo vedono affermato finanziere come dimostrano i suoi cospicui prestiti al duca di Firenze Cosimo I de’ Medici, garantiti dal valore dei gioielli ducali: 36.500 scudi nel febbraio 1553, 36.000 scudi nell’aprile 1554 e 36.000 scudi nel dicembre 1554. Una stima successiva lo indica come creditore di Cosimo per ben 239.394 scudi (il terzo banchiere per importanza dopo i Fugger e Niccolò Grimaldi).
In seguito all’elezione (25 dic. 1559) al soglio pontificio del cardinale milanese Giovan Angelo de’ Medici, papa Pio IV, il M. poté trarre beneficio dagli stretti rapporti instaurati con il duca di Firenze.
Il 20 giugno 1560 Cosimo scrisse a Carlo Borromeo, cardinale nipote del nuovo papa e, ricordando di avere già proposto al pontefice alcuni mercanti per la gestione dei due uffici tradizionalmente loro riservati (Tesoreria e Depositeria generale della Camera apostolica), gli raccomandava il M., che si recava a Roma come «persona reale, discreta, et molto desiderosa che Sua Santità l’impieghi in qualche suo affar» e gli chiedeva di introdurlo presso Pio IV (Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, a cura di A. Sala, III, Milano 1861, p. 24).
Con un motu proprio del 30 luglio 1560, Pio IV assegnò al M. il Tesorierato generale della Camera apostolica, insieme con l’incarico di collettore generale degli spogli in Italia. Contestualmente alla nomina, il M. dovette, come da prassi, restituire al predecessore nell’ufficio, Cristoforo Cenci, i 15.000 scudi d’oro che questi aveva anticipato alla Camera apostolica. La designazione del M. destò il giubilo della corte fiorentina: da alcune lettere inviate dal cardinale Giovanni de’ Medici al tesoriere si evince come, nella sua nuova posizione, il finanziere venisse a rappresentare uno dei principali canali di comunicazione fra la corte medicea e quella papale.
Numerose e delicate furono le incombenze che Pio IV affidò al M., definito in un documento «intimus familiaris et continuus commensalis» (Archivio segreto Vaticano, Arm. LII, t. 1, c. 236v), quale, per esempio, l’ufficio di collettore apostolico di spogli, annate e censi e di ogni altra entrata spettante alla Camera apostolica nei Regni spagnoli.
Nell’autunno 1560 il M. si recò a Genova – molto probabilmente per stringere accordi in quella importante piazza finanziaria – e, al suo ritorno a Roma, ai primi del 1561, fu incaricato, insieme con il cardinale Giovanni Antonio Serbelloni, un altro dei nipoti del papa, di rivedere i conti del depositario generale della Camera apostolica, il banchiere genovese Tommaso Marino e, nel maggio seguente, ricevette l’incarico di amministrare la Depositeria generale della Camera apostolica, dopo la rinuncia di Marino. Nell’aprile 1561, Pio IV conferì al M. i pieni poteri per procedere sommariamente nei confronti degli usurpatori degli spogli apostolici in Italia. Due mesi dopo, un motu proprio del papa dava mandato al M. di sovrintendere alla costruzione di una flotta di otto triremi per la difesa delle coste tirreniche dello Stato della Chiesa e all’armamento di altre due triremi donate da Cosimo I al conte Federico Borromeo, nipote del papa, nonché alla provvista di rematori tra i condannati alla pena del remo. La piena fiducia che il M. godeva presso Pio IV è testimoniata anche da altri episodi: nel settembre 1561, il tesoriere esercitò con successo pressioni sul cardinale Alfonso Carafa, nipote del defunto papa Paolo IV e da poco liberato dalla prigionia, affinché cedesse per un terzo del suo valore l’affitto dei beni dell’abbazia lodigiana di S. Stefano del Corno a Carlo Borromeo. Un ruolo importante il M. ebbe in occasione della ripresa del concilio di Trento, in quanto incaricato di far fronte alle esigenze economiche dei padri conciliari con invii di denaro al depositario del concilio.
Allo stesso tempo, il M. provvide alla carriera dei due figli, Annibale e Ascanio, nati dal matrimonio con Elisabetta Petriciolli, proveniente da una famiglia agiata di Lerici. Fece entrare entrambi nell’Ordine dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme e cercò di ottenere – non è chiaro per quale dei due – l’abbazia di S. Vittore e Corona di Grazzano nel Monferrato. Poiché l’abbazia era di patronato dei duchi di Mantova, il M. si premurò di cercare il sostegno del cardinale Francesco Gonzaga di Guastalla, il quale, nel perorare la causa, sottolineò come il tesoriere fosse «gentilhuomo che oltre che è servitore molto caro a Nostro Signore è appresso per sé stesso meritevole d’ogni favore» (lettera di F. Gonzaga al duca di Mantova, Roma, 30 nov. 1563, cit. in Tamalio, p. 148).
Sul M., in quanto principale artefice della politica finanziaria della Santa Sede, si andarono nel frattempo levando le critiche di quanti accusavano l’eccessiva esosità delle autorità pontificie: insieme con il camerlengo Vitellozzo Vitelli, egli era infatti indicato dall’ambasciatore veneziano Giacomo Soranzo come componente di «una nuova camera secreta, nella quale si accetta ogni sorte di denunzie, e si van rivedendo le cose vecchie e i conti della camera apostolica; e ogni cosa che si trova che non sia ben chiara, tutto si riduce a composizione di denari» (Relazione di Roma di Giacomo Soranzo 1565, in Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, X, Firenze 1857, p. 133).
Alla morte di Pio IV (9 dic. 1565) la carriera del M. subì un brusco arresto. Nel gennaio 1566, il neoeletto Antonio Ghislieri, papa Pio V, nominò il banchiere fiorentino Bartolomeo Bussotti nuovo tesoriere. Il M., chiamato secondo la prassi a rendere conto della sua amministrazione finanziaria, non fu in grado di celare gravi ammanchi contabili. Stando alla sua stessa testimonianza, egli aveva cercato di raggiungere un accordo con il papa per mezzo del cardinale Alessandro Farnese, promettendo una duplice cauzione per complessivi 65.000 scudi (a tale proposito è da segnalare che Cosimo I, in data 1° giugno 1566, concesse al M. un prestito di 15.000 scudi) e di versare in seguito ciò che gli fosse stato richiesto, ma il nuovo tesoriere aveva rifiutato alcune delle garanzie offerte per le somme in questione. Vista la gravità delle malversazioni attribuite al M. e la delicatezza della materia in questione, Pio V con motu proprio del giugno 1567 delegò la conduzione del processo criminale a Baldo Ferratini, vescovo di Amelia e governatore di Roma. L’attività del M. come tesoriere generale parve assai poco giustificabile: durante il processo emerse una lunghissima serie di appropriazioni indebite di denaro della Santa Sede, da lui disinvoltamente utilizzato per svolgere attività bancarie in proprio. In particolare risultò che aveva approfittato del maneggio delle ingenti somme stanziate dal papa per sopperire ai bisogni del concilio di Trento e che aveva intascato 23.100 scudi d’oro inviati, ma mai giunti a destinazione, al cardinale Ercole Gonzaga. Nel novembre 1568, il giudice emise la sentenza contro il M., reo confesso, che fu condannato alla trireme perpetua, al pagamento di 55.000 ducati d’oro di Camera, alla confisca dei beni e alla pubblica fustigazione in Campo de’ Fiori.
L’estrema durezza della sentenza lascia intuire che il M. pagò di persona la volontà di Pio V di rompere con alcuni orientamenti di Pio IV, che aveva voluto l’infamante condanna a morte dei nipoti di papa Carafa, la cui riabilitazione papa Ghislieri volle in omaggio alla memoria di Paolo IV, suo antico patrono.
Il M. morì in carcere a Ostia nel luglio 1569.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 891, c. 53v; Arch. di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Processi del XVI secolo, vol. 121, cc. 125, 128, 182-187; Arch. segreto Vaticano, Camera apostolica, Diversa Cameralia, t. 194, cc. 156v-160r; t. 203, cc. 108r, 109v-110; Arm. XLII, t. 14, cc. 171-174r; Arm. LII, t. 1, cc. 214, 236-238r; Lettere del cardinale Gio. de Medici figlio di Cosimo I gran duca di Toscana, a cura di G.B. Catena, Roma 1752, ad ind.; Die römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV, a cura di J. Šusta, IV, Wien 1914, ad ind.; Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, III, Diariorum pars tertia, II, Friburgi Brisgoviae 1985, ad ind.; F.A. Vitale, Memorie istoriche de’ tesorieri generali pontificij dal pontificato di Giovanni XII fino a’ nostri tempi, Napoli 1782, p. XLIII; G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna, XX, Torino 1850, p. 381; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, VIII, Roma 1924, p. 50 e nn. 5 s.; G. Carocci, Lo Stato della Chiesa nella seconda metà del Cinquecento, Milano 1961, pp. 35, 62, 143; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, pp. 106-108; Aspetti della Riforma cattolica e del ccncilio di Trento. Mostra documentaria, a cura di E. Aleandri Barletta, Roma 1964, ad ind.; V. Parigino, Il tesoro del principe. Funzione pubblica e privata del patrimonio della famiglia Medici nel Cinquecento, Firenze 1999, ad ind.; R. Tamalio, Francesco Gonzaga di Guastalla cardinale alla corte romana di Pio IV, Guastalla 2004, pp. 147 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXIV, p. 290.
M.C. Giannini