Donato (Aelius Donatus)
Grammatico latino (forse Roma, metà del IV secolo). Le Artes grammaticae di Donato, l'Ars minor in otto capitoli e l'Ars maior in tre libri, costituirono, insieme alle Institutiones grammaticae di Prisciano, i testi ufficiali dell'insegnamento primario del Medioevo. La sua fama in questo campo fu vastissima e assicurata anche dagli apprezzamenti che della sua opera fecero Prisciano e Cassiodoro; è testimoniata dai numerosi e autorevoli commentari (di Servio, lo pseudo Sergio, Cledonio, Pompeo, Giuliano di Toledo, dell'Anonimo di Einsiedeln, di Remigio di Auxerre, di Erchanbert di Freising, di Paolo Diacono). Sono queste attestazioni della gloria di Donato (Servio scrive che ha strutturato la sua opera " proprie et doctius "; Cledonio lo chiama " doctissimus ") che hanno indotto D. a porre Donato nel cielo del Sole fra i dodici sapienti della seconda corona (Pd XII 137-138 e quel Donato / ch'a la prim'arte degnò porre mano). La citazione dell'Ars (la prim'arte) chiarisce che si tratta proprio di Donato. Il fatto che si trovi qui in tanta gloria non deve però far pensare che D. abbia confuso Donato con altro personaggio più famoso (Pézard, Renucci): bastarono al poeta la notizia che Donato era stato maestro di Girolamo (Chron. Olimp. 283, 2, dov'è citato insieme a Mario Vittorino, sì da rendere credibile che l'avvocato de' tempi cristiani, che è fra i dodici sapienti della prima corona in Pd X 119, possa essere identificato appunto con Mario Vittorino, v.); il riconoscimento indiscusso della sua fama e, infine, la coscienza dell'importanza dell'Ars grammaticae (cfr. Scauro apud ps. Serg. Explanatio in Donati grammaticam, in Grammatici latini, a c. di H. Keil, IV 486 r. 10 " ars est cuiusque rei scientia usu vel traditione suscepta ").
La citazione di Virgilio (Aen. I 664-665 " nate, meae vires, mea magna potentia solus, / nate, patris summi qui tela Typhoea temnis ") in Cv II V 14 Figlio, vertù mia, figlio del sommo padre, che li dardi di Tifeo non curi, rispecchia una cattiva lettura del testo di Virgilio, dato che D. riferisce erroneamente il " patris summi " a " nate ", e non, com'era giusto, a " tela ". L'errore di D. può essere stato causato dal fatto che egli abbia citato a memoria (il verso di Aen. I 665 è assai popolare e citato avulso dal testo da Priscano Gramm., in Grammatici, cit., II 73 r. 19 e insieme al v. 664, come esempio di anafora, da Carisio Gramm., ibid. I 281 r. 16-17, da Diomede Gramm., ibid. 445 r. 15-16, da Donato Gramm., ibid. IV 398 r. 7-8 e dal suo commentatore Pompeo Gramm., ibid. V 302 r. 35-36, da Sacerd. Gramm., ibid. VI 458 r. 9-10); oppure D. eredita un errore che rimonta " au ‛ pédagogue de Florence ' qui expliquait les deux manuels de grammaire " (Renucci); oppure infine D. potrebbe aver seguito un'interpunzione errata " nate patris summi, qui tela ", quale appunto è registrata da H. Keil nella sua edizione di Donato Gramm., in Grammatici, cit., IV 398 r. 8.
Bibl. - A. Pézard, D. sous la pluie de feu, Parigi 1950, 164-168; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, ibid. 1954.