DONATO
Nulla conosciamo, per il silenzio delle fonti note, circa le origini e la vita di D. anteriormente al 717, quando venne eletto a succedere sulla sede di Grado al defunto metropolita Cristoforo.
La tradizione e la moderna storiografia sono concordi nell'attribuire a D. il titolo di patriarca, ma si tratta di una indicazione arbitraria. Solo agli inizi del sec. IX, infatti, durante il governo di Fortunato, il metropolita di Grado assunse il titolo di patriarca. Le fonti successive lo attribuirono, in virtù di una consuetudine ormai accreditata, anche ai predecessori di Fortunato.
Il governo di D. fu caratterizzato dal riacutizzarsi della mai risolta vertenza che aveva avuto origine col trasferimento della sede episcopale da Aquileia a Grado nel 569, al tempo della invasione longobarda.
Sul finire del sec. VII a Grado, in territorio ancora soggetto al dominio bizantino, si trovava un presule di obbedienza cattolica, il quale era riconosciuto dalla Chiesa di Roma e rivendicava per sé l'eredità dell'antico titolo aquileiese e come vescovo di Aquileia si sottoscriveva. A Cormons (e non più ad Aquileia), entro i confini del Regno dei Longobardi, risiedeva invece un altro vescovo, che pure vantava diritti sull'antica diocesi di Aquileia: scismatico (accoglieva infatti le dottrine dei "Tre Capitoli"), non era tuttavia riconosciuto dalla Chiesa di Roma e veniva designato semplicemente come "Foroiuliensis antistes" o come "episcopus Foroiuliensis".
La conversione del re dei Longobardi Cuniperto e del suo popolo all'ortodossia romana modificò la situazione, ponendo fine al dissidio che teneva separata dalla comunione con la Chiesa di Roma la sede episcopale friulana. Il clero di quest'ultima si indusse infatti prontamente ad aderire in campo religioso alla posizione assunta dal sovrano. Ciò non mancò di ripercuotersi anche nella vita e nelle vicende della Chiesa gradense, la quale, arrogandosi la prerogativa di essere l'unica legittima continuatrice del titolo aquileiese, si oppose, facendosi forte di questa pretesa, alla restaurazione dell'antica unità metropolitica. Il problema non era solo di natura religiosa, ma interessava anche la sfera temporale, riguardando ovviamente anche i territori su cui si sarebbe dovuta esercitare la giurisdizione ecclesiastica.
Ambedue i vescovi, ora entrambi riconosciuti dal pontefice, rivendicavano a sé gli antichi diritti metropolitici; e ai loro interessi personali si aggiungevano quelli delle potenze delle quali essi erano sudditi. La ricostituzione dell'unità a favore dell'uno o dell'altro avrebbe in ogni caso turbato l'equilibrio dei rapporti longobardo-bizantini, per l'addentrarsi nei rispettivi territori di giurisdizioni i cui titolari dimoravano al di là del confine ed erano soggetti a sovranità straniera.
La formula adottata dalla Sede apostolica per conciliare le opposte esigenze fu in sostanza ispirata al mantenimento dello status quo che evitava, nei limiti del possibile, di alterare equilibri tanto delicati. Nel 721 infatti, quando fu eletto il vescovo friulano Sereno, il papa Gregorio II riconobbe la legittimità dell'eletto, lo insediò solennemente, consentendo senz'altro a che ricevesse la regolare consacrazione e gli concesse l'investitura del pallio, ma non entrò nel merito della questione del titolo. Tuttavia, per quanto riguardava il problema giurisdizionale e territoriale, il papa si attenne rigidamente all'esempio dei suoi predecessori, ammonendo Sereno a non pretendere di esercitare diritti sin'allora stati di altri (lettera del 1º dic. 723).
Questa soluzione fu però ben presto violata dal presule friulano che appunto in quel torno di tempo intervenne in territori sottoposti alla giurisdizione del vescovo di Grado, suscitando le proteste di D., che si rivolse a Gregorio Il per avere giustizia. Il pontefice reagì richiamando con energia Sereno al rispetto dell'uti possidetis, entro i confini politici ed ecclesiastici del Regno longobardo (lettera ai vescovi della Venezia e dell'Istria. Tale lettera non reca datazione; alcuni studiosi ne hanno revocato in dubbio l'attendibilità).
Di lì a poco, dopo sette anni di governo secondo le fonti (Origo..., p. 44), attorno al 724 quindi, D. morì.
La sua successione fu assai laboriosa e non immediata. Alla sua scomparsa, aveva preso arbitrariamente le funzioni di vescovo di Grado il vescovo di Pola, Pietro. Il 1º marzo 725 Gregorio II intimò a Pietro di ritornare nella sua diocesi ed affidò nel contempo ai vescovi della Venezia e dell'Istria il compito di eleggere il successore di D. (lettera del 1º marzo 725). La vacanza della sede di Grado durò tuttavia ancora a lungo, fino al 730 circa, quando fu consacrato Antonino.
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