DONAZIONE (lat. donatio)
"La donazione è un atto di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia attualmente e irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l'accetta" (art. 1030 cod. civ.). Per i caratteri di attualità e d'irrevocabilità la donazione si distingue dalla disposizione testamentaria. In conseguenza dell'irrevocabilità, intesa come non revocabilità ad arbitrio del donante, sono nulle: la donazione a causa di morte; la donazione di beni futuri, cioè di beni che il donante sarebbe libero, anche dopo la donazione, di acquistare o non acquistare (art. 1064); la donazione fatta sotto condizione la cui esecuzione dipenda dalla sola volontà del donante (art. 1066); la donazione fatta con la riserva da parte del donante di disporre dei beni donati (art. 1069) e quella fatta con l'obbligo a carico del donatario di soddisfare i debiti futuri del donante (art. 1067).
Nel diritto italiano sono incapaci di donare i minori di anni 21, gl'inabilitati, gl'interdetti (legali o giudiziali) e tutti coloro per cui si possa provare lo stato di non sanità di mente al tempo della donazione (articoli 1052 e 763), sicché, se tutti coloro che non sono capaci di testare sono pure incapaci di donare, non è vero il contrario (v. successione). Per l'eccezione fatta dalla nostra legge (articoli 1386 e 1387) i minori, anche se non emancipati, e gl'inabilitati possono far donazione nel loro contratto di matrimonio: i primi con l'assistenza delle persone il cui consenso è necessario per la validità del matrimonio, e i secondi con l'assistenza di un curatore speciale. Incapaci di ricevere per donazione sono gl'incapaci di ricevere per testamento o per successione ereditaria in generale (v. articoli 1053, 764 e segg., 724, 725); cioè, in senso assoluto, i non concepiti (meno i nascituri non concepiti che siano figli immediati da una determinata persona vivente al tempo della donazione); in senso relativo, cioè rispetto al solo donante, gl'indegni, in quanto la donazione non implichi senz'altro la loro riabilitazione; il tutore nei rapporti con l'amministrato; il notaio e i testimonî in base al contratto di donazione concluso rispettivamente col ministero o con l'assistenza di essi. Incapaci per incapacità relativa e parziale sono (qualora consti del relativo rapporto di filiazione o sia possibile ottenere la giudiziale dichiarazione) i figli naturali semplici (potendo essi ricevere solo nei limiti della successione intestata), i figli adulterini o incestuosi (potendo essi ricevere solo sino all'ammontare degli alimenti) e incapace è il nuovo coniuge del binubo (non potendo il detto coniuge ricevere che sino alla porzione del meno favorito dei figli del precedente matrimonio). Mentre la donazione a figli adulterini o incestuosi può essere ridotta sin dal momento in cui vien fatta, quanto ai figli naturali semplici bisogna attendere l'apertura della successione al donante per potere stabilire se e dentro quali limiti la donazione debba essere ridotta; e l'incapacità del coniuge del binubo si deve riferire alle donazioni fatte prima del nuovo matrimonio, essendo nel nostro diritto vietate le donazioni tra coniugi. Nei rapporti tra coniugi, in base al divieto ora menzionato e risultante dall'art. 1054, si ha un'altra incapacità, che è relativa e totale, di ricevere per donazione e di donare, e tra coniugi sono nulle anche le donazioni indirette e quelle mascherate sotto un apparente contratto oneroso.
Dall'incapacità di ricevere per donazioni va distinta l'incapacità di accettarle. Chi è incapace di ricevere è a fortiori incapace di accettare, non viceversa. Sono incapaci di accettare donazioni i minori, gl'interdetti, gl'inabilitati. I minori emancipati e gl'inabilitati possono accettare col consenso del curatore (art. 1059); per i minori non emancipati l'accettazione vien fatta dal genitore esercente la patria potestà e, in mancanza, dal tutore, per gl'interdetti dal tutore; e, trattandosi di donazioni soggette a pesi o condizioni, occorre che il tutore sia autorizzato dal consiglio di famiglia, talvolta con l'omologazione del tribunale (articoli 296 e 301) e può occorrere che il genitore venga autorizzato dal tribunale (art. 224). Poiché l'accettazione di una donazione avvantaggia ordinariamente il donatario, la legge nostra da un canto fa obbligo al rappresentante dell'incapace di accettarla, dichiarandolo responsabile del risarcimento dei danni qualora l'accettazione non venga fatta senza giustificati motivi (art. 1063), d'altro canto essa, onde assicurare meglio, a chi è incapace di accettare, gli effetti della donazione, dà la facoltà (non l'obbligo) a persone legate col donatario da stretti vincoli di parentela con l'autorizzazione del tribunale in sostituzione del rappresentante di uno dei detti incapaci; e tale accettazione da parte di questi altri parenti si ha, esclusivamente, nel caso in cui la donazione all'incapace sia fatta dallo stesso rappresentante (articolo 1059, 1° e 2° capov.). Le persone giuridiche sono pure incapaci di accettare donazioni senza la prescritta autorizzazione (articoli 1060 e 932). Fatta l'accettazione in tutti i casi suddetti in conformità alle disposizioni di legge, la donazione vale come se accettata da un donatario pienamente capace; in caso diverso la nullità della donazione potrebbe opporsi dal donante e dai suoi eredi o aventi causa (art. 1061). L'accettazione, che segna il momento a decorrere dal quale il donante è giuridicamente vincolato, deve essere espressa e risultare da un atto pubblico, che può essere un atto separato posteriore, contenente anche la donazione; solo la donazione in vista di un futuro matrimonio (che può esser fatta o dai futuri sposi tra loro o da altri a favore degli sposi o della prole nascitura) non è impugnabile per mancanza di accettazione formale (art. 1062). E mentre l'accettazione nei casi ordinarî, oltre che dal donatario personalmente, può farsi da un suo rappresentante volontario, in base a procura, relativa a una determinata donazione o ad una donazione qualsiasi (art. 1058), non è valido - secondo l'opinione prevalente - il mandato generico a donare o a donare cui voles.
Ci sono norme restrittive della libertà di donare: è necessario l'atto pubblico per tutte le donazioni ordinarie; e, donandosi cose mobili, occorre specificarle e valutarle, o nello stesso atto pubblico di donazione o con atto separato (articoli 1056 e 1070). L'atto pubblico si deve escludere solo nei casi di donazioni indirette e nei doni manuali. Per la mancanza dell'atto pubblico (o dell'altra formalità richiesta nella donazione di cose mobili) è nulla la donazione di nullità insanabile, con la conseguenza che, se il donante volesse dare effetto alla donazione, nulla per difetto di forma, la dovrebbe rifare, mentre per esplicita disposizione di legge (art. 1311) si deve ammettere che da parte degli eredi o aventi causa dal donante si possa confermarla espressamente ovvero tacitamente, cioè con l'esecuzione volontaria.
Requisito essenziale della donazione è l'animus donandi, che costituirebbe la causa giuridica del contratto. Modalità apponibili alla donazione sono la condizione, il termine e il modus. Tutte le condizioni si possono apporre purché non siano impossibili o illecite e non facciano dipendere gli effetti della donazione dalla sola volontà del donante. Casi notevoli di donazione sotto condizione sono la donazione in riguardo di un determinato futuro matrimonio e la donazione col patto di riversibilità. Una donazione con termine si avrebbe nella donazione con riserva di usufrutto a favore del donante o di terzi, in quanto l'inizio del godimento da parte del donatario resta rinviato alla cessazione dell'usufrutto. Il modus consiste nell'obbligo a carico del donatario di eseguire una prestazione a favore del donante o di un terzo, o di fare un determinato uso della cosa donata nell'interesse dello stesso donatario: la donazione assume allora l'aspetto di un contratto bilaterale ed è ammessa la risoluzione per inadempimento del modus (art. 1080).
Gli effetti della donazione si hanno in correlazione al suo vario contenuto. Non essendo la donazione un contratto con corrispettivo, si deve escludere di regola la responsabilità del donante per evizione (o per i vizî o difetti occulti della cosa donata); eccezionalmente si ammette la responsabilità per evizione (art. 1077) quando la donazione sia fatta per costituire la dote, quando il donante abbia promesso espressamente la garantia, quando l'evizione dipenda da dolo o fatto personale del donante, quando si tratta della donazione con onere o sub modo (in quest'ultimo caso sino a concorrenza dell'importare dell'onere). Dalla donazione non derivano senz'altro, a carico del donatario, né l'obbligo di somministrare gli alimenti al donante né l'altro di pagarne i debiti, potendo il primo obbligo sussistere come onere espressamente imposto e il secondo aversi tacitamente, in una donazione di tutto il patrimonio o di una quota al netto.
La nostra legge ammette due specie di revoca della donazione in base a circostanze obiettive, che possono sopravvenire, e quindi senza contraddire al detto carattere dell'irrevocabilità: la revoca per ingratitudine del donatario verso il donante e l'altra per sopravvenienza di figli a quest'ultimo. La prima, secondo l'art. 1081, si ha se il donatario abbia attentato alla vita del donante (a fortiori se l'abbia ucciso), se il donatario siasi reso colpevole verso quest'ultimo di altro crimine, sevizie e ingiurie gravi, se gli neghi gli alimenti indebitamente (cioè avendone l'obbligo o per legge o per patto). La seconda revoca si ha se, non avendo il donante figli o discendenti legittimi viventi al tempo della donazione, gli sopravvenga un figlio legittimo, ancorché postumo, o un figlio naturale (nato dopo il matrimonio) legittimato per susseguente matrimonio (art. 1083). Ci sono delle differenze tra le dette due revoche, che pur si effettuano entrambe per sentenza di magistrato e si possono avere entrambe riguardo a tutte le donazioni (escludendosi solo le donazioni con riguardo a un futuro matrimonio e le puramente remuneratorie): l'azione di revoca per ingratitudine, fondata sul risentimento del donante per la patita offesa, ha un carattere strettamente personale e non può essere promossa dagli eredi del donante contro il donatario che nel caso in cui il donante muoia prima del decorso dell'anno, e mai dal donante contro gli eredi del donatario, restando la detta azione sottoposta a un termine di decadenza, che è di un anno. L'altra azione di revoca per sopravvenienza di figli, stabilita nell'interesse di tutta la famiglia del donante, non ha carattere personale e può essere promossa entro cinque anni, rinnovandosi il termine alla nascita di un nuovo figlio. Trattandosi di donazioni reciproche, revocata per sopravvenienza di figli al donante una delle due donazioni, rimane revocata anche l'altra, mentre non si può dire altrettanto se la revoca avvenga per ingratitudine del donatario. Quanto alla riduzione delle donazioni per lesione di legittima, essa va trattata dal punto di vista della successione ereditaria (v. successione).
Per la donazione di Costantino v. costantino e per quella di Carlomagno v. carlomagno.
Bibl.: A. Ascoli, Trattato delle donazioni, Firenze 1898; V. A. Cottino, Le donazioni nel diritto civile italiano, Torino 1913; A. Fulci, Delle donazioni, Studi, Messina 1877; G. Piola, Donazione, in Digesto italiano, Torino 1901; T. Preda, Donazione, in Dizionario pratico del diritto privato, Milano 1907; C. Scuto, Le donazioni. Corso di lezioni, Catania 1928; V. Vitali, Delle donazioni, in P. Fiore, Il diritto civile italiano, Napoli-Torino 1914.