DONDINI
Il capostipite di questa famiglia di attori fu Carlo, che il Rasi definì "artista di molto pregio per le parti di primo attore e generico primario". Vaghe e incerte sono le notizie circa le sue origini. Nacque forse a Cento (Ferrara), dove risiedeva un ramo della nota famiglia Dondini - ma non si sa se Carlo ne fosse discendente -, nella seconda metà del sec. XVIII. Si sarebbe recato, all'epoca della Repubblica Cispadana, a Bologna per arruolarsì pervenendo al grado di capitano. Avendo recitato con successo come filodrammatico, decise di dedicarsi alla professione di attore e si scritturò nella compagnia di G. Pucci, del quale sposò la figlia Teodora (che da prima amorosa a caratterista percorrerà tutto l'arco dei ruoli). Dopo essere stato per qualche tempo capocomico con la moglie prima attrice, si associò alla compagnia Benferreri con lei e il figlio Cesare, allora decenne (nel carnevale del 1817 era presente al teatro Tordinona di Roma). Nella quaresima successiva, scritturati da A. Raftopulo, furono accompagnati per mare a Palermo e qui abbandonati, dopo cinque mesi di traversie economiche. Formata coi soci di sventura una compagnia, percorsero l'isola, a piedi o su muli, recitando quando e dove potevano, con mezzi di fortuna, fino al 1825. Guadagnato il necessario per lasciare la Sicilia, si recarono a Napoli, dove una sovvenzione di S. Fabbrichesi, capocomico al teatro dei Fiorentini, permise loro di recitare fino al carnevale del 1826. Dopo di allora riscossero un discreto successo a Marcianise e furono scritturati nella compagnia Tassani (Carlo per le parti dignitose). Nel 1827 questi morì o si ritirò dalle scene, come arguì il Rasi, perché il suo nome non compare più negli elenchi delle compagnie del tempo.
Cesare senior, figlio di Carlo e di Teodora Pucci, nacque a Cuneo il 4 dic. 1807. A dieci anni, quando i genitori si trovavano col Benferrerì al teatro Tordinona, esordì con successo in una parte di pulcinellino, poi li seguì in Sicilia, stentando la vita per otto anni. Nel 1826 cominciò a recitare parti di secondo amoroso nella compagnia di L. Tassani, nel 1828 fu generico nella compagnia Mazzeranghi e Marianì, diretta da L. Pisanì., e diventò noto nella compagnia Solmi e Pisenti, creando la parte del protagonista, cedutagli da questo, in Diplomatico senza saperlo di E. Scribe, con tale successo che i capocomici, da allora in poi, gli affidarono il ruolo del brillante, puntando sul sicuro gradimento del pubblico. Dal 1835 al 1845 fu attivo nella compagnia di R. Mascherpa e fino al '53 nella Reale Sarda; divenuto capocomico, si associò a C. Cazzola (successivamente a G. Pezzana, ad A. Pedretti, a T. Salvini) e assunse il ruolo di caratterista e promiscuo, cedendo quella di brillante al fratello Achille. Si scritturò infine nella compagnia G. Peracchi, dalla quale uscì nella quaresima del 1870, lasciando definitivamente il teatro. Morì a Trieste il 20maggio 1875.
Il Rasi scrisse che Cesare "fu attore di una verità e spontaneità meravigliosa. Aveva fatto mezza la parte all'apparire in scena (in arte lo chiamavano buzzo, a causa della sua splendida pancia), l'altra metà la faceva, dicendola, con una semplicità di mezzi sorprendente. Non si capiva se recitasse; non faceva nulla, discorreva: ma intanto il pubblico era tutto suo. Della vasta opera goldoniana fu un interprete valorosissimo, il più valoroso forse di quanti furono a' bei tempi di Goldoni stesso. 1 personaggi boriosi e stangati del marchese di Forlimpopoli nella Locandiera e del conte nel Ventaglio erano, incarnati da lui, altrettanti poemi". Tra le testimonianze sono degne di menzione quelle di G. Modena, di E. Rossi e di T. Salvini che insistono tutti sulla naturalezza della sua recitazione; nel Michele Perrin di Mélesville (A. H. Duveyrier) costruì in modo così stupefacente la figura del bonario prete di campagna che il Rossi considerò questa interpretazione addirittura superiore a quella creativa di H.-M.-D. Bouffé a Parigi; sempre il Rossi tramandò la notizia che l'attore, come padre, alla lettura della lettera ne Il bugiardo del Goldoni faceva ridere e piangere ad un tempo.
Achille, altro figlio di Carlo e Teodora Pucci, nacque nel 1818 a Ragusa e fu "attore di pregio per le parti di brillante e di caratterista". Dopo aver ricoperto nella compagnia Mascherpa il ruolo di generico e secondo brillante, divenne brillante assoluto in quella che il fratello Cesare aveva formato nel 1853. Quando questi lasciò il capocomicato, Achille abbandonò le parti brillanti per dedicarsi ai ruoli di caratterista e di promiscuo, nei quali cominciò ad avere successo. Nel 1860 sposò Maria Masi di Rimini (morta prematuramente nel 1872, dopo essere stata prima donna giovane "con molto plauso"); rimasto vedovo, si unì con Rosina Ingargiola di Castelvetrano, "artista di qualche pregio". Il Rasi raccontò "ch'era ottimista per eccellenza, che finiva col prestar gratis a' comici che si staccavan da lui le scene e le tende a lui indispensabili, che aveva tavola imbandita, che le sventure altrui faceva sue ..." e G. Cauda lo definì "un distratto in sommo grado", soffermandosi su qualche patetico aneddoto. Nel 1875 fu ricoverato per alcuni mesi nel manicomio di S. Isaia in Bologna, in seguito a una crisi depressiva. Dopo essere vissuto per qualche tempo nel benessere, morì povero a Pordenone il 1ºapr. 1886, per un colpo apoplettico sopravvenuto sulla scena, durante il primo atto de Il tiranno di S. Giusto di L. Pilotto. Sempre il Rasi tramandò che come maestro ne I Rantzau di E. Erckmann-A. Chatrian "ebbe assai pochi che l'uguagliassero, niuno che lo superasse".
Cesare iunior (Cesarino, Cecè), figlio di Achille e di Maria Masi, nacque a Torino l'11 dic. 1861. Esordì a sette anni ne La capanna del re galantuomo di F. Garelli; dopo un periodo trascorso in collegio a Cesena e a Porlezza e la frequenza dell'istituto tecnico di Bologna, intraprese a recitare regolarmente, passando rapidamente dal ruolo di generico a quello di secondo brillante e di brillante dal 1879 al 1881; tornato al teatro dopo il servizio militare, fu scritturato dal padre come primo attor giovane. Il Leonelli si chiedeva se questo fosse l'obiettivo del D., in quanto il ruolo gli valse poco e con fatica egli dovette ricominciare il tirocinio in quello nel quale si sarebbe affermato autorevolmente. Dopo qualche disavventura finanziaria, trovò un maestro in G. Emanuel, che lo scritturò quale secondo brillante. Con questo rimase in America dal 1889 al 1893 facendo parte della compagnia G. Modena (così intitolata per desiderio del D.); in patria fu scritturato per il triennio 1894-97 come brillante dall'Emanuel, che ne riconobbe così l'effettiva maturità: fu allora che ebbe la sua prima affermazione impersonando il pazzo nel Re Lear di W. Shakespeare. Dopo aver sposato il 21 marzo 1895, a Lecce, l'attrice Armida Bergonzio, fu con E. Novelli nel 1897-98 e nella compagnia del teatro d'Arte di Torino diretta da A. De Sanctis nel 1898-99, stagione sfortunata per gli organizzatori, ma apportatrice di diverse soddisfazioni all'attore che recitava al meglìo delle sue possibilità nel repertorio molieriano. Proprio allora così ne scrisse il Rasi: "Cesarino Dondini è artista di assai merito per le parti comiche, ammirato dovunque, specialmente per correttezza e spontaneità di dizione".
Al triennio 1900-03 si deve ascrivere un suo personale successo nella prima italiana di Madame Sans.Gêne di V. Sardou-C. Moreau (compagnia Pasta-Reiter, teatro Costanzi di Roma, 6 ott. 1900) e al 1908-10 la creazione del personaggio di Pietro nella prima italiana de I maggiolini di E. Brieux (Compagnia stabile romana, teatro Argentina di Roma, 15 dic. 1908). In questi anni vi ricoprì funzioni di vice o codirettore, dimostrando acuto spirito critico e squisita sensibilità; nel 1909 comparve in uno dei primi film muti italiani, Otello, diretto da Yambo (G. E. Novelli); nel 1912 e nell'anno successivo diresse il teatro delle Quattro Fontane di Roma, si scritturò come caratterista e promiscuo con la Aguglia-Ferraù, dirigendone le tournées in America; fu primo direttore di buone compagnie durante la prima guerra mondiale (notevole l'esperienza, nel 1917, nella Carini-Gentilli- Dondini-Baghetti).
Il Simoni lo ricordò per due interpretazioni quando faceva parte della compagnia del teatro Eclettico: per la ripresa de La vena d'oro di C. Zorzi (teatro Manzoni, 6 giugno 1919, parte del medico) annotò che "l'esecuzione fu soprattutto eccellente da parte di Cecè ... egli è di quei pochi che sanno ancora imprimere un carattere a un personaggio" e, per il festeggiatissimo Miles gloriosus di Plauto (stesso teatro, 25 giugno successivo), affermò che il D. "comprese bene che cosa doveva essere teatralmente il gradasso, non un carattere ma una caricatura; e lo tratteggiò alla brava, dandogli un volto di stupidità e di sussiego, e abbandonandosi ad una comicità senza premeditazioni e senza schifiltosità, larga e spessa" (D'Amico, che lo vedrà al teatro Valle di Roma il 7 ottobre successivo, rincalzerà che "Pirgopolinice ... sembrava uscito da una pittura vascolare").
Nel 1920 il D. abbandonò le scene per dirigere la scuola di recitazione annessa al conservatorio di S. Cecilia in Roma.
Gentiluomo riservato, con un leggero sorriso scettico e il monocolo incastonato nell'orbita dell'occhio destro, Cesarino fu un modesto e un appartato che non seppe mai gestire la propria popolarità; fu ritenuto uno degli attori più colti del suo tempo anche se non aveva compiuto studi superiori ("il Pico della Mirandola degli attori", ebbe a scrivere il D'Amico), conobbe il francese e lo spagnolo, studiò l'archeologia e parve, a chi lo ascoltava discorrerne, più che un dilettante.
Tutto questo gli ottenne stima ed affetto durante il suo incarico che durò sino alla vigilia della morte, avvenuta in Roma per un male incurabile l'8 nov. 1922.
Il suo profilo, scritto da A. Varallo, tramanda una sapida descrizione dei personaggi di Foupin ne Inostri buoni villici di V. Sardou e del principe di Metternich ne L'aiglon di E. Rostand, come le facce opposte di una stessa medaglia, della grande, autentica viscomica di chi non soltanto sa far sorridere per attribuzione di ruolo, ma di chi commenta e critica la vita. Quello, più articolato, del D'Amico, insiste sulla determinazione dell'attore di essere sempre nuovo e diverso, di interpretare il teatro di ogni epoca e stile, dai quadri sociali La vita pubblica e Iventri dorati di E. Fabre al Figaro de Ilmatrimonio di Figaro di P. A. Caron de Beaumarchais, a L'avaro e a Gliinnamorati di C. Goldoni, a La scuola delle mogli di Molière, all'insegna di una frase di E. Duse, divenuta suo motto: "... l'interprete d'un'opera d'arte non dev'essere oggidì che un collaboratore fedele, attento: deve sforzarsi di trasmettere al pubblico la creazione del poeta senza deformarlo. Hanno detto che nel mio nuovo repertorio io non ho creato nessun nuovo personaggio: è il mio miglior elogio".Ada (Itala) nacque a Cosenza il 18 marzo 1883 da Achille e da Rosa Ingargiola durante il consueto giro della compagnia paterna attraverso i teatri dell'Italia meridionale. Rimasta presto orfana, fu educata in un collegio di San Pietro al Natisone (Udine); uscitane, entrò in arte come amorosa con F. Benini, che aveva sposato sua sorella Amelia e con lui rimase due anni; lasciato il teatro dialettale, si scritturò con R. Ruggeri, partecipò per un anno alle recite della Stabile romana, tornò nel 1909 col Ruggeri, quindi fu persuasa dal cognato a riprendere il suo posto nella compagnia veneta pervenendo ad affermarsi come attrice d'istinto, spiritosa e simpatica; R. Simoni la notò e citò per la prima volta quando definì "buona" l'esecuzione di una commedia "inutile" di L. Pirani Barozzi, L'abate Marin, presentata al teatro Diana di Milano il 13 maggio 1914. La nascita di un figlio e le cure prodigategli (le occuperanno tutta la vita), l'allontanarono dal palcoscenico per sei anni, finché nel 1920 Si scritturò con A. Falconi, che seguì per circa vent'anni, "dimostrandosi raro esempio di costante attaccamento al proprio capocomico". Negli anni Venti si collocarono due suoi memorabili successi, ne Le gaie spose di Windsor di W. Shakespeare (teatro Olimpia di Milano, 19 ag. 1921), per le quali le venne, sempre dal Simoni, una lode incondizionata: "Assai graziosa fu la signora Ada Dondini che impresse uno stile alla figuretta di Mistress Quickly, uno stile nel quale, forse, erano risonanze goldoniane, imparate dalla brava attrice alla scuola dei grande Benini; ma non sembrarono anacronistiche, tanto gusto e tanta finezza ella pose nella recitazione"; e ne Ilsogno di una notte d'agosto di G. Martinez Sierra (teatro Manzoni di Milano, 13 giugno 1922), per il quale ebbe una menzione particolare come interprete della nonna.
Dal 1930 al 1936 fu un susseguirsi di commedie dai ricami spesso leggiadri, pervase di morbidezze sentimentali e di comicità limpida e serena, soprattutto del repertorio italiano brìllante, in modo particolare di D. Falconi (ad esempio Il mistero delle cinque vie di G. Capo, teatro Diana, 1º ag. 1930, o Milizia territoriale di A. De Benedetti, teatro Excelsior di Milano, 23 dic. 1933, o Joe il rosso di D. Falconi, stesso teatro, 3 genn. 1934, sempre accanto ad A. Falconi, nell'ultima delle quali fu "una duchessa irresistibilmente pomposa e nervosa ed esagitata"). Avendo questi rinunciato a fare compagnia, ella passò, nell'ottobre 1938, con la Palmer-Stival, poi, nell'autunno 1939, con la Palmer-Sabbatini, divertendo nella commedia sobriamente sentimentale Sedici anni di A. e F. Stuart (teatro Manzoni, 3 apr. 1940), e non svolse più attività teatrale continuativa, limitandosi a raccogliere le ultime citazioni nel campo cinematografico (sicché la poté apprezzare un più ampio strato di pubblico), avendo esordito nel 1935 con una parte di carattere in Amo te sola di M. Mattoli. Nel 1941 uscì Piccolo mondo antico di M. Soldati, film al quale rimase legato il migliore ricordo di lei da parte dell'"ultima generazione romantica": in esso impersonò la marchesa Orsola Maironi in perfetta adesione col personaggio fogazzariano (sguardo chiuso ed acuto, movimenti lenti e compassati fino al pentimento che ne scuote e incrina l'ostentata rigidezza); fu poi la signorina Mattei nel tenue ed elegante Ore 9 lezione di chimica del Mattoli (stesso anno), Fosca Salvador, un altro riuscito personaggio fogazzariano nell'inquietante Malombra del Soldati (1942), la fatua madre nel vivido e patetico Zazà di R. Castellani. Dopo aver partecipato a due film di A. Blasetti, Nessuno torna indietro (1943) e Un giorno nella vita (1946), ne interpretò alcuni con Totò in cui vennero evidenziate, più che le sue cospicue capacità comiche, la figura pingue e il volto arguto nell'aspetto placido o in quello stizzoso, e concluse la sua carriera intervenendo nell'episodio Marsina stretta di A. Fabrizi di Questa è la vita (1954).
Morì a Chieti, in dignitoso e discreto ritiro, il 3 genn. 1958.
Fonti e Bibl.: Necrol. per Ada su Il Messaggero, 4 genn. 1958; E. Rossi, Quarant'anni di vita artistica, Firenze 1887, ad Ind.; L. Rasi, Icomici italiani, I, Firenze 1897, pp. 783-790; G. Cauda, Chiaroscuri dipalcoscenico, Savigliano 1910, pp. 36 ss.; A. Varallo, Fra viso e belletto, Milano 1910, pp. 89-97; S. D'Amico, Tramonto dal grande attore, Milano 1929, pp. 77-85; R. Simoni, Trent'anni dicronaca drammatica, I, Torino 1951, pp. 55, 355, 359 s., 493, 581; II, ibid. 1954, p. II; III, ibid. 1955, p. 344; IV, ibid. 1958, pp. 97, 336; S. D'Amico, Cronache del teatro, I, Bari 1963, p. 174; F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, pp. 201, 244, 266; N. Leonelli, Attori tragici e attori comici, I, pp. 315-321; Enc. d. spett., IV, coll. 846-849; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, ibid. 1959, coll. 349-350 (per Ada).