DONGOLA
Antica città della Nubia centrale, sulla riva orientale del Nilo, fra la terza e la quarta cateratta, sul confine del deserto nubiano.
La denominazione esatta sarebbe «Vecchia D.» (Dunqula al-'Agūz), in contrapposizione a quella della città moderna (Dunqula al-Urdi), situata c.a 100 km più a N, sulla riva occidentale del Nilo.
Il nome D. è usato per indicare anche il territorio della Valle del Nilo compreso tra la terza cateratta a Ν e la località ad-Debba a S, abitato principalmente dalla popolazione nubiana «Danagla». Le iscrizioni più antiche do D. appartengono al periodo della XXV dinastia egiziana e riguardano i faraoni Taharqa e Piye (Pianchi).
Indubbiamente nell'VIII sec., ma forse anche prima, la «Vecchia D.» fu sede del vescovo metropolita della Nubia. Le notizie riguardanti gli splendidi edifici e la grande estensione urbana della città si possono trovare nelle relazioni die viaggiatori arabi trasmesse fra gli altri da Abū Ṡāliḥ (c.a 1200) e da Maqrīzī (vissuto tra la fine del XIV e il XV secolo).
Della «Vecchia D.» resta oggi un campo di rovine su una superficie di c.a 35 ha; il recupero della città antica è però reso difficile dalla presenza di edifici del periodo islamico (XV-XIX sec.) e di strutture più recenti, visto che il sito è stato occupato quasi ininterrottamente fino ain nostri tempi. La parte centrale, probabilmente la più antica della città, situata su una prominenza rocciosa, era nel passato circondata da possenti mura.
A N dell’altopiano si stendevano le costruzioni del periodo cristiano (VI-XIV sec.); infatti è in questa zona, ai piedi della collina, che si concentra la maggior parte delle chiese finora conosciute.
Probabilmente, la città esisteva già su questo luogo quando la regione si trovò inserita nel regno di Meroe (c.a 300 a.C.-350 d.C.) e sia Napata, presso la quarta cateratta, sia Kawa, città situata a N di D., erano considerate come importanti centri religiosi. Dopo la caduta del regno di Meroe, durante il periodo «postmeroitico» (350-550 d.C.), su quel territorio nacque il regno di Makuria (Muqurra nelle fonti scritte arabe), del quale la «Vecchia D.» fu la capitale. La Makuria fu convertita al cristianesimo nell'anno 569 (secondo la relazione di Giovanni di Biclar e di Eutichio, patriarca di Alessandria-933-940) dalla missione melchita inviata direttamente da Bisanzio, a differenza di altri regni nubiani: quello del N, detto Nobadia con la capitale a Faras, e quello del S detto Alodia, che abbracciarono il monofisismo rispettivamente negli anni 543 e 580. All'unificazione della Nobadia e della Makuria sotto lo scettro del re di D. si era arrivati probabilmente già nella prima metà del VII secolo.
Scavi sistematici, condotti a D. dal 1964 dal Centro Polacco di Archeologia Mediterranea dell'Università di Varsavia con sede al Cairo, hanno permesso la scoperta di una serie di edifici sacri di estrema importanza per la storia dell'architettura nubiana.
La «Vecchia Chiesa», datata al periodo della cristianizzazione del regno di Makuria, e cioè alla seconda metà del VI sec., era costruita con mattoni crudi; la pianta è di tipo basilicale, a tre navate, con l'abside fiancheggiata da due pastophòria, e con un transetto anch'esso tripartito. Bisogna anche mettere in rilievo la presenza nel battistero di una fonte battesimale di forma ovale, di 1,60 m di profondità, con due scale d'accesso sull'asse E-O, e, estensione all'interno del bacino, una decorazione dipinta a finto marmo. In questa chiesa si possono osservare certe soluzioni edilizie locali, e sono evidenti i legami tra la Nubia e l'impero bizantino. Infatti, il modulo metrico è lo stesso impiegato nella Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli. La «Vecchia Chiesa» fu demolita già verso la fine del VII sec.; al suo posto, con il reimpiego di certe parti delle sue fondazioni e del suo pavimento, fu edificata la «Chiesa con le Colonne di Granito».
L'abside della chiesa detta «sulla pianta della Croce» ha inglobato le cripte, con copertura a volta, appartenenti a un edificio ancora precedente, l'«Edificio X», costruito in laterizio. È caratterizzato al suo interno da un ambiente centrale cruciforme, che si può datare al periodo della cristianizzazione della Makuria, e cioè alla seconda metà del VI secolo. Nonostante che le cripte siano state scoperte inviolate, non esistono dati per l’identificazione dei personaggi ivi sepolti. Si può pensare, tuttavia, che essi fossero figure notevoli nell’ambito della comunità cristiana, perché i loro sepolcri, pur nel sovrapporsi di successivi edifici, sono rimasti in funzione come «memorie» a essi dedicate.
Gli scavi e le ricerche iniziati nell'anno 1976 dalla Missione Archeologica Polacca sull'architettura civile (e cioè sugli edifici di rappresentanza legati alla corte reale e sulle case di abitazione) hanno dimostrato la grande importanza della «Vecchia D.» anche sotto questo aspetto. Le case, nei sobborghi della capitale, appaiono disposte secondo un preciso piano urbanistico, cosa di cui non si avevano finora testimonianze nella Nubia. Notevole è anche la funzionalità delle installazioni di carattere idraulico, con i tubi in terracotta e con la sala da bagno fornita di un sistema di riscaldamento dell'acqua. Un sistema a ipocausto, infine, permetteva il riscaldamento di tutto l'interno nella stagione invernale.
Oltre agli aspetti architettonico-urbanistici, notevoli sono anche le testimonianze pittoriche, non solo nelle chiese e nei monasteri (Kōm H) e del palazzo reale di rappresentanza (trasformato in moschea nel 1317), ma anche nelle abitazioni. Il gusto per la decorazione dipinta è testimoniato anche dalla ceramica di D., il cui centro di produzione fu scoperto nella parte NO della città (Kōm R).
Bibl.: I rapporti degli scavi a D. sono pubblicati in Kush, Journal of the Sudan Antiquities Service, XIV, 1966 e ss.; EtTr, VII, 1973 e ss.; Nubian Letters, II, 1984 e ss.; Rocznik Muzeum Narodowego vi Warszawie, XXVIII, 1984 e ss.; Polish Archaeology in the Mediterranean, Reports [I], 1990 e ss.; e nella serie di pubblicazioni contenenti le comunicazioni dei Congressi Internazionali di Nubiologia: K. Michalowski, Les fouilles polonaises à Dongola, in Kunst und Geschichte Nubiens in christlicher Zeit, Recklinghausen 1970, pp. 163-170; S. Jakobielski, Polish Excavations at Old Dongola, ibid., pp. 171-180; id., Polish Excavations at Old Dongola, in Nubia, récentes recherches. Actes du Colloque nubiologique internatioal, Varsovie 1972, Varsavia 1975, pp. 70-75; id., Polish Excavations at Old-Dongola, 1973 and 1974 Season, in Etudes nubiennes. Colloque de Chantilly 1975, Il Cairo 1978, pp. 129-140; id., Polish Excavations at Old Dongola 1976 and 1978, in J. M. Plumpiy (ed.), Nubian Studies, Proceedings of the Symposium for Nubian Studies, Cambridge 1978, Warminster 1982, pp. 114-126; id., Polish Excavations at Old Dongola, 1978/78-1982, in M. Krause (ed.), Nubische Studien. Tagungsakten der 5. Internationalen Konferenz, Heidelberg 1982, Magonza 1986. - Altri studi: P. M. Gartkiewicz, An Introduction to the History of Nubian Church Architecture, in NubChr, I, 1982, pp. 43-133; W. Godlewski, The Mosque Building in Old Dongola, in P. van Moorsei (ed.), New Discoveries in Nubia, Proceedings of the Colloquium on Nubian Studies, The Hague, 1979, Leida 1982, pp. 21-28; S. Jakobielski, A Brief Account on the Churches of Old Dongola, ibid., pp. 51-56; W. Godlewski, S. Medeksza, The So-Called Mosque Building in Old Dongola. A Structural Analysis, in ANilMoy, II, 1987, pp. 185-206; M. Martens-Czarnecka, Caractéristique du style «violet» dans la peinture à Dongola, in EtTrav, XIV, 1990, pp. 223-227; P. M. Gartkiewicz, Dongola II. The Cathedral in Old Dongola and Its Antecedents, Varsavia 1990; W. Godlewski, The Northern Church in Old Dongola, in ANilMoy, IV, 1990, pp. 37-62; id., The Cruciform Church Site in Old Dongola - Sequence of Buildings from the 6th to the 18th Century, in Nubica, I, 1990, 2, pp. 511-534; S. Jakobielski, S. Medeksza, The North-West Church at Old Dongola, in Coptic Studies. Acts of the Third International Congress, Warsaw 1984, Varsavia 1990, pp. 165-174; K. Pluskota, Early Christian Pottery from Old Dongola, ibid., pp. 315-333.