Doni degli dei: l'origine divina della tecnica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le misteriose forze della natura, con le sue trasformazioni, hanno stimolato la creazione di storie relative a divinità e personaggi dotati di poteri eccezionali. Se fuoco e vento sono forze della natura attribuite a specifiche divinità, anche le principali abilità tecniche nei settori della metallurgia, della lavorazione della ceramica, dell’architettura e scultura sono abbinate a miti e storie particolari. In questo ricco repertorio le vicende di divinità e personaggi leggendari come Prometeo e Dedalo accompagnano la storia della civiltà ellenica, costituendo un ammonimento costante a fare buon uso della tecnica. I Greci e la tecnica Probabilmente non esiste una cultura che, come quella greca, abbia tanto riflettuto sulla tecnica e sul suo ruolo nella società. Il perfezionamento di conoscenze essenziali come l’agricoltura, la navigazione, la metallurgia e le attività costruttive avviene nella medesima epoca in cui nasce la filosofia greca, il VI secolo a.C., in quella Ionia in cui forti sono i contatti tra elementi ellenici e orientali. Studi importanti hanno messo giustamente in evidenza il reciproco scambio di conoscenze tra artigiani e filosofi, con i naturalisti della Ionia che traggono dall’osservazione attenta di alcune attività lavorative una serie di spunti per visualizzare il funzionamento del cosmo. Gli studiosi che hanno riflettuto sul fenomeno della tecnica non hanno tuttavia potuto trovare risposte alle numerose questioni che, andando a ritroso nel tempo, rendono oscuro l’inizio di questa vicenda. Origine che, del resto, è probabilmente ignota agli stessi Greci, che hanno dovuto per questo fare ricorso a una serie di racconti mitologici il cui obiettivo è la narrazione degli eventi che spiegano come le conoscenze pratiche fondamentali appartengano in origine agli dèi. La mitologia greca ha per oggetto il racconto di un patrimonio di vicende che difficilmente può essere ricondotto a uno schema unitario. I contenuti della narrazione risalgono all’insieme di credenze religiose che nel tempo sono andate stratificandosi attorno ai grandi santuari, luogo privilegiato per la diffusione dei culti ellenici.
Astuzie divine Nonostante Atena e Efesto siano le due divinità cui i Greci attribuiscono la maggior parte delle capacità tecniche trasmesse agli uomini, occorre soffermarsi sulla figura di Metis: figlia di Oceano e Teti (Esiodo, Teogonia, v. 358), si diceva che fosse la più colta tra gli dèi e gli uomini (Esiodo, Teogonia, v. 886). Personificazione dell’astuzia e di una particolare intelligenza, Metis è la prima sposa di Zeus; la dea cerca in realtà di sottrarsi all’abbraccio del dio ricorrendo a una serie di trasformazioni che poi diverranno prerogativa specifica del re degli dèi: “Zeus si unì anche a Metis – dice Apollodoro – che aveva tentato di sfuggirgli continuando ad assumere forme diverse, ma invano” (Biblioteca, I, 3, 6; Esiodo, Teogonia, vv. 886-890). Zeus pone fine ai trucchi di Metis ingoiandola, gesto significativo che conferirà al re degli dèi la possibilità di vedere oltre, prevenire gli eventi, conoscere in anticipo l’esito favorevole e sfavorevole di ogni azione.
Pieno di metis, Zeus può adesso ingannare le sue vittime mascherando il suo vero aspetto. Ecco perché già nei poemi omerici metis è l’equivalente di dolos, l’inganno, il termine cui si ricorre, per esempio, per indicare lo stratagemma del cavallo di Troia oppure per definire le qualità mentali e l’abilità pratica di Ulisse: astuzia e attività tecnica cominciano a camminare a braccetto. Come Apollodoro, anche Esiodo (Teogonia, v. 887) non concepisce il dominio di Zeus senza l’appoggio di Metis, “che conosce più cose di qualsiasi dio o uomo mortale”. Chiusa per sempre al suo interno, Metis trasmetterà a Zeus la conoscenza esatta degli eventi incerti, del futuro, della giusta condotta per essere in tutto e per tutto il re degli dèi. È proprio Metis a consentirgli uno stato di perenne guardia, pronto a rispondere agli attacchi più imprevisti perché niente gli è precluso: potrà prevedere i mutamenti improvvisi, anticipare le insidie ed escogitare rimedi per ogni problema. Capace di trasformarsi come meglio conviene, Zeus riesce, sotto le sembianze di un toro dal fascino particolare, a convincere Europa a sedersi sul suo dorso per lasciarsi portare in un luogo lontano, attraverso il mare. La capacità di trasformarsi gioca un ruolo fondamentale in questa vicenda, in cui anche i saperi della tecnica hanno un importante riconoscimento. Tra i doni fatti da Zeus alla sua sposa figura, infatti, una lancia capace di colpire qualunque bersaglio e, soprattutto, un cane di bronzo posto a guardia della giovane – Eratostene, Catasterismoi, XXXIII; Igino, Astronomica, II, 33 –. A questo genere di storie si ricollega anche l’amore di Zeus per la giovane Io. Trasformata da Era, anche lei questa volta capace di astuzie divine, in una vacca proprio per ingannare il marito, la affida alla guardia di Argo (Apollodoro, Biblioteca, II, 1, 3). Zeus la riconosce e la avvicina sotto le sembianze di un toro – Eschilo, Prometeo incatenato, v. 640 –. Oltre alla capacità di mutare aspetto in continuazione, la metis divina si manifesta attraverso qualità mentali. Gli Inni omerici ricordano a tal proposito diversi casi significativi: tra questi, il furto della mandria di Apollo da parte di Ermes, che per ingannarlo con la direzione delle orme sul terreno fa camminare gli animali all’indietro (Inni omerici. A Ermes, vv. 75 e ss.); si ricorda poi il caso di Antiloco, che seguendo i preziosi consigli di Nestore, esperto in metis, può partecipare alla corsa dei carri e vincerla pur avendo cavalli più lenti rispetto ai suoi avversari.
Essere dotati di metis significa anche adoperare con astuzia oggetti reali, come nel caso della vicenda del tradimento di Afrodite e Ares nei confronti di Efesto (Odissea, VIII, vv. 266-366). Per vendicarsi Efesto fabbrica catene dalle quali risulterà impossibile liberarsi e, terminato il lavoro, mette in atto il suo piano collocandone una parte ai piedi del letto e appendendo il resto al soffitto, in modo da rendere il tutto invisibile. Quindi simula una partenza per una terra lontana, l’isola di Lemno, e i due amanti cadono nella trappola: “I legami forgiati dalla techne e dalla grande prudenza di Efesto cadono loro addosso; essi non possono muoversi, non possono alzare le braccia oppure le gambe; capiscono subito di non poter fuggire” (Odissea, vv. 296-299). Tra risate e scherzi gli dèi dell’Olimpo, invitati a prendere visione del tradimento, osservano con ammirazione l’arte abile di Efesto, capace di mettere in atto téchnai che gli permettono di portare a compimento con successo i suoi piani. Preda dell’astuta vendetta di Efesto è anche Afrodite, che paga in tal modo il suo ridurre le proprie prede alla amechania (Senofonte Memorabilia, III, 11, 5 e ss.). Desta meravigliata sorpresa il fatto che Efesto, lento e zoppo, sia riuscito a ingannare Ares, il più veloce e il più forte tra di loro (Odissea, vv. 329-332). In questa vicenda appare chiaro, più che altrove, come l’inganno sia l’arte di rendere una forza la propria debolezza. Ecco dunque comparire, proprio in questo episodio, quello che diverrà il linguaggio tipico della disciplina meccanica, teorica e pratica: il più debole, con la tecnica, vince il più forte, come è dichiarato nella pagina di apertura delle Questioni meccaniche, opera scritta sul principio del III secolo a.C. da Aristotele o da un suo allievo. Del resto, è proprio col lavoro dei tecnici che Metis scende sulla terra, divenendo questa volta la qualità mentale e pratica fondamentale di personaggi capaci di portare a termine le operazioni lavorative più complesse.
Dedalo e la tecnica Espressione concreta di questa straordinaria e crescente abilità è anche la figura di Dedalo, la cui vicenda mostra come abilità tecnica e possibilità di ingannare siano ancora percepiti come un binomio inscindibile. Mitico artigiano, inventore e architetto, Dedalo, che si riteneva vissuto al tempo in cui Minosse regnava su Creta, è considerato il capostipite di una generazione straordinaria di scultori. Le sue invenzioni sono state registrate e celebrate dagli antichi, impressionati soprattutto dalla capacità dimostrata nello scolpire statue talmente perfette da apparire vere e animate (Euripide, Ecuba, v. 836 ss.; Platone, Menone, 97e; Aristotele, De anima, I, 3, 406b, 19-20). La figura di Dedalo segue anche la colonizzazione in Occidente: secondo Diodoro Siculo (Biblioteca, IV, 30) costruisce poderose mura difensive per il re Cocalo e una reggia inespugnabile, a Selinunte trasforma una grotta in un luogo per bagni termali e a Erice amplia il basamento del tempio di Afrodite. Tutta la vicenda di Dedalo rimanda alle attività del vasaio, del fabbro, dello scultore e dell’architetto. L’ambiguità della tecnica appare più che mai evidente nella vicenda di Pasifae e della sua insana passione per il toro mandato da Poseidon (Apollodoro, Biblioteca, 3, 15). Desiderosa di accoppiarsi con lui, Pasifae si rivolge a Dedalo che costruisce una vacca di legno ricoperta di pelle e montata su quattro ruote, abilmente celate negli zoccoli dell’animale. Presa posizione all’interno, Pasifae può unirsi al toro. Da questo accoppiamento innaturale scaturirà un essere mostruoso, il Minotauro, con testa di toro e corpo umano.
Diodoro Siculo, che racconta dettagliatamente la costruzione della vacca di legno (Biblioteca, IV, 77), riconosce che l’accoppiamento desiderato da Pasifae avviene grazie all’abilità di Dedalo, vero intermediario della vicenda. Con questa narrazione la cultura greca racconta l’abilità di tecnici capaci di rappresentare a tal punto la realtà da riuscire addirittura a imitare il vivente, creando nocive illusioni. Che dal punto di vista della tecnica gli assembramenti incongrui siano destinati all’insuccesso lo testimonia non solo la nascita del Minotauro ma, ancora più efficacemente, la vicenda di Icaro e del suo fallimentare tentativo di volare con ali di penne e di cera, materiali la cui unione non poteva dare i risultati sperati. Con la figura di Dedalo il mondo dei tecnici celebra il proprio sapere e, soprattutto, conferisce notevole importanza al principio unificante delle attività del costruire. Già Pausania, infatti, sapeva che il termine Dedalo deriva dal verbo daidallo, che indica l’azione di “mettere insieme più parti” con abilità (Periegesi, 9, 3, 2). Ogni oggetto costruito, un carro, un mobile, un’imbarcazione è realizzato procedendo come in un grande gioco di incastri, componendo pezzo su pezzo in modo da creare un tutto formato da parti opportunamente ingrandite e rimpicciolite rispetto a una misura iniziale assunta come modulo generatore del tutto. Proprio così agisce Dedalo, che nelle sue realizzazioni ha seguito i passaggi insiti nel termine daidalon, unendo i vari pezzi il cui assemblaggio finale produce un oggetto costruito con raziocinio. Se identificato con le diverse storie del mito di Dedalo, l’artigiano è una figura ambigua, capace di ingannare: può far aprire gli occhi alle statue e farle camminare, creare labirinti in cui la mente umana si perde.
Il fuoco, la ceramica, i metalli Con la figura di Metis siamo entrati in contatto con Atena ed Efesto, divinità tecniche per eccellenza. In quanto figlia di Metis, anche Atena è dotata di facoltà intellettuali particolari, che si manifestano nella creazione degli strumenti necessari per praticare con successo arti e mestieri. Inventrice dell’aratro, Atena è in contrapposizione con Demetra, che aveva donato agli abitanti dell’Attica il grano. Atena ha inoltre svelato all’umanità i segreti della filatura e della tessitura e, divinità guerriera, ha insegnato all’uomo a usare il morso del cavallo così da servirsi di questo animale sia in guerra che in agricoltura. Con Efesto, invece, la civiltà greca celebra la scoperta della lavorazione del metallo e della trasformazione della materia attraverso la forza del fuoco. Dio della metallurgia, Efesto vive e lavora nelle profondità dell’Etna dove, con l’ausilio dei Ciclopi, forgia metalli con maestria unica. Nello spazio oscuro e fumoso dell’officina di Efesto, teatro di conoscenze segrete, la civiltà ellenica colloca saperi che nell’immaginario collettivo sono destinati a restare avvolti da un’aura di mistero. Non a caso, gli antichi attribuiranno sovente ai fabbri poteri soprannaturali. L’importanza della metallurgia, del resto, trova conferma anche in altri racconti mitologici nei quali si celebra l’attività di antiche confraternite di lavoratori come i Dattili che, nonostante tutte le varianti del mito, non sono altro che esperti fabbri cui si attribuiva la scoperta del ferro e le cui sorelle, non a caso, si dicevano essere esperte in magia. Si tratta di divinità minori o demoni la cui presenza rimanda alle squadre di operai che lavoravano nelle miniere grazie a tecniche misteriose e tramandate solo oralmente di generazione in generazione. L’attestazione di armi e oggetti metallici nelle sepolture dalla preistoria in poi conferma come gli oggetti in metallo fossero rappresentativi del livello sociale: proprio per la loro valenza i metalli raccontano nelle parole di Esiodo le tappe dello sviluppo umano (Le Opere e i Giorni, vv.112 e ss.). Nella memoria culturale dei popoli ellenici Telchini, Dattili e Ciclopi, esseri giganteschi, sono protagonisti di imprese cantate all’interno di miti e tradizioni locali. Originari dell’Asia, essi uniscono forza fisica e abilità pratica nella metallurgia e nella scultura. In alcuni frontoni dei loro templi i Greci rappresenteranno episodi delle memorabili battaglie in cui gli dèi dell’Olimpo erano riusciti ad avere la meglio su di loro. In tal modo, i Greci assicuravano ai posteri episodi chiave nei quali stava l’origine della loro civiltà.
Orafo e bronzista, Efesto ha familiarità con ogni tipo di metallo. Sull’Olimpo fabbrica palazzi di bronzo per sé e per gli altri dèi. Suoi attributi sono il berretto sulla testa e la corta tunica tipica dell’artigiano, il martello, le tenaglie e le masse di metallo incandescente. A lui si rivolge Teti affinché fabbrichi le armi per Achille (Iliade, XVIII, vv. 457 e ss.) ed è sempre Efesto che crea il fulmine (Esiodo, Teogonia, vv. 139-146) e lo scettro di Zeus (Iliade, II, 101). Nell’officina di Efesto, inoltre, una tradizione già antica quando confluisce nei poemi omerici racconta della presenza di una serie di automi, straordinarie realizzazioni con le quali il dio artigiano non solo plasma la materia, ma riesce anche a coronare l’antichissimo sogno di dare movimento agli oggetti inanimati. Omero racconta, infatti, come Efesto prepari con cura le ruote per i tripodi capaci di recarsi da soli al banchetto degli dèi (Iliade, XVIII, vv. 508-515); quando è stanco il dio viene aiutato da domestiche d’oro, dotate di parola (Iliade, XVIII, vv. 572-579) e ha inoltre fabbricato cani d’oro e d’argento che stanno a guardia del palazzo di Alcinoo (Odissea, VII, vv. 105-107). Con la figura di Efesto la civiltà greca celebra l’energia, la potenza e la forza dirompente del fuoco, da sempre posto alle origini di ogni forma di sapere tecnico. Nell’infermità che lo caratterizza dobbiamo scorgere l’essenza del mito, cha narra la capacità di un dio, apparentemente minore perché penalizzato fisicamente, di mettere in campo un’abilità intellettuale e pratica eccezionale per compensare questo handicap.
L’umanizzazione delle tecniche Nella maestria nel lavorare questi materiali è la potenza tecnica di Efesto, figura chiave per comprendere il cammino che porta all’umanizzazione delle tecniche.
Artefice esperto e sapiente, aiutato da Atena, Efesto crea anche la prima donna, Pandora, modellandola con la creta cui riesce a infondere la vita (Esiodo, Teogonia, vv. 571-575). Perché l’origine mitica della scoperta del fuoco fosse completa, occorreva una seconda fase, un intermediario tra gli dèi e gli uomini.
Per questo i Greci ricorrono alla figura di Prometeo, il generoso titano che ruba il fuoco agli dèi e, nascosta la fiamma in un nartece, la regala all’umanità (Esiodo, Le opere e i giorni, I, vv. 42-105). Finalmente anche gli uomini possono disporre della base di ogni tecnica.
Nel Prometeo incatenato Eschilo mette in scena la cupa atmosfera conseguente alla pena che Zeus infligge al titano, incatenato su una montagna del Caucaso ai confini del mondo conosciuto (Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 1-11). Con quest’opera Eschilo affronta e risolve il problema dell’origine della civiltà, conseguente alla generosa azione compiuta da Prometeo. Non a caso, Eschilo definisce il fuoco rubato dal titano pantechnon, “base per tutte le tecniche”. Naturalmente anche l’umanità deve essere punita per il furto del fuoco: da questo momento in poi ogni ricchezza sarà il risultato di una dura fatica quotidiana, il lavoro. Ne Le opere e i giorni Esiodo racconta il lavoro dei campi come una condanna degli dèi che stabilirono che la natura non dovesse essere benigna con l’uomo: su tutta la parte dell’opera dedicata all’agricoltura aleggia lo spettro della fame, condanna inesorabile per il contadino che non riesca a compiere per tempo le opere necessarie. Requisito essenziale perché questo non avvenga è che egli sappia leggere nel cielo e nella natura i segni che indicano il momento di ogni lavoro: agricoltura, astronomia e osservazione della natura camminano a braccetto.
Dèi e tecnici, dotati di metis, rivolgono contro i loro avversari astuzie mentali e pratiche: le invincibili catene di Efesto, i lacci tesi contro gli amanti, la rete con le sue maglie rimandano alla figura del cerchio. Chi vi resta impigliato prova stupore. Si tratta della medesima meraviglia che introduce e accompagna lo studio della figura circolare, che nella sistemazione teorica della meccanica sarà considerato “di tutte le cose il principio fondamentale” (Pseudo Aristotele, Problemi meccanici, 847b 16). Come è noto, in quest’opera sono poste in essere le basi per trasformare alcune delle esperienze della vita quotidiana in teoria, ovvero in materia di studio che obbedisca a norme precise dettate dal progresso delle ricerche nel campo della geometria. Nel linguaggio adoperato per delimitare il settore di azione di questa disciplina scorgiamo i punti di contatto con quanto siamo andati osservando: infatti, Pseudo Aristotele definisce meccanici i fenomeni che l’uomo provoca quando vuole vincere una resistenza per realizzare un vantaggio. Tali fenomeni, che avvengono contro natura, generano stupore e meraviglia perché in essi il minore supera il maggiore. Vi è dunque un legame evidente tra il mondo degli artigiani e capacità pratiche e mentali che, non a caso, confluiscono all’interno della meccanica. La capacità che permette all’uomo di effettuare operazioni nel campo della meccanica, ovvero spostare e sollevare grandi pesi, servirsi di determinate macchine e strumenti per facilitare il proprio lavoro, deve essere interpretata in termini analoghi alla metis, ovvero un comportamento che, guidato dall’astuzia, segue una via più breve perché più vantaggiosa. Così come la meccanica pseudoaristotelica permette di concettualizzare nel campo della geometria e della fisica il mondo della tecnica e degli artigiani, altrettanto chiaramente il linguaggio dei miti tecnici delle origini è fortemente influenzato dallo sviluppo del mondo delle attività artigianali.
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