DONIA
Famiglia di argentieri e incisori, attivi a Messina dalla fine del sec. XVI fino ai primi decenni del XVIII.
Nelle Regole e capitoli della Compagnia d'aurefici e di argentieri... del 1669 (pubblic. parzialmente in Accascina, 1976, pp.92 ss.) sono registrati undici argentieri con il cognome D., ma le ingenti perdite di documenti e di manufatti artistici messinesi rendono difficile la ricostruzione delle vicende biografiche, delle relazioni di parentela e degli estremi cronologici dell'attività di ciascuno di essi.
Secondo l'improbabile ipotesi di G. Oliva (Imessinesi allo Studio di Pisa, in Arch. stor. messinese, V [1904], 3-4, pp. 182 s.), ripresa poi da Sindoni D'Andrea (1950-52, p. 21), il capostipite della famiglia D. sarebbe un Matteo, laureatosi "in arti" nello Studio di Pisa il 2 nov. 1586: si tratta del medico e poeta palermitano biografato in questo volume del Dizionario. L'Accascina (1974) fa risalire invece l'inizio dell'attività orafa e incisoria dei D. a un Nicola (o Cola) Maria, originario di Pisa, che, dopo un apprendistato artistico a Firenze, risulterebbe presente a Messina già verso la fine del sec. XVI.
Da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Messina, ora distrutti (Accascina, 1974 e 1976), sappiamo che Nicola Maria ebbe diversi figli (Giovanni Battista, Francesco, Giuseppe, Placido e Vincenzo), che seguirono tutti l'arte paterna, ed una figlia, Caterina, che nel 1648 sposò Pietro Juvarra, portando in dote i ferri del mestiere.
Il 16 ag. 1611 Nicola Maria stipulò un contratto per l'esecuzione di una croce d'argento dorato per la chiesa di S.Nicola di San Fratello, in provincia di Messina; successivamente, nel febbraio 1614, fu liquidato dai tesorieri dell'ospedale di S. Maria della Pietà di Messina per avere eseguito "un calamaro, un altro pennarolo et campanella di argento". Più tardi, il 16 ott. 1645, Nicola Maria e i figli Giovanni Battista, Vincenzo, Placido, Francesco e Giuseppe si impegnarono a realizzare per il monastero di S. Placido un paliotto d'argento, al prezzo di 400 onze, con dodici "campi" raffiguranti Storie della vita e dei miracoli di s. Placido e dei suoi compagni martiri (atti notarili ritrovati da Di Bella, 1987).
Ma queste opere documentate non sono pervenute fino a noi. L'unica opera certa di Nicola Maria rimane quindi un Braccio reliquiario di S. Giorgio (Monforte San Giorgio, chiesa di S. Giorgio Martire), siglato "CMD" e datato 1614, che rivela nel modellato della mano un'attenta cura per i dettagli realistici, mentre gli elementi decorativi sembrano legati a formule più arcaizzanti.
Giovanni Battista, oltre alla realizzazione del paliotto per il monastero di S. Placido di Messina, nel 1647 eseguì (Accascina, 1974) vasi e candelieri in argento, per la chiesa della Ss. Concezione delle Vergini Reparate di Messina, e verso il 1650 una statua in argento di S. Rosalia per Siracusa, alla quale doveva rifarsi Pietro Juvarra secondo le clausole di un altro contratto in data 1651.
Il Bottari (1929) e l'Accascina (1974) menzionano, senza trascriverli, altri documenti (ora perduti) nelle date 1658 e 1662, relativi ai lavori del baldacchino (detto la "macchinetta") nella cappella della Madonna della Lettera della cattedrale di Messina, nei quali Giovanni Battista si impegnava, insieme con i fratelli Giuseppe e Placido, il figlio Cola Maria e il cognato Pietro Juvarra, per l'esecuzione di colonne, capitelli e fregi in rame dorato, prima sotto la direzione di Simone Gulli e poi del napoletano Andrea Gallo: opera che certamente rappresenta la commissione più prestigiosa affidata alla famiglia Donia.
Giuseppe, oltre che per i lavori già ricordati eseguiti in collaborazione con il padre e i fratelli, è noto per un ostensorio (datato 1699) della chiesa di S. Luca di Messina, proveniente dalla Confraternita di S. Liberale, di buona fattura ma esemplato su modelli convenzionali.
Il nome di PLACIDO è legato soprattutto alle numerose incisioni che illustrano l'Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio protettrice di Messina del gesuita Placido Samperi (Messina 1644), corredata di un nutrito gruppo di incisioni tratte da dipinti e sculture conservati a Messina, in parte ora non più esistenti, che raffigurano la Vergine Maria, tutte di notevole interesse documentario.
Scorrendo le immagini dell'Iconologia, compaiono talvolta i nomi di altri oscuri incisori (Grego di Domenico, Emanuele D'Alfio, un non meglio identificato Petrini), ma è indubbio che l'ideazione e il coordinamento dell'intera serie di stampe spetta a Placido al quale venne affidata la commissione dell'opera, con ogni probabilità grazie anche ai suoi stretti agganci con l'ambiente artistico e culturale della città. A lui infatti si devono l'antiporta - che riprende, ainplificato e con alcune varianti, lo schema del frontespizio delle Ragioni apologetiche (1631) inciso da Antonino D. -, congelata in un prototipo iconografico di largo successo, e la maggior parte delle stampe inserite nel volume.
Queste incisioni, che hanno un sicuro valore documentario poiché in molti casi costituiscono l'unica testimonianza visiva di opere andate perdute, sul piano dello stile si attestano a un livello di qualità decisamente mediocre, traducendo i testi figurativi originali in forme sciatte e abbreviate, dal segno rigido e pesante, con vistose deformazioni di effetto quasi espressionistico e con ingenue semplificazioni di sapore dialettale.
Alle illustrazioni per il libro del Saniperi seguono altre incisioni realizzate da Placido per alcuni importanti libri messinesi, stampati nel quarto decennio del Seicento.
Va ricordata, almeno, una scenografica incisione a tutta pagina, inquadrata in una monumentale composizione architettonica di stile tosco-romano, quasi una pala d'altare, per l'antiporta del Sacrum stagnum sententiarum di padre A. Giardina (Messina 1645); e ancor più interessanti sono quelle per l'Hedengraphia ovvero Descrittione del Paradiso terrestre di C. Giangolino (ibid. 1649): il bel frontespizio, decorato con figure allegoriche, puttini, iscrizioni e simboli araldici, disposti entro una struttura ancora tipicamente tardorinascimentale, e una grande carta geografica dell'Armenia, Mesopotamia, Siria e Assiria.
Non molto dissimile dalle incisioni dell'Iconologia è un'ImmacolataConcezione, di arcaica fissità, che si trova ne Il diamante di Maria Vergine di fra' T. Gagliardo (Messina 1650).
Nel 1657 Placido illustrò il volumetto di padre A. Guazzi, Entusiasmi d'affetto ... nella solennità della Sacra Lettera di Messina, il cuifrontespizio è assolutamente identico a quello delle Ragioni apologetiche (1631) inciso da Antonino, ad eccezione delle diciture esplicative inserite nel riquadro centrale.
Sono otto incisioni che raffigurano fedelmente gli archi di trionfo disposti nelle vie principali della città e due apparati festivi, allestiti in occasione dei festeggiamenti per la Madonna della Lettera, nei quali si nota la persistente fortuna in ambito messinese, anche in età barocca, del linguaggio tardomanieristico di derivazione montorsoliana e calamecchiana.
Dell'attività di argentiere di Placido restano pochissime notizie, che oggi è impossibile verificare, oltre ai lavori del baldacchino della Madonna della Lettera nella cattedrale di Messina. Da un altro atto notarile, di cui fa cenno solo Accascina (1974), risultava la commissione a Placido e a Francesco Natale di un Paliotto per la chiesa dei gesuiti di Catania, da eseguire sul disegno dell'architetto Andrea Gallo. A lui viene inoltre attribuita dubitativamente, sempre da Accascina (1974), una grande Brocca d'argento riccamente decorata, siglata "PD", della chiesa madre di Castiglione di Sicilia.
Francesco risulta attivo, sia come argentiere sia come incisore, dalla seconda metà avanzata del sec. XVII fino agli inizi del XVIII. Il suo nome compare fra quelli dei dodici "consultori" che nel 1669 sottoscrissero le Regole e capitoli della Compagnia d'aurefici e di argentieri.
Si conoscono alcuni pezzi marcati "Fran Donia" che egli eseguì da solo, quali un Calice in argento (1667) del Museo regionale di Messina, una Navicella e un Turibolo in argento (1668) della chiesa di S. Giovanni di Malta di Messina, oppure in collaborazione con altri argentieri messinesi. Con Pietro e G. Gregorio Juvarra, Didaco (?) Rizzo e G. Gregorio Refaci, prese parte nel 1668 alla realizzazione della Vara di s. Giacomo, ora nella chiesa di S. Maria Immacolata di Camaro Superiore (Messina), modellando la statuetta del santo, di finissima fattura. Accanto a quelle di Giuseppe D'Angelo e di Francesco Bruno le sue sigle appaiono nel Paliotto in argento e seta della chiesa di S. Maria Assunta di Castroreale (Messina), databile nella seconda metà del Seicento.
Nel campo dell'incisione la prima opera nota di Francesco, una curiosa figura allegorica, l'Argus philosophicus, nelle vesti di un vecchio con ai piedi un pavone e sullo sfondo la falce del porto di Messina, orna il libretto con il medesimo titolo di D. Quartarone (Messina 1668). Negli anni successivi egli firmò un ritratto inciso di Don Benedetto Salvago (datato 1669), agente del Senato messinese a Roma, che è inserito in un libro di Francesco Bracciolini, la Sacra Lettera scritta da Maria Vergine a' Messinesi (Messina 1726); una piccola incisione raffigurante la Morte di un vescovo, siglata in basso al centro "Fran. Donia sculpsit", e probabilmente anche il frontespizio degli Annalium Prothometropolitanae Messanensis Ecclesiae di C. Morabito (Messina 1669); una figura di donna inginocchiata davanti al Crocifisso caratterizzata da vibranti contrasti chiaroscurali, che riecheggia modelli romani e napoletani, antiporta del libro di F. Laguzza, Affetti a Gesù addolorato (Messina 1671).
Sue incisioni si trovano anche in due libri stampati a Catania: l'una, raffigurante Catania e l'Etna, nella Historia et meteorologia incendi Aetnei (1670), l'altra con l'albero di Mirra della Passione di Cristo e in basso una veduta di Messina nei Sacri apparati per il glorioso trionfo di Santa Croce di fra' M. Colonna (1681).
Nel 1701 Francesco fornì l'incisione per l'antiporta del libro di G. D'Ambrosio, Le gare degli ossequi nei trionfi festivi... per l'acclamazione di Filippo V Borbone, corredato dalle tavole di Pietro, che come Antonino appartiene alla stessa famiglia, anche se non si conoscono le precise relazioni di parentela.
Di Antonino, noto soprattutto come incisore, sono documentate opere solo per il decennio 1624-1634.
In questa ridotta campionatura della sua produzione, specializzata soprattutto in stemmi nobiliari, si ritrovano motivi ornamentali (fregi, volute, cartigli) del tutto simili al repertorio decorativo delle coeve argenterie e oreficerie messinesi, segno evidente di matrici e modelli culturali comuni.
La prima opera nota di Antonino è un elegante Stemma di Messina, inciso a tutta pagina, che compare alla fine del libro di G. Gualtheri, Siciliae obiacentium insulae ... (Messina 1624). Qualche anno più tardi la sua sigla ritorna sotto l'ornatissima incisione raffigurante un Cavaliere a cavallo, bardato di tutto punto, una sorta di grande carta da gioco, che chiude il volumetto intitolato Ilcavaliere diA. AnsaIone (Messina 1629). Altri stemmi eseguiti da Antonio decorano frontespizi e antiporte di libri editi a Messina: lo stemma dell'abate Vincenzo Ricci e quello dei Rejtano Moricada, entrambi di segno nitido, nel Compendium de sancto matrimonii sacramentum (ibid. 1630) del Ricci; probabilmente è della famiglia Calamato il ricco stemma nel frontespizio de La Croce di Gesù e di Maria di A. Calamato, dello stesso anno.
Nel 1631 Antonino incise quella che forse può considerarsi la sua prova di maggiore impegno, il frontespizio delle Ragioni apologetiche del Senato della nobile città di Messina, tradotto dallo spagnolo da Placido Reina: una larga cornice che inquadra la prolissa dicitura del titolo, lungo la quale sono disposte le aquile con gli scudi istoriati che rappresentano i simboli delle varie partizioni del governo, indicate nei cartigli, dominata al centro dalla figura allegorica di Messina nelle vesti di un soldato armato con asta, corazza, scudo e cimiero.
Una evidente continuità collega il Cavaliere che illustra il libro dell'Ansalone con il ritratto equestre di Don Ferdinando Afande Ribera - firmato in basso al centro "Antonino Donia f." - antiporta del volume di G. B. Cortesio, Inuniversam chirurgiam ... (Messina 1633), di gusto barocco, che rivela, pur nella rigidità della posa ufficiale, un disegno attento e un discreto livello di perizia tecnica. Mentre nell'Apologia pro pietate Messanensium ... di Benedetto Saivago (ibid. 1634), che reca sul frontespizio il blasone dei Salvago, viene riprodotto in coda al volume lo stesso stemma di Messina già utilizzato nel 1624.L'unico pezzo di argenteria a lui ascrivibile con certezza, perché firmato per esteso e datato 1629, è un medaglione raffigurante La Madonna della Sacra Lettera (Messina, cattedrale), di sapore arcaizzante.
L'attività di Pietro, secondo alcuni studiosi (Accascina, 1974, p. 312) fratello di Placido e ricordato anche come argentiere, si colloca nei decenni fra Sei e Settecento. L'Accascina (1974), senza però citarne gli estremi documentari, fa cenno di suoi lavori nella cattedrale di Messina, eseguiti nel 1698, in collaborazione con Giovan Battista Martinez e Matteo Corallo, e gli riferisce pure uno scenografico paliotto con Storie della Via Crucis entro strutture architettoniche della chiesa del Crocifisso nel santuario di Papardura, nei pressi di Enna.
Malgrado siano di qualità assai modesta, fra le sue prime incisioni a noi note vanno ricordate lo Stemma di papa Innocenzo XI e la Madonna della Lettera nel volumetto di G. D'Ambrosio, Quattro portenti della natura, dell'arte ... (Messina 1685); una complessa figura allegorica dal disegno rozzo ma di indubbia efficacia descrittiva, a ornamento dei Riflessi morali sopra tragici avvenimenti di B. Chiarello (ibid. 1688); e nello stesso anno una interessante antiporta con la Madonna tra s. Silvia e s. Gregorio e in basso una veduta di Messina, impostata secondo i canoni consueti delle pale d'altare controriformate, nel volume di C. Morabito, Duo florum fasciculi vel De Sanctae Silviae patria manifesta.
Nel 1700 incise la Piramide ideata dall'ingegnere Antonio Maffei per le esequie di fra' Giovanni Di Giovanni che si svolsero il 15 maggio dello stesso anno nella chiesa di S. Giovanni di Malta di Messina, incisione che apre l'orazione funebre del rev. C. Pica (Messina 1700).
Certamente più importanti sotto il profilo documentario sono le stampe incise da Pietro per il volume di G. D'Ambrosio, Le gare degli ossequi nei trionfi festivi... per l'acclamazione di Filippo V Borbone (ibid. 1701), che illustrano con un segno rigido e disarmonico le macchine festive allestite per l'occasione ("trionfi", "troni", "teatri", "fontane di vino") e la celebre cavalcata dei nobili.
La produzione incisoria di Pietro si spinge fino al terzo decennio dei secolo, con risultati sempre più scontati e ripetitivi, come la modestissima incisione con la cosiddetta Egorgoepèkos, dal tratto incerto e arcaizzante, che compare dapprima nelle Distinte notizie e tradizioni autentiche della Sacra Lettera di P. Menniti (Messina 1715), ripresa poi nel Ragguaglio della festa ... in commemorazione della Sacra Lettera (ibid. 1729) di O. Turriano.
Salvatore firmò l'incisione raffigurante una Veduta della galea situata sul piano di San Giovanni nel libro di G. Ortolano Trionfo di fede e di ossequio ... (Messina 1728) e, qualche anno dopo, l'antiporta dei Riflessi di spirito sopra le vite dei santi Placido e compagni martiri (ibid. 1733), dell'abate G. Grillo, in cui campeggia lo stemma dell'Ordine gerosolomitano e le figure di due schiavi incatenati che richiamano alla memoria il frammentario Monumento Di Giovanni nel cortile della chiesa di S. Giovanni di Malta di Messina.
Un Alessandro, insieme con Antonio Martinez, compare in un atto del 1719 relativo all'esecuzione di quattro vasi d'argento per la cappella della Madonna della Lettera nella cattedrale di Messina (Accascina, 1974, p. 358).
Di Diego, Francesco Maria, Vincenzo e Vincenzo iunior si conoscono soltanto i nomi, registrati nelle già citate Regole e capitoli... del 1669.
La bottega dei D., con la copiosa e multiforme attività dei numerosi componenti della famiglia nell'arco di diverse generazioni, assume quindi un posto di rilievo, insieme con le famiglie Juvarra e D'Angelo, nel panorama delle arti decorative messinesi del sec. XVII e degli inizi del XVIII.
Se nel campo dell'incisione prevale nei D. un mestiere sicuro ma spesso fiacco e ripetitivo, in quello della produzione di oreficeria e argenteria, a giudicare dalle poche opere pervenute fino a noi, il linguaggio stilistico dei D. si caratterizza per la misura e la sobrietà degli elementi decorativi in parte ancora legati, anche in pieno Seicento, a motivi tardo rinascimentali.
Fonti e Bibl.: Per Nicola (Cola) Maria: G. Arenaprimo, Argenterie artistiche messinesi del secolo XVII, Firenze 1901, p. 17; G. Sindoni D'Andrea, Incisori messinesi. I maestri D., in Arch. stor. messinese, s. 3, LI-LII (1950-52), p. 22; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp. 226, 231, 234, 310, 326; Id., Imarchidelle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 94; C. Ciolino Maugeri, Documenti inediti per una storia degli argenti e delle manifatture seriche nella Messina del Seicento, in Cultura, arte e società a Messina nel Seicento, Messina 1984, p. 100; G. Barbera, Il libro illustrato a Messina dal Quattrocento all'Ottocento, in Cinque secoli di stampa a Messina, a cura di G. Molonia, Messina 1987, p. 418; S. Di Bella, Argentieri messinesi del Seicento da documenti notarili, in Quaderni dell'Ist. di storia dell'arte medievale e moderna. Facoltà di lettere e filosofia. Università di Messina, 1987, II, pp. 53 s.; Orafi e argentieri al Monte di pietà, artefici e botteghe messinesi del sec. XVII (catal.), a cura di C. Ciolino, Messina 1988, pp. 133, 160 s.
Per Giovanni Battista: G. Arenaprimo, 1901, p. 17; S. Bottari, Il duomo di Messina, Messina 1929, p. 69; M. Accascina, Profilo dell'architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, p. 32; Id., 1974, pp. 310, 326; Id., 1976, p. 94; G. Barbera, 1987, p. 418; S. Di Bella, 1987, pp. 53 s.; Orafi e argentieri..., 1988, p. 133.
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Per Antonino: G. Sindoni D'Andrea, 1950-52, pp. 22 ss.; M. Accascina, 1974, p. 312; Id., 1976, p. 94; G. Barbera, 1987, pp. 418-423, 430; Immagine e testo..., 1988, pp. 142, 171; Orafi e argentieri..., 1988, pp. 133, 166 s.
Per Pietro: G. La Corte Cailler, Un ritratto dipinto da Mattia Preti, in Arch. stor. messinese, III (1903), p. 215; G. Sindoni D'Andrea, 1950-52, pp. 26 s.; M. Accascina, 1974, pp. 312, 339, 344, 346, 353, 367; G. Barbera, 1987, pp. 418, 430, 432, 446-449; Immagine e testo..., 1988, p. 175; Orafi e argentieri..., 1988, p. 133.
Per Salvatore: G. Sindoni D'Andrea, 1950-52, pp. 27 s.; G. Barbera, 1987, pp. 449, 493; Immagine e testo..., 1988, p. 205.