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DONNA

di Fulvio Maroi - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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DONNA

Fulvio Maroi

(XIII, p. 146).

Diritto romano. - Nel diritto romano, talune norme singolari sono stabilite sia a favore sia a danno della donna. La donna sui iuris nell'antico diritto è sottoposta a tutela perpetua; sui o alieni iuris è incapace di esser tutrice, di postulare pro aliis, di far malleveria per il marito, di ricoprire pubblici uffici. Alcune di queste limitazioni spariscono nel diritto giustinianeo. La donna, anche sui iuris, nell'antico diritto è incapace - se si eccettuano le Vestali - di testare e, per quanto nel corso del tempo questa incapacità si vada riducendo e per le ingenue madri di tre figli, per le liberte madri di quattro, nell'età augustea vada addirittura scomparendo, la libera e piena facoltà di testare per tutte le donne trae la sua origine, nell'età postclassica, soltanto dall'avvenuta scomparsa della tutela muliebre. A seguito della lex Voconia (169 a. C.) la donna era incapace di essere istituita erede da chi possedeva più di 100.000 assi: questa limitazione fu abolita da Giustiniano. D'altra parte, le donne sono scusate se commettono un errore di diritto che le pregiudichi.

In Roma vi è una profonda differenza fra la posizione sociale della donna e la sua capacità giuridica: mentre la donna, specialmente nell'ambito della casa, come ce ne fanno fede le numerose iscrizioni sepolcrali (laudatio Thuriae, laudatio Murdiae, iscrizione di Allia Potestas e altre), gode di un alto prestigio e di un'elevata dignità che la donna greca ignora, per quanto riguarda la capacità giuridica, essa è certamente per molti riguardi inferiore a quella dell'uomo (in multis articulis deterior est condicio foeminarum quam masculorum: Dig., I, 5, de st. hom., 9) e a quella di cui la donna antica gode in altri paesi (così in Caldea fin dall'epoca di Hammurabi): il che si spiega, da una parte, con l'esigenza di conservare il patrimonio agli agnati; dall'altra, per ciò che concerne l'esclusione della donna dalla vita pubblica, con lo spirito guerriero del popolo romano.

Diritto intermedio. - All'equiparazione giuridica dei due sessi non arrivò neppure il cristianesimo, che pure aveva proclamato: Non est servus neque liber, non est masculus neque foemina (Epist. Pauli ad Galatos, III, 28). Ma, se davanti a Dio non vi è distinzione di sessi, nella società coniugale la donna deve obbedienza al marito, da lui deve ricevere protezione per la sua fragilitas e per la sua inesperienza: quindi, pur non coniugata o vedova, si richiede che essa pudoris reverentiae causa debba esser sempre assistita da un uomo (advocatus). Fedele a questi principî, la Chiesa, pur riconoscendo alla donna pari dignità morale che all'uomo, si venne a trovar d'accordo col diritto romano e con le idee germaniche del mundio proclamando nelle sue leggi: mulierem constat subiectam dominio viri esse e giustificando alcune limitazioni alla sua capacità giuridica che si trovavano già nelle leggi imperiali.

L'ordinamento feudale, qual regime militare, non fu certo favorevole alle donne: con l'esclusione di esse dal diritto feudale si vengono a giustificare elusioni ai loro diritti, pregiudizî alle loro ragioni ereditarie, che durarono a lungo nelle leggi e durano ancor oggi nel costume. L'intensificarsi dei commerci e delle industrie oltre le mura della città, che fa la donna partecipe delle corporazioni, conduttrice di aziende, migliora la sua condizione giuridica anche nel campo della famiglia: la donna del Rinascimento dalla disgregazione della rigida compagine feudale acquista maggior coscienza della sua personalità; ma la tendenza a conservare i beni nella famiglia sia nelle classi agricole sia nelle nobili - determinando l'exclusio propter masculos de cyppo, la "serrata della parentela" lascia in vigore gravi restrizioni per le donne nel campo della capacità patrimoniale e nel campo successorio.

Diritto moderno. - Le leggi rivoluzionarie francesi segnano l'inizio di un novus ordo di cui l'eguaglianza giuridica dei sessi è il caposaldo. Prima ancora della celebre Déclaration des droits de la femme (20 brumaio anno II-10 novembre 1793) che proclama l'ammissione della donna a tutte le dignità, a tutti i posti e uffici pubblici, l'uguaglianza con l'uomo dinnanzi alla legge e dinnanzi alla ghigliottina, la donna della rivoluzione reclama l'uguaglianza dei due sessi davanti al lavoro e all'istruzione (Pétition des femmes du Tiers-État au Roi, 1° gennaio 1789): così essa, rivendicando a sé, come a titolo di onore, il nome di operaia, dimostrava di aver compreso che il lavoro soltanto conteneva i germi delle sue future libertà, dei suoi diritti, della sua piena dignità ed emancipazione morale, economica, giuridica.

Nella legislazione italiana ormai può dirsi che il sesso non debba considerarsi più fra le cause modificatrici della capacità giuridica: l'eguaglianza dei due sessi è completa nel campo del diritto privato, giacché non possono dirsi disparità giuridiche le norme dettate dal legislatore, avuto riguardo a diversità fisiche o fisiologiche (p. es., diversa età per contrarre matrimonio, divieto alla donna maritata di contrarre nuove nozze se non decorsi dieci mesi dallo scioglimento o annullamento delle prime, diritto di dispensa dagli uffici tutelari ed altre poche ancora).

Anche nel campo del diritto pubblico sono cadute molte restrizioni che costituivano una posizione di privilegio per il maschio: così, pur restando ferma l'esclusione delle donne dall'elettorato e dall'eleggibilità in materia politica, sono state ammesse, entro certi limiti, all'elettorato amministrativo e all'eleggibilità a taluni uffici (esclusi quelli di cui all'art. 269 testo unico legge com. e pro.v 3 marzo 1934, n. 383).

Per l'art. 7 della legge 7 luglio 1919 che aboliva l'autorizzazione maritale e regol. 4 gennaio 1920, n. 39, le donne sono inoltre abilitate ad esercitare tutte le professioni libere ad eccezione di quella di capitano o padrone di nave (art. 18 cod. mar. merc.) e a coprire tutti gl'impieghi pubblici, esclusi solamente quelli che implichino funzioni giurisdizionali o esercizio di diritti e di potestà politiche o che attengano alla difesa militare dello stato.

Per le altre cariche pubbliche, non aventi carattere di pubblico impiego, l'ammissibilità delle donne è rimasta regolata dalle relative leggi speciali. Va notato inoltre che secondo alcuni la dichiarazione del citato art. 7 andrebbe intesa come dichiarazione di ammissibilità, non di ammissione delle donne agli impieghi pubblici; in questo senso il r. decr. legge 28 novembre 1933, n. 1554 ha dato alle singole amministrazioni dello stato facoltà di stabilire nei bandi di concorso l'esclusione delle donne o i limiti in cui la loro assunzione è ammessa.

Bibl.: C. Fadda e P. E. Bensa, in B. Windscheid, Pandette, IV, p. 265 segg., Torino 1926 (e amplia bibliografia ivi citata); E. Besta, Le persone nella storia del diritto italiano, Padova 1931, p. 131 segg.; G. Salvioli, Storia del dir. it., 9ª ed., Torino 1931, par. 364 segg.; P. Bonfante, Ist. dir. rom., 10ª ed., Roma 1934, p. 588 segg.; M. Roberti, Svolgimento storico del diritto privato ital., Padova 1935, I, p. 130 segg.; O. Ranelletti, istit. di diritto pubbl., ivi 1937, pp. 97-98.

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