donneare
Termine del linguaggio cortese di origine provenzale (domnejar, derivato da donna [" donna ", " dama ", " amorosa "]), che vale propriamente " amoreggiare ", " vagheggiare ", " corteggiare ", attestato solo tre volte: Rime LXXXIII 52 non moveriano il piede / per donneare a guisa di leggiadro, in senso proprio; in Pd XXVII 88 La mente innamorata, che donnea / con la mia donna sempre, in senso sottilmente figurato, e XXIV 118 La Grazia, che donnea / con la tua mente, in senso mistico, con la consueta spiritualizzazione, tutta dantesca, della terminologia lirica amorosa.
Già presente nella rimeria dei trovatori italiani (cfr. ad es. Lanfranco Cigala Liriche, a cura di G. Toja, Firenze 1952, 50: " Mort es tot zo q'el mon era de car, / e zo per qe valion li meillor, / e zo per qe chantavon chantador / e zo per qe prezavon domneiar "), l'impiego più tradizionale del verbo è comune a poeti ed epigoni dello stilnovismo, come Fazio degli Uberti I' guardo in fra l'erbette 70 " Giovani donne e donzellette accorte / ... giocano a l'ombra de le gran foreste / ... e giovinetti vaghi / veggio seguire e donnear costoro ", e Cino Rinuccini In coppa d'or 8 " Leggiadro drudo, da sua donna amato, / cantare in versi il suo benigno fato; / amanti donnear vaghe donzelle: / tutto è niente a veder questa dea, / che fa invidia al ciel onde è discesa ". Chiara collocazione storica del termine leggiamo nelle Prose della volgar lingua del Bembo (Prose e Rime, a c. di C. Dionisotti, Torino 1966, 94): " Poggiare, Obliare, Rimembrare, Assembrare, Badare, Donneare, dagli antichi Toscani detta... son provenzali ".
Bibl. - R.R. Bezzola, Abbozzo di una storia dei gallicismi italiani dei primi secoli, Heidelberg 1925, 220; Parodi, Lingua 227.