doppiaggese
s. m. (iron.) Il linguaggio dei doppiaggi cinematografici, connotato da un impianto talvolta distante dalla lingua d’uso comune; anche con riferimento alla traduzione di libri.
• I nostri eroi parlano incredibilmente un italiano libresco, piuttosto irreale, più simile al doppiaggese che alla lingua comune (se [Enrico] Caruso parla con un americano questi si esprime come Stanlio e Ollio). (Aldo Grasso, Corriere della sera, 26 settembre 2012, p. 47) • nel complesso «Il figlio dell’altra» è un gran film. L’ha acquistato, per l’Italia, la Teodora: speriamo in un doppiaggio sapiente, perché è parlato in quattro lingue (arabo, ebraico, francese e inglese) e appiattirlo nel «doppiaggese» sarebbe un crimine. (Alberto Crespi, Unità, 30 novembre 2012, p. 26) • Sapete cos’è il «doppiaggese», e come si riconosce? Se leggendo un romanzo americano (tradotto) vi imbattete in frasi abbastanza improbabili nella nostra lingua come «Qual è il tuo nome?» o «Posso volare» avrete la certezza che si tratta di calchi dall’inglese, mentre si doveva dire «Come ti chiami?» e «So volare». Il «doppiaggese» (o «tradese») è una lingua italiana troppo appiattita sulla lingua da cui si traduce, ed è usata nelle traduzioni per il doppiaggio. (Filippo La Porta, Messaggero, 7 dicembre 2014, p. 22, Cultura).
- Derivato dal s. m. doppiaggio con l’aggiunta del suffisso -ese.
- Già attestato nella Repubblica del 14 luglio 1990, p. 39, Televisione (Beniamino Placido).
> traduttese.